Sabato sera, Sergio Ramos ha affrontato il Real Madrid da avversario per la terza volta in carriera, dopo quasi vent’anni dalle prime due nella stagione 2004/05. Il denominatore comune tra queste partite è stata la maglia che Ramos ha indossato: quella biancorossa del Real Siviglia, squadra della sua città di origine, nonché quella che lo ha accolto e lo ha fatto diventare calciatore; la stessa con la quale ha deciso di concludere la sua carriera.
Nell’arco temporale intercorso tra le sfide del 2004/05 e quella della settima scorsa, ci sono state due stagioni in chiaroscuro al Paris Saint Germain e, soprattutto, 16 con le merengues, squadra di cui Sergio Ramos è diventato capitano, leggenda e simbolo. Oltre agli innumerevoli trofei a cui la sua immagine è immediatamente associata, infatti, rimane nell’immaginario collettivo la sua capacità di guidare la squadra caricandosela sulle spalle quando il talento non bastava più e bisognava ricorrere ai miracoli. Le reti segnate nei minuti di recupero e nel periodo supplementare delle due finali di Champions vinte con l’Atletico nel 2014 e nel 2016 rendono bene la figura del calciatore, leader di quella squadra in cui i calciatori carismatici non mancavano.
Ora che gli anni migliori della carriera di Ramos sono alle spalle, il Real ha fisiologicamente deciso di affidarsi a facce nuove per allungare un ciclo che non sembra potersi arrestare tanto facilmente. Il suo vecchio capitano, invece, ha deciso di chiudere il cerchio nel punto esatto in cui era partito, rendendo omaggio alla sua città e alla memoria di Antonio Puerta, con cui Ramos aveva condiviso lo spogliatoio nelle prime due stagioni da professionista.