Chi cambierà la scuola? Coloro a cui non piace!
Oggi vorrei parlare della storia del cosiddetto boicottaggio dell’esame di stato del secondo ciclo di istruzione e della conseguente repressione esplicita e implicita a cui abbiamo assistito a livello politico e mediatico. Per farlo, oltre al racconto della vicenda di attualità, aggiungerò due piccoli contributi: il mio esame di stato del 2005 e un film tedesco sceneggiato da Brecht nel 1932 (da cui deriva il nome di questo blog e il mio nickname).
Vent’anni fa, in Molise
Nel 2005 ero in quinta liceo scientifico e, un po’ come tuttə lə compagnə della mia classe, pensavo a come sarebbe andato l’esame di stato. Avevo in realtà tenuto una buona media dei voti nel triennio (tirata notevolmente su solo da due materie: matematica e fisica) e quindi avevo a disposizione il massimo dei crediti. Massimo che però, nel 2005, era di 20 punti. C’era molto da fare per arrivare a 60!
La prima prova, il tema di italiano, fu un colpo di fortuna: quando arrivo il foglio con le tracce ministeriali volevo spararmi, tra Dante e altri testi. Poi, per fortuna, l’ultima traccia sui 100 anni della teoria della relatività di Albert Einstein mi salvò la vita.
Feci quella. E così andò bene, 15 su 15. La seconda prova, come previsto, fu una passeggiata: 15 su 15 e aiutai pure tutta la mia 5D a combinare qualcosa (e aiutai anche la 5C…). La terza prova, quella più rognosa, anche andò abbastanza bene: sbagliai qualcosina e presi 13 su 15.
Insomma, alla fine degli scritti avevo già 62. Mi ricordo benissimo quando andai a Campobasso con alcunə della mia classe a vedere gli esiti degli scritti: ero inebriato dal fatto che fossi, praticamente, già diplomato! Quasi quasi…“e se non andassi all’orale?” Fu un pensiero che mi balenò in testa, lo ammetto. Non avevo proprio alcuna velleità di ottenere un voto alto, anche perché, onestamente, mi era davvero indifferente rispetto a ciò che avrei fatto qualche mese dopo (l’accesso al corso di laurea in astronomia a Bologna era libero e non esistevano test d’ingresso e TOLC, ma di questo ne parliamo un’altra volta).
Alla fine, ovviamente, era impossibile per me all’epoca trovare il coraggio di non andare all’orale. Quindi andai e me la cavai abbastanza bene.
Perciò in questi giorni del 2025, quando ho letto di due studentə che hanno deciso di fare, volontariamente, scena muta al loro esame di stato, ho cercato di immaginare dove avessero trovato il coraggio. Mi sembrava impossibile l’avessero fatto. Poi mi sono detto che forse l’avevano trovato il coraggio perché, dopo anni, non ne potevano più e volevano farlo sapere al mondo intero.
Con una protesta pacifica e plateale, con delle ragioni profondamente politiche dietro.
Diplomati e “mazziati”: cos’è successo in questi giorni a chi ha boicottato l’esame di stato
Anche Gianmaria Favaretto, a Padova, aveva 62 già prima dell’orale. E il giorno della sua prova orale ha preso coraggio e ha deciso non rispondere alle domande della commissione (alla fine però ci sarà un compromesso sullo svolgimento dell’esame e arriverà a 65/100). Ha portato la sua protesta in sede d’esame perché per lui «l’esame di maturità per me è una sciocchezza, non rispecchia la reale capacità dei ragazzi, figuriamoci la loro maturità». E inoltre: «in classe c’è molta competizione. Ho visto compagni diventare addirittura cattivi per un voto».
Maddalena Bianchi, a Belluno, ha portato una protesta simile il giorno del suo orale, poiché con i voti degli scritti era già promossa. All’orale ha detto che protestava per andare contro «i meccanismi di valutazione scolastici, l'eccessiva competitività, la mancanza di empatia del corpo docente».
Per prima cosa bisogna fare tanto di cappello a questə ragazzə: hanno avuto davvero un coraggio fuori dal comune. Del resto, per contrastare lo status quo di questi tempi serve fare qualcosa di straordinario.
E infatti la prova definitiva dell’importanza della loro protesta è arrivata a stretto giro con le dichiarazioni del ministro dell’istruzione Valditara: chi in futuro boicotterà l’esame, come hanno fatto Favaretto e Bianchi, verrà bocciato. Taaaac. Intervistato da Fanpage.it il ministro aggiunge una dichiarazione, a mio avviso, sconcertante. Alla domanda “Perché pensate a una misura così dura?” la risposta di Valditara è stata:
Dura? È una misura necessaria. Atteggiamenti che deliberatamente intendano boicottare gli esami sono offensivi verso il lavoro dei commissari, e sono offensivi nei confronti di quei compagni che hanno studiato e si sono impegnati. Sono anche offensivi verso la scuola, che è una cosa seria.
Repressione totale dal cuore del sistema
Quindi, anziché mettersi in ascolto delle istanze portate avanti da Favaretto e Bianchi, il governo decide di reprimere subito questa manifestazione coraggiosa, ma tutto sommato pacifica, di dissenso. Mi sarei aspettato un commento più sprezzante, à la mangino brioche di mariantonettiana memoria, ovvero qualcosa come “se a loro sta bene buttare via un potenziale 100 e lode, che facciano pure”.
Invece no. Repressione. E sapete perché? Perché la protesta ha colpito al cuore del sistema.
L’esame di stato è stata un’idea del primo governo fascista, nel 1923, con il ministro dell’istruzione Giovanni Gentile. Innanzitutto si chiamava esame di maturità e si trattava di un esame tostissimo (ne ho parlato in questo post su Instagram, dateci un’occhiata se volete approfondire). L’idea di fondo era quella di selezionare la classe dirigente. Gli stessi fascisti, pensate, qualche hanno dopo hanno dovuto un po’ ammorbidirlo, per dire, a causa dell’incredibile tasso di persone bocciate nei primi anni.
Questo retaggio fascista, decisamente ammorbidito e modificato, lo abbiamo ancora oggi. E l’idea che c’è dietro è ancora quello di selezionare, classificare. Idea che, peraltro, permea ogni secondo della vita scolastica con i suoi voti, le note disciplinari, le sospensioni, il voto in condotta. Favaretto e Bianchi hanno puntato il dito contro questo. Infatti loro due sono esempi di studenti che tutto sommato andavano bene a scuola, avevano buoni voti e hanno fatto anche buone prove scritte all’esame. Favaretto e Bianchi hanno usato il loro privilegio di persone già tecnicamente diplomate per parlare anche a nome dellə loro compagnə di scuola che invece hanno dovuto sostenere l’orale con tutti i crismi perché il diploma era ancora da guadagnare.
Favaretto e Bianchi hanno fatto notare, con la loro protesta, che a scuola germogliano i semi di ciò che poi, fuori nella società, è causa di disuguaglianze e problemi: competitività, meritocrazia, meccanismi valutativi per qualsiasi cosa per cui si ha la pretesa che sia “misurabile”. Dovrebbe farci riflettere davvero tanto il fatto che siano state due persone di 19 anni a far emergere con forza questi aspetti per cui noi adulti ormai ci abbiamo fatto il callo come se fosse inevitabile. Loro hanno detto, per un attimo, “basta” e hanno rinunciato alla consuetudine, a un momento che per tantissimə altrə studenti è stata una giornata di festa e gioia.
Solidarietà negativa a tutto campo
Ma se la reazione del governo è tutto sommato comprensibile, in quanto difensore supremo dell’autoritarismo insito nelle nostre istituzioni educative e non, un po’ meno comprensibile è stata la reazione di docenti e società “civile”. Alcune persone, bisogna dirlo, hanno solidarizzato con lə studenti e hanno chiesto al governo di ascoltare le ragioni di cui si sono fattə portavoce Favaretto e Bianchi; ma una grossa fetta di persone ha insistito su due aspetti su cui vorrei soffermarmi con voi: la solidarietà negativa e la necessità di adattarsi.
La solidarietà negativa è stata espressa da quelle persone che hanno detto: “va beh, ci siamo passatə tuttə, non vedo perché non ci debbano passare anche loro”. A me sembra assurdo sentire ragionamenti del genere. Semmai è il contrario: proprio perché io ho sofferto, allora non voglio che altre persone soffrano. Evidentemente sono io a pensare nel modo sbagliato.
La necessità di adattarsi invece è stato espressa da quelle persone che hanno detto: “Eh, ma poi voglio vederli questə quando vanno nel mondo del lavoro!”. Questo tipo di commento, secondo me, è ancora più feroce della solidarietà negativa perché ci si aspetta un’inevitabile gigantesca sofferenza futura per chi oggi è studente. E di chi è la colpa? Della scuola, ovviamente, perché non prepara al mondo che c’è la fuori.
E qui veniamo alla nota dolente: questa è anche la posizione di moltə docenti. E infatti per questo, così chiudiamo il cerchio, è il motivo per cui Favaretto e Bianchi hanno protestato. Infatti spesso, a scuola, moltə docenti si lamentano del fatto che lə studenti prendano male un voto negativo come 3 o 4. “Dovrebbero abituarsi alla vita fuori dalla scuola, è un modo per imparare a crescere!” il commento che ho sentito più spesso nelle aule insegnanti dalla bocca dellə miə colleghə. Ma questo è esattamente ciò che hanno detto Favaretto e Bianchi: la scuola allena alla competizione, insegna ad adattarsi tramite i meccanismi di valutazione in uso. È proprio questo il punto!
Una crepa nello status quo
Questo è il motivo per cui nessunə ha veramente prestato attenzione a queste proteste. Perché Favaretto e Bianchi hanno creato una crepa nello status quo. Ma lo status quo siamo noi: ripensare ai meccanismi di valutazione, al motivo per cui valutiamo e al come lo facciamo, allora dobbiamo ripensare anche alle nostre vite, al motivo per cui insegniamo a scuola, fare pura pratica di autocoscienza e guardare in faccia il mondo che ci circonda per immaginarne uno diverso. Fare questo, per tantissime persone, costa. Non è indolore. Vuol dire mettere in discussione una vita intera, tanti privilegi e soprattutto ridiscutere il futuro individuale che, giorno dopo giorno, ogni persona si sta costruendo solo ed esclusivamente per sé stessa. Anche lavorare in una scuola competitiva, che seleziona e reprime, pur sembrando un lavoro per la collettività, in realtà non fa altro che cristallizzare il mondo in cui determinate persone hanno determinati lavori, posizioni e privilegi.
In questo quadro di manutenzione dello status quo, chi non vuole scalfire la situazione generale pur sembrando mostrare un minimo di empatia animato dalle migliori intenzioni, in realtà svela il suo lato più repressivo.
È stato il caso di docenti-influencer molto famosi che pur riconoscendo le ragioni del boicottaggio dell’esame di stato, hanno avuto da ridire su come è stata fatta la protesta. E questo credo sia qualcosa di assurdo. Docenti che sui social hanno milioni di follower, anche mostrando una loro certa visione della scuola, hanno anche la pretesa di spiegare allə studenti come avrebbero dovuto protestare per avere un risultato “più efficace” (secondo loro…).
Oppure, addirittura, un docente molto seguito ha scritto un post per dire “che è facile protestare quando hai già 60”. Non ci sono parole. Non vi metto i link, li potete trovare su Instagram (per le prossime 24 ore anche nelle storie del mio profilo…).
Chi cambierà il mondo, allora?
Tutto questo mi ha ricordato un film che ho visto nel 2021 al festival del Cinema Ritrovato organizzato ogni anno dalla Cineteca di Bologna. Era una mattina di giugno e quell’anno non ero commissario dell’esame di stato perché non avevo avuto una classe quinta e, causa pandemia, tuttə lə commissariə erano interne. Una di quelle mattine di fine giugno quindi mi svegliai presto e decisi di andare a vedere un film tedesco che mi aveva incuriosito: Khule Wampe. Sembrava interessante per diversi motivi: era sceneggiato da Bertolt Brecht ed era stato realizzato nel 1932, pochi mesi prima dell’avvento del nazismo in Germania.
Nell’ultima scena, durante un viaggio in treno, si discute di economia internazionale e prezzi del caffé brasiliano. La discussione si accende perché ci sono persone di varie estrazioni sociali. Le persone, per capirci vista l’epoca, borghesi discutono delle strategie per avere un caffé a prezzo basso e addirittura una persona arriva a pensare che la soluzione è colonizzare il Brasile! Un ragazzo, per capirci, proletario, che viaggiava con un gruppo di amici proletari, si lamenta perché il borghese dice sempre “noi” mentre a lui sembra che ci sia una evidente disuguglianza nello stato delle cose. Il dibattito si accende, vola qualche offesa. Quando gli animi si placano, si vedono altre persone provare a discutere del prezzo del caffé ma emerge la rassegnazione perché, dice un viaggiatore a un suo compagno di viaggio sul treno “non saremo noi due a cambiare il mondo”.
Allora il ragazzo proletario di prima precisa che sul treno nessuno di loro cambierà il mondo, soprattutto il personaggio borghese con cui aveva litigato perché al borghese “piace il mondo così com’è”. A questo punto il borghese chiede al gruppo di proletari: “E allora chi cambierà il mondo?”. E qui, una ragazza proletaria risponde decisa: “Lo cambieranno coloro a cui questo mondo ora non piace!”.
Smascheriamo lo status quo e pensiamo alle alleanze
Questa scena scritta da Brecht riesce a colpire diritto al cuore della faccenda. C’è chi difende lo status quo perché gode di privilegi e benefici e chi invece subisce l’oppressione dello stato delle cose e tenta di cambiare il mondo. Naturalmente, chi cambierà il mondo lo farà in un modo che non piacerà a chi difende lo status quo.
Questo è un dato di fatto: a cambiare la scuola non saranno i ministri e, purtroppo, non saremo neanche noi prof. A cambiare la scuola saranno coloro a cui non piace veramente, coloro che sognano una scuola diversa. Coloro che, per svariati motivi, la scuola vuole tenere fuori, emargina, declassa. Solo loro potranno cambiare le cose.
Forse siamo molto lontanə anche solo dall’immaginare un mondo diverso, migliore. Ma la protesta di Favaretto e Bianchi è stata davvero efficace perché loro due hanno usato il loro di privilegio di persone non emarginate dal sistema scolastico e lo hanno messo al servizio di una discussione più ampia, con coraggio. La loro protesta ha infatti, non a caso, immediatamente messo in crisi lo status quo e ha richiesto un intervento immediato e totalmente repressivo dell’autorità. Questo per capire quanto fosse precisa e giusta la loro modalità di protesta, malgrado ciò che dicono boomer e professori boomer in giro sui social network.
In fondo, le proteste di Favaretto e Bianchi hanno fatto la cosa più importante di tutte: hanno smascherato lo status quo, hanno costretto chi si stringe attorno ai propri privilegi a uscire allo scoperto.
Quindi in realtà ciò che è accaduto è stato un modo utile per far scoprire ancora di più le carte a coloro il cui mondo piace così com’è. Grazie a proteste di questo tipo è più facile capire quali sono le persone che difendono lo status quo per i loro interessi e quali sono le persone con cui invece lavorare insieme per tentare di costruire le alleanze che porteranno alla creazione di nuove prassi da usare nel mondo che cambieremo. La protesta di Favaretto e Bianchi ha dimostrato che c’è una crepa, una faglia, in cui possiamo immergerci per iniziare a immaginare un mondo nuovo e che ci sono tante persone che hanno voglia di attraversare insieme questo spazio.