La missione

Ci svegliammo alle prime luci. Una rapida colazione con bacche e miele, un sorso di infuso di erbe caldo e rimettemmo in bisaccia le nostre cose, pronti per proseguire verso la parte ignota, che mai avevamo affrontato, di quella foresta. Fu subito chiaro che il solo orientamento sarebbe stato cosa non di poco conto, l'attenzione al terreno difficile anche. La posizione del muschio sugli alberi e rocce, la posizione del sole quando visibile, aiutarono a darci una direzione; per quanto riguarda il terreno difficile, non ci fu altro modo che far leva sui nostri muscoli e atletica, ringraziando il consiglio del comandante di non indossare le nostre canoniche armature pesanti, ma di avvalerci di quelle più leggere ,“Farvi uccidere dal terreno, sarebbe da stupidi no?” ci disse con un sorriso prima di partire. Proseguendo, facendoci largo tra la vegetazione, cercavamo di stare in silenzio per non attirare su di noi attenzioni indesiderate, quando ad un tratto sentii un gemito provenire dalle mie spalle. Voltandomi vidi Leo a penzoloni, trattenuto alla gola da un serpente che gli si avvinghiava, proteso da un ramo. Impugnai ancor più salda la mia spada e mi avventai contro la creatura, colpendola sopra la testa di Leo, che cadde a terra col fiato strozzato. Nel momento in cui mi voltai per assicurarmi le sue condizioni, lo vidi imbracciare la sua arma e scagliarsi dietro di me, contro quello che sarebbe stato il vero problema della giornata. Un serpente gigante ci stava per attaccare, fauci spalancate e denti grossi come una lama di spada. Leo con la prontezza che lo aveva contraddistinto tra le reclute anni prima, intercettò il morso della bestia frapponendo il suo scudo, ma nulla poté contro il colpo di coda che lo scagliò a terra. Distratto dal mio compagno, l'immondo accusò il mio fendente, che lo colpì facendolo sanguinare copiosamente, a cui segui un secondo attacco in affondo. Da una parte Leo, dall'altra io, e nel mezzo quello che sarebbe diventata da li a poco la nostra prima tacca. Colpimmo duramente e con sincronia, tale che la creatura accusò i colpi e morì. Leo si accasciò a terra dolorante. La creatura, che ormai giaceva a suolo inerme, lo aveva ferito al fianco destro; non una ferita grave, ma in quel contesto, poteva esserlo, e seppur contro la sua volontà, decisi di utilizzare una delle fiale che mi erano state donate. Aprii la boccetta che conteneva un liquido denso e dal color rubino, l'odore era pungente, e la passai al mio compagno, che dispiaciuto per il dover appropriarsene così presto, la trangugiò d'un sorso. Il liquido divenne luminescente nel percorrere dapprima la gola, poi il petto e subito dopo dirigersi verso il costato, pulsando ad ogni respiro, ed infine giunto alla ferita, illuminarla e ricostituendola, facendo sospirare Leo. Di nuovo in marcia, percorremmo la foresta più attenti e cauti, per qualche ora, fino a quando non udimmo voci umane provenire da un'abitazione nascosta nella fitta vegetazione. Ci avvicinammo in silenzio, ringraziando ancora una volta di non indossare le nostre classiche rumorose armature, e giunti ad una finestra vidi due uomini darsi le ultime istruzioni sul raggiungere i propri compagni, già all'ingresso del tempio. “Quindi ce ne sono altri, ma quanti? E come raggiungerli?” pensai. La risposta fu subito ovvia, pedinare questi, trovare gli altri e l'ingresso del tempio, e in qualche modo, fermarli. Come due spettri, in silenzio e grazie al corso ranger del secondo anno di accademia, inseguimmo per un giorno intero le nostre “guide”, fino all'ingresso di una caverna, il cui interno era illuminato da una qualche fonte di luce.

caverna

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L'esterno della caverna non era ben visibile ma si capiva che non era sorvegliato e subito i due si intrufolarono senza esitare. Aspettammo qualche istante per avvicinarci, e arrivati anche noi all'ingresso che ora pareva da vicino maestoso e terrificante alla luce delle torce, ci rendemmo conto che il suo interno altro non era che una caverna con una pozza di d'acqua al centro. Guardai Leo e con un cenno di intesa, presi un bel respiro e ci gettammo in acqua, fredda e limpida, costellata di funghi luminescenti che ci guidavano verso l'uscita. Col fiato corto, e nella speranza che al nostro riemergere nessuno ci notasse, riaffiorammo piano, con da prima gli occhi, e una volta controllato rapidamente l'intorno, anche col capo, respirando nuovamente. Dovetti sgranare più volte gli occhi e strofinarmeli con le mani, per credere a quel che vedevo, le rovine di un tempio parzialmente emerso all'interno di una caverna gigantesca, illuminato da alcune feritoie nella roccia e dalle torce dei criminali.

tempio

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Non ci fu il tempo per porsi troppe domande, o per gongolarsi nello stupore e meraviglia; i due briganti che avevamo pedinato si erano riuniti con il resto della loro banda e dalla nostra posizione potevamo vedere come si addentravano furtivi e veloci tra le rovine. Non avremmo mai avuto tempo di tornare ad avvisare i nostri superiori o di cercare rinforzi, dovevamo intervenire e fermarli prima che compissero qualche azione per la quale poi molti altri avrebbero pagato il prezzo. Uscimmo dall'acqua e di soppiatto raggiungemmo il gruppo al completo, sempre tenendoci nell'ombra. Erano otto uomini, tutti ben armati, che come voraci animali si avventavano su tutto ciò che di valore trovavano, da vasi d'oro, a scrigni colmi di pietre preziose, fino a che uno di loro non venne attaccato proprio da uno dei forzieri che stava tentando di aprire; enormi fauci fecero brandelli della carne del malcapitato, mentre gli altri tentavano di colpire l'essere mostruoso, noi ne approfittammo per sferrare il nostro attacco di sorpresa, scagliandoci come furie sul resto del gruppo che colto alla sprovvista si trovò del tutto impreparato. Due di loro caddero subito sotto i nostri colpi precisi, combattendo spalla a spalla avevamo pochi punti ciechi e la nostra tattica sembrava aver sorbito un ottimo risultato. Nel frattempo un altro di loro divenne pasto per il forziere animato, e noi subendo l'attacco di un paio di loro avevamo bisogno di allontanarci dall'essere per non rischiare di diventare i prossimi ad essere divorati; ci spostammo su una zona rialzata del tempio, e da lì vedemmo l'unico che poteva essere il capo della banda che stavamo assaltando, colpire con la propria ascia bipenne lo squartatore dei suoi uomini, squartandolo a metà. Si voltò e con sguardo ricolmo di rabbia gridò “Ora, tocca a voi!”. Era un uomo alto, senza armatura o altre protezioni, solo tatuaggi sul corpo a ricoprire la massa di muscoli che pulsavano. Non era la prima volta che affrontavamo qualcuno di quella stazza, ma eravamo stanchi dal combattimento e avevamo terminato le nostre pozioni, ma dovevamo portare a termine la missione e mai saremmo fuggiti, così incrociammo i nostri sguardi e con un cenno di intesa ci portammo al livello del nostro nemico, uno da un lato e uno dall'altro. Lo scontro finale stava per cominciare.