Scontro finale

Uno sguardo del nostro avversario fulminò prima Leo e poi me, strinse con le sue mani possenti l'ascia e mi si scagliò contro ed io feci lo stesso, impugnando la mia spada a due mani. L'impatto fu violento tra le nostre armi, ed il suono forte e impetuoso di lame che si scontrano echeggiò nella caverna. Il mio compagno si avventò sul nostro nemico, applicando alla lettera gli insegnamenti di Gor, “fiancheggiando”, quasi fosse la mia immagine riflessa in uno specchio, il barbaro che con tanta tenacia e forza ci stava tenendo testa. Ad un tratto, con un colpo incredibilmente potente scagliò lontano Leo, facendolo cadere rovinosamente a terra, e girando in un attimo l'arma, facendola roteare, mi colpì con altrettanta forza, gridando come un folle e scoprendo un punto debole nella mi difesa, ferendomi ad una gamba e subito dopo ad una spalla. Mi accasciai a terra, devastato dalla potenza di quei colpi, reggendomi in ginocchio aiutandomi con la spada. Era pronto a sferrare un altro attacco, quando Leo, ripreso, lo colpi alle spalle con due fendenti rapidi, innescando una giravolta dell'energumeno che lo attaccò a sua volta facendo roteare l'ascia e colpendolo in pieno petto, ferendo Leo in modo grave. Il barbaro si stava avvicinando al mio amico per il colpo di grazia, con passo lento questa volta, sicuro che ormai lo scontro lo avrebbe visto come vincitore. Mi guardai attorno, affannato, cercando sostegno in qualcuno o qualcosa e strappai dalle mani di uno dei miei precedenti nemici una balestra; la impugnai rapidamente e inserii il dardo, mirai quasi alla cieca e scoccai. Non sapevo se avevo colpito quella montagna, ma subito ricaricai e di nuovo feci partire il colpo, rendendomi conto che lo avevo preso con entrambi i tiri, uno alla schiena, bersaglio enorme, e l'altro alla testa, trafitta. L'uomo cadde con tutto il suo peso in avanti causando un tonfo che fece tremare il terreno. Non c'era tempo da perdere, Leo stava morendo dissanguato, e quando avvicinandomi lo vidi da vicino, per un istante crebbi che oramai nulla avrebbe potuto salvarlo. Lo strinsi a me forte, sperando quasi di donargli parte della mia vita, quando lo sguardo, colmo di lacrime, mi cadde su una bisaccia di uno dei criminali e subito cominciai a ravanare in tutte quelle che trovavo, ed infine, per volontà degli dei o per fortuna, trovai quello che cercavo e che fortunatamente uno dei caduti non aveva fatto in tempo ad usare, una pozione curativa. La raccolsi con cautela, dopo essermi strofinato le mani bagnate di sangue sui pantaloni, e ne feci scivolare il contenuto tra le labbra di Leo. Rimasi scosso nel vedere come il liquido andava a ricostruire tessuti e membra , andando quasi alla ricerca di ogni brandello, illuminando la ferita di una luce cremisi che mi ipnotizzò. Una volta rinvenuto, non ci curammo dei cadaveri lì attorno, anzi, pensai che sarebbero serviti come monito, e raccolte le nostre cose ci immergemmo nuovamente per risalire all'ingresso della grotta nella foresta. Avevamo perso la cognizione del tempo ed era quasi notte, decidemmo quindi di riposare per recuperare le forze; Leo, visibilmente in condizioni migliori delle mie, procurò la cena, un coniglio selvatico che soddisfò a pieno il nostro appetito. Poi si mise di guardia. Quella notte, ferito, affaticato, al chiaro di funghi magici che illuminavano la foresta come fossero stelle nel cielo, ringraziai gli dei per aver trovato un amico come Leo, per avermi donato qualcuno che avrei potuto chiamare un' altra volta “fratello”.

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Di ritorno verso il forte, incontrammo qualche taglialegna, intento a brontolare per quanto fosse faticoso quel lavoro, e alle porte che avevamo varcato qualche giorno prima, fummo accolti dal comandante, che volle sincerarsi subito della situazione e delle nostre condizioni, invitandoci a far visita dai curatori per poi concederci qualche giorno di licenza. Sapevo benissimo cosa fare, sarei andato a trovare la mia famiglia, giù al fiume.

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