Roberto uscì dalla casa affaticato dai pesanti bagagli che stava andando a caricare nella sua berlina di terza mano – forse anche terza mano – ma qualcosa intralciò il suo piede destro e finì a terra, rompendo uno dei vasi del giardino davanti l’entrata – non erano neanche suoi, stupida vecchia del terzo piano.
Rialzandosi a fatica e con qualche acciacco alla schiena, buttò uno sguardo verso il balcone della rompiscatole: a quanto pare, non si era accorta. Raccolse in fretta le valigie e diede un calcio ai rimasugli del vaso per nasconderli, inutilmente, pensò. Dio se odiava quella vecchia.
Si diresse alla macchina, una berlina color verde vescica, ammaccata sul lato destro – probabilmente uno dei ragazzini di quartiere non l’aveva ritenuta di suo gradimento; Roberto non avrebbe potuto dargli torto – una bella lezione – però – sarebbe stata l’ideale.
Aprì il portabagagli rischiando di far cadere di nuovo tutte le valigie, buttò queste dentro, chiuse la porta e si scagliò a tutta velocità verso la portiera del guidatore, che trovò chiusa. Riprese le chiavi, aprì, si sedette – buttando nel frattempo la giacca nel sedile del passeggero – mise in moto e finalmente partì.
Le strade erano quasi del tutto deserte e ogni semaforo era verde; era anche ora di pranzo. “Il pranzo!”, pensò Roberto. Stava già pregustando l’ottimo panino confezionato che avrebbe dovuto ingerire al check-in dell’aeroporto al posto dell’insalata di pollo, preparata da Margherita un’ora prima della sua partenza.
Arrivato al parcheggio dell’aeroporto – con largo anticipo – lesse sul cartello elettronico del parcheggio sotterraneo: “Posti rimanenti: 0”. “Mi è andata anche fin troppo bene per ora in effetti…” e nel frattempo svoltava per tornarsene al parcheggio all’aperto, dall’altra parte dell’aeroporto.
Dopo aver passato due parcheggi troppo stretti per la sua macchina, un altro occupato da una sola macchina e un’illusione creata da una Smart, si infilò in fretta e furia nel parcheggio tra il marciapiede e un grosso SUV bianco che sembrava appena uscito dall’autosalone.
Roberto, aperto il portabagagli, notò che la valigia più piccola si era aperta e ne era uscita buona parte del contenuto; mentre stava risistemando tutto all’interno sentì il cellulare squillare.
«Dimmi Margie» disse col cellulare tra l’orecchio e la spalla sinistra.
«Ti sei scordato il pranzo Rob! Cavolo, non posso neanche uscire per due secondi?»
«Sei stata fuori un’ora. E comunque andavo di fretta… Ah se la vecchiaccia del piano di sotto chiede qualcosa a proposito di un vaso: tu non sai niente» e richiuse il portabagagli, finalmente.
«Ma io non so niente Rob, quale vaso?» disse Margherita, quasi urlando.
«Così andrà benissimo, perfetta!»
«Lasciamo perdere» con aria seccata, della quale Rob non sembrò accorgersi «sei già in aeroporto?»
«Sto entrando in questo esatto momento, devo trovare il check-in per Parigi»
Guardandosi intorno, vide veramente poche persone per essere un aeroporto: togliendo la sicurezza, gli addetti al check-in, i camerieri dei bar e altro personale dei negozi, non c’era praticamente nessuno.
“Ma certo, sono entrato dall’entrata laterale ecco perché”
Si diresse quindi verso la parte centrale dell’aeroporto, incontrando inservienti e vari addetti alla sicurezza, che neanche lo guardavano poi.
Arrivato davanti l’entrata principale si volse a guardare il grosso tabellone con gli orari degli orari e delle partenze.
“Parigi… Parigi… Oh andiamo ma non potevano ordinarli alfabeticamente?”
Dopo aver scorso la lista due o tre volte, trovò il suo volo «Ah eccolo, volo 6429 per Parigi… Chek-in 19»
«Credo sia da quella parte signore» fece un inserviente nei paraggi, indicando verso il lato opposto dell’atrio dalla quale era venuto Rob.
«Beh, grazie mille» e seguì l’indicazione.
«Ah Rob, una cosa!»
Roberto trasalì e si volse lentamente.
«Io non salirei su quell’aereo fossi in te»
L’inserviente aveva stampato in faccia un sorriso piuttosto inquietante e una cicatrice sul lato destro della faccia, che inizialmente non aveva proprio notato.
«Ma cos… Come sai il mio» nel frattempo un vetro esplose, uno stormo di rondini entrò dalla finestra creatasi poco prima e un bidone nei paraggi del bagno cominciò ad eruttare una sostanza viscosa, somigliante al caramello, ma di colore rosa.
«Non posso rispondere a questa domanda. Non ora almeno»
Il corpo dell’inserviente cominciava a svanire nel nulla, come fosse un fantasma. Ma a Rob questo non piacque.
«Che razza di discorsi fai?!»
Il suo sguardo era a metà tra il confuso e lo spiazzato «Cosa dovrei fare ora? Dirti “Ehi amico, col cavolo che mi faccio abbindolare da un trucchetto banale come quello, io prenderò quell’aereo!”, vero?» fece una pausa e fissò dritto negli occhi, svaniti per metà, l’inserviente, che nel frattempo aveva assunto involontariamente uno sguardo inebetito.
«No, bello. Io annullo il viaggio. Sai quanto me ne frega? Tanto neanche ci volevo andare a Parigi!» Falso, non aspettava altro «E poi, scusa eh, ma se volevi che ci andassi non bastava che mi lasciassi fare il check-in, prendere l’aereo e fine?»
Ora l’inserviente-fantasma era del tutto sconcertato, aveva anche la mascella mezza aperta e si stava grattando dietro l’orecchio destro. Per circa due minuti i due si guardarono intensamente, e se la situazione fosse stata diversa, qualcuno si sarebbe aspettato un bacio appassionato. Ma grazie a Dio non è quel tipo di racconto.
Comunque, Rob era furioso, il volo per fortuna non sarebbe partito prima di mezz’ora e il suo stomaco cominciava a ricordargli, piuttosto prepotentemente, che stava a secco da ore.
«Perlomeno non restare mezzo invisibile, un po’ di decenza!»
L’inserviente improvvisamente si fece serio in viso, con sguardo fermo su Roberto divenne nitido e aprì la bocca come per dire qualcosa. La richiuse immediatamente, un ghigno spuntò dalla sua bocca e in una frazione di secondo le luci si spensero.
Originally wrote in 2014-07-22T22:25:00.000+02:00