Lescriptor

Curiosità della Storia per conoscere il passato, capire il presente, costruire il futuro.

(Estratto da “Minerva – La rivista delle riviste”, n. 1 – 1 gennaio 1928)

La radiofonia è ancora in periodo di sviluppo – scrive OLIVIERO H. P. GARRETT nell'American Review of Reviews di novembre. – È passata la prima febbre. Come le miniere aurifere e i primi cinematografi, questa scoperta fece balenare la prospettiva di rapidi e facili guadagni; negli Stati Uniti sorsero innumerevoli stazioni trasmittenti: ogni grande azienda industriale o commerciale, alberghi, giornali, ecc., ciascuno volle impiantare la propria stazione, a scopo di pubblicità. Il Governo, in questi ultimi cinque anni, ha concesso circa 1500 licenze di stazioni, delle quali soltanto 695 sono ora in funzione. La possibilità di far giungere la propria voce in centinaia di migliaia di case senza neppur picchiare alla porta apparve a molti come la scoperta di una miniera d'oro. Era invece una grande miniera di ferro, non meno preziosa, ma che soltanto con l'avvedutezza, la pazienza e la cura assidua può fruttare ricchezza. Stazioni a catena. È tuttavia confortante il fatto che crescono ogni anno gli introiti delle stazioni per il servizio di pubblicità. Tali introiti per ora non superano i 100 mila dollari per ciascuna delle maggiori stazioni; ma, col progressivo aumento, la National Broadcasting Company, per esempio, che ora ha un deficit annuo di 800.000 dollari, sarà in grado fra un anno di coprire tutte le spese delle sue stazioni a catena. Anche la Columbia Phonograph Company ha organizzato una catena di stazioni per competere con quella della della National Broadcasting Company. Inoltre, con la sovvenzione di un Inglese cointeressato e recatosi appositamente a Nova York, fu istituito il Columbia Broadcasting System, una rete di stazioni in tutti gli Stati Uniti, che con la buona volontà spera di riuscire a coprire le spese. La Radio Corporation si è messa d'accordo con la General Electric Company, e fa la pubblicità ai loro apparecchi radiofonici. Se in tal modo si potranno indurre i venti milioni e più di famiglie degli Stati Uniti a comprare apparecchi radio, invece dei 5 milioni e duecentomila che ora li posseggono, l'utile sarà enorme. È un fatto strano che centinaia di altri fabbricanti di apparecchi radio e accessori, salvo una mezza dozzina di notevoli eccezioni, non abbiano partecipato allo sviluppo delle comunicazioni radiofoniche. Le stazioni trasmittenti appartengono a giornali, alberghi, compagnie di assicurazione, agenzie di pubblicità, servizi pubblici, venditori di automobili, associazioni, chiese, sindacati operai, ecc., ecc. Ognuno di essi ha fatto agire la propria stazione con perdita, la quale è aumentata, ogni anno, perchè le stazioni isolate non hanno un raggio d'azione adatto a una larga pubblicità. Le stazioni più accreditate sono concordi nel reputare che il raggio entro il quale una comunicazione può giungere con sufficiente chiarezza non supera il 150 chilometri. A maggiore distanza la difficoltà e i disturbi di trasmissione fanno sì che il numero degli ascoltatori sui quali si può contare non supera i 100 mila. Le stazioni serie si rifiutano di precisare il numero dei loro ascoltatori. Esse dicono al cliente, che ricorre a loro per la pubblicità, quanti apparecchi radiofonici si trovano dentro un raggio di 150 chillometri, e lasciano che l'interessato calcoli da sé il numero degli ascoltatori. Il sistema a catena, invece, permette di allargare enormemente il raggio delle comunicazioni radiofoniche. Su di esso si fonda in gran parte l'avvenire della radio. Esso rende possibile alle stazioni lontane da Nova York di dare programmi di prima qualità, che vengono a esse trasmessi da una stazione potente di quella città. I programmi. Le società radiofoniche ricevono migliaia di lettere dagli asccoltatori, il 95 per cento delle quali sono laudative, ma inutili per determinare quali siano i programmi preferiti dal pubblico. Non una riga di critica intelligente in tante lettere. Ve ne sono tuttavia d'interessanti, come alcune di ciechi i quali descrivono il piacere provato dalle audizioni radiofoniche; troviamo la vecchia costretta a rimanere in casa che gode di questo contatto col mondo esterno; le persone che vivono nei campi minerari dell'Alaska settentrionale e di altre regioni squallide e che piangono nello scrivere le loro lettere di ringraziamento. Ma non per effetto delle lettere è migliorata la tecnica delle radiotrasmissioni. Quasi ogni nuova idea per aumentare le attrattive della radio è sorta dalle stazioni stesse. Il costante miglioramento dei programmi ha contribuito a impedire quell'arresto nell'interessamento che succede al primo entusiasmo, come avviene per molte novità. Durante il 1927 sono stati spesi ben due milioni di dollari per l'esecuzione dei programmi della sola rete della National Broadcasting Company, la quale ha una vasta collezione di opere, commedie musicali, ecc., particolarmente adatte alle esigenze della radiofonia. V'è lo scrittore che si è specializzato nel comporre drammi per la radio, e vi è tutto un gruppo di musicisti i quali sono adibiti esclusivamente alla composizione di musica per il microfono. Il direttore incaricato della scelta e dell'esecuzione dei programmi deve essere in pari tempo un artista e un tecnico. Ben quindici microfoni occorrono per trasmettere tutto il Faust; si fondono suoni e voci provenienti da punti diversi senza che uno rechi disturbo all'altro. Ma, per contro, vi sono molte piccole stazioni che per delle ore non fanno altro che trasmettere musica da ballo. Esse ostacolano lo sviluppo della radio con intenti più nobili e più utili. Perché la radiofonia possa progredire sensibilmente – dice lo scrittore – bisogna ridurre le stazioni degli Stati Uniti a 250. Concludendo, le radiodiffusioni sono nel periodo dell'adolescenza. Sopravviveranno perché stanno trovando solida base economica necessaria alla loro resistenza; ma occorreranno alcuni anni ancora perché diventino, come tutto lascia sperare, una delle principali industrie del mondo.

(Estratto dalla rivista “Minerva – La rivista delle riviste” n. 6 – 16 marzo 1928)

Pochi hanno la fortuna toccata a me di vivere in contemplazione delle stelle tutte le sere negli anni giovanili in cui più forti sono le impressioni, e quindi sentirsi parte di loro e considerare il creato da un punto di vista universale – scrive FRANCIS YOUNGHUSBAND nella Nineteenth Century and After. – Non sorprende quindi se, quando scrissi un libro su La vita nelle stelle in cui affermavo che in alcuni pianeti debbono esistere esseri più perfetti di noi, e in uno il Reggitore del Mondo, suprema incarnazione dello Spirito Eterno che anima l'universo, molti abbiano detto trattarsi di oziosa speculazione, di fantasia, di pura suggestione. Ma io ho la temerarietà di sostenere che l'idea di esseri superiori dimoranti nelle stelle non è oziosa speculazione, poichè ciò è per me la conseguenza logica di fatti rivelati dalla scienza. Primo fra questi è il numero fantastico delle stelle; coi nostri limitatissimi mezzi di proiezione, possiamo già calcolarne ventimila milioni. Ora, quando si consideri che il numero delle stelle è così grande, che il Sole non occupa alcuna posizione specialmente favorita dell'universo, ma è soltanto una stella comune fra milioni di altre derivate dalla medesima nebulosa, e che questa nebulosa è una fra molte migliaia, si è tratti naturalmente a trovare estremamente inverosimile che sul nostro piccolo pianeta dimorino gli esseri più perfetti esistenti in tutto l'universo, così incredibilmente vasto. Astronomia e filosofia. L'astronomia ha compiuto miracoli nell'aumentare le nostre cognizioni sulle dimensioni e la costituzione dell'universo fisico: essa si occupa del corpo dell'universo come il fisiologo del corpo dell'uomo; ma per conoscere il vero uomo dobbiamo ricorrere a chi abbia una grande esperienza della vita e sia in grado di giudicare i movimenti delle azioni. Così per conoscere il vero universo dobbiamo ricorrere ai filosofi che ne studiano non il corpo ma l'intima ragione d'essere. L'astronomia e la fisica ci mostrano un universo che, tanto nell'insieme quanto nei suoi più piccoli componenti, è un meccanismo assai complicato che agisce da sè. Tutte le stelle, come le nebulose e i pianeti, come il nostro corpo, constano di atomi, ciascuno dei quali è in relazione con gli altri, come ci dimostra il fatto che la luce giunge a noi anche dalle stelle più lontane. Si aggiunga che l'universo è anche un meccanismo che si evolve da sè. Ma ciò, come dimostra il filosofo Turner in due suoi recenti lavori (Personality and Reality; The Nature of Deity), non implica l'assenza di una mente direttiva. Il Turner afferma che “il carattere meccanico ma evolutivo del mondo materiale non solo suggerisce ma neccessariamente implica una mente adeguatamente superiore”. Ma quale è la natura di questo Ente Supremo? Per rispondere a tale domanda dobbiamo considerare i più alti prodotti di questa lunga evoluzione del sistema cosmico, i nostri uomini più eletti. Scopo dell'Ente Supremo è, secondo il Turner, creare esseri capaci di diventare sempre più simili a lui. Ammesso ciò, ne consegue che in altre parti dell'universo l'Ente Supremo deve aver creato esseri per lo meno così simili a lui come siamo noi, e in qualche parte anche più perfetti, e in una stella un essere quasi simile a lui, il Reggitore del Mondo. Gli abitanti delle stelle. Possiamo formarci un'idea di questi esseri superiori? Senza dubbio. E queste non saranno congetture più di quanto non lo siano i calcoli dei fisici e dei matematici su ciò che avviene nell'interno di un atomo o di una stella. Da quello che avviene nel laboratorio gli scienziati riescono a dedurre ciò che deve avvenire in una stella. E dall'osservazione di ciò che avviene nella vita terrena si può arguire ciò che avviene sugli altri corpi celesti. Quale sia la forma precisa di questi esseri superiori sarebbe, naturalmente, pura congettura; ma la forma esteriore non importa, la cosa importante è la natura essenziale, e su questa possiamo giungere a conclusioni soddisfacenti. Poiché questi esseri derivano dallo stesso cosmo dal quale deriviamo noi, debbono essere soggetti alle medesime leggi universali che ci governano, nascere, crescere, accoppiarsi, morire come tutte le creature viventi; debbono associarsi e svolgere le loro qualità sociali; essere capaci di soffrire e fare il male. Il loro intelletto deve essere molto sviluppato, la loro conoscenza del mondo, delle leggi che lo governano e delle forze che vi agiscono deve essere certo molto maggiore della nostra. Debbono saper costruire oggetti per il loro uso e utilizzare le forze della natura molto meglio di quanto non facciamo noi; ma, più ancora che per l'ingegno e il sapere, debbono eccellere per la sensibilità e debbono essere particolarmente sensibili alle impressioni prodotte dal mondo spirituale e capaci di reagire a esse. E come noi, debbono avere una percezione di quel medesimo regno di Dio che è l'ultima mèta e l'esssenziale aspirazione di tutto il processo del mondo. E al par di noi debbono nutrire un grande amore per la perfezione suprema. Queste non sono vane fantasticherie e oziose speculazioni: è altrettanto certo che tali esseri esistono, come che gli elettroni esistono negli atomi. Non possiamo vederli col telescopio come non possiamo vedere gli elettroni al microscopio; ma possiamo asserirne l'esistenza con altrettanta certezza. E sembra naturale la supposizione che una stella suprema sia la sede del governo supremo dell'universo. Deve esistere questa sede, deve esservi un corpo governante, e questo corpo deve avere un capo, il quale è l'incarnazione, il rappresentante, l'agente esecutivo dell'Ente Supremo. Importanza del problema. Ma, si dirà, che cosa c'importa di sapere se vi siano o no esseri intelligenti nelle stelle, poichè sono milioni di miglia lontani da noi e non ci possono toccare? Ma io invece dico che possono toccarci; non che i singoli esseri di lassù influiscano sugl'individui di quaggiù, ma certo è che la questione della vita nelle stelle interessa tutto il nostro concetto del mondo in cui viviamo, in cui dobbiamo vivere. E questo concetto agisce su tutto il nostro tenore di vita. Se noi credessimo davvero che esista la vita solo sul nostro piccolo pianeta, e che fra i ventimila milioni di stelle non ve ne sia neppure un'altra con un pianeta abitato da creature intelligenti, se credessimo che la vita e la coscienza siano semplicemente uno scatto a vuoto, il risultato casuale di forze cieche, la nostra concezione della vita sarebbe meno fiduciosa che se saremo convinti di essere parte di una vasta comunità di spiriti che si estendono sino ai più lontani confini dell'universo sotto il controllo di un Ente Supremo che mira alla creazione di esseri più savi, più santi di tutti quelli che noi possiamo immaginare. Non conosco questione che possa avere conseguenze più fondamentali sull'avvenire della nostra razza – conclude l'autore – ed è tempo che i nostri intelletti più acuti e le nostre anime più sensibili rivolgano la loro attenzione alle stelle.