Capitolo 5

Rosso il cappotto.

rosso il cappello

Per quasi tre settimane il tempo cambiò a Violet Hill. Temporali e vento forte avevano sostituito il sole e il caldo asfissiante. La cosa non mi disturbava minimamente se non fosse che l’ufficio del turismo mi aveva bloccato il lavoro. Giorgia gentilmente mi aveva detto che nell’ufficio dove lavorava lei cercavano per un mese un addetto alle pulizie. Stavo per essere a secco e con tutto quello che facevano le zie per me non avevo il cuore di dire loro che non avevo i soldi per pagarle questo mese quindi accettai senza pensarci. Mi presentò lei stessa al responsabile e dopo un breve colloquio mi disse di presentarmi l’indomani. Giorgia mi guardò soddisfatta come se mi avessero proposto un contratto milionario, la ringraziai. Mi capitava spesso di vederla a lavoro, vestita precisa, puntuale nel consegnare quello che le chiedevano mentre io in divisa pulivo il pavimento. Una volta fermandomi davanti al lavandino del bagno mi guardai e mi vergognai in confronto a quelli che mi circondavano ogni giorno. Scossi la testa e continuai a pulire, avevo bisogno di quel lavoro.

Ricordo ancora quel giorno particolarmente freddo per essere estate, percorrevamo la strada insieme tra il vento e le nuvole minacciose colme di pioggia. Lei leggiadra camminava con una mano su un cappello rosso e l’altra che teneva chiuso il leggero cappotto dello stesso colore. La matita intorno agli occhi era sottile come le sue labbra. Io goffo le stavo affianco vestito con le prime cose prese dall’armadio. Ammisi che era davvero bella, perfetta nel modo di fare che nel vestire e per poco non andai a sbattere contro la palina del pullman. Quando arrivammo all’ingresso dell’ufficio un uomo sulla quarantina salutò Giorgia. -Uao, sei davvero bella oggi. Disse senza neppure guardami. -Grazie, sei molto gentile. Rispose con un sorrisetto. -Un vero peccato che tu sia ancora una stagista, una donna con il tuo portamento porterebbe aria nuova in ufficio. Mi sentii a disagio per lei, la presi per un braccio e l’accompagnai dentro, lo feci anche se non ne comprendevo il motivo. Tutto sotto lo sguardo dell’uomo che nascondeva, neanche troppo, un senso di disprezzo.

Quando uscimmo eravamo tutti e due stanchi. In silenzio ci dirigemmo verso quella che ormai chiamavamo casa immaginando che cosa avemmo messo sotto i denti. Le zie erano davvero delle ottime cuoche. Un rombo di tuono ci scosse dai nostri pensieri, le nuvole si erano fatte scure e dense. Ci guardammo e senza un parola cominciammo a camminare più in fretta possibile. Una goccia, due, tre, centinaia. Presi il mio piccolo ombrello dallo zaino, il vento lo girò al contrario e si ruppe. Imprecammo entrambi. Cominciammo a correre sino ad arrivare ad un piccolo parco giochi, un gazebo di legno fu il nostro rifugio. Ci lasciammo cadere sulla panca di legno scomodo, eravamo zuppi fino nell’anima. -Almeno il vento si è fermato. Sennò saremmo morti assiderati. Dissi con un filo di ironia nella parole. Giorgia si tolse il cappotto, si strizzò i capelli e mi guardò negli occhi, la matita era sparita insieme al trucco intorno alle guance. -Forse nella borsa si sono salvati due piccoli asciugamani, ne vuoi uno? Annuì. Con gesti veloci prese la borsa e frugò all’interno, sino a trovarli, me ne diede uno e cercai di asciugarmi il più possibile. Giorgia se lo passò con delicatezza sul collo pallido, inspirò l’aria. -Porca troia quanto mi piace l’odore della pioggia, mi fa sentire fottutamente me stessa. La guardai con gli occhi sgranati. Mai, nel poco tempo in cui ci conoscevamo, l’avevo sentita esprimersi così. -Stamattina quando mi hai portato via da quell’uomo…Grazie. Bofonchiai qualcosa arrossendo. -Cosa pensi di me Ben? Disse guardandomi negli occhi. -Che sei una donna indipendente, brava nel suo lavoro e anche una gran rompiballe. Dissi imitando dal voce di Alex. Ridemmo insieme. Tirai un sospiro di sollievo, non mi piacevano quelle domande. -Sai, dove lavoro devo essere perfetta, puntuale, bella. Quando stamattina quell’uomo ha detto quella frase, ho capito che se non avessi questo aspetto fisico non avrei neppure un posto da stagista in quel posto. Continuai ad ascoltare in silenzio. -Io non voglio essere scelta per come sono esteriormente, ma per quello che so fare. -Penso che guardino anche quello. Dubito che si fermino alla prima impressione. Lei mi sorrise. -Se una volta mi presentassi senza trucco, senza questi vestiti pensi che mi terrebbero? -A parte che sei bella anche in tuta e senza trucco. -Sei uno sciocco adulatore ma ti ringrazio. Tornò a guardare davanti a lei.
-Ma il mondo non è fatto di persone come te. Per quanto possano sembrare tutti cordiali, aspettano solo il momento in cui commetti un piccolo errore. -Perché continui a stare in quel mondo allora? -Forse perché nel profondo sono come loro. Giudico le persone da come si vestono, da come parlano. Eppure vorrei che gli altri non lo facessero con me. Ho passato metà della mia vita a sentirmi dire che ero bellissima, che dovevo vestirmi in un certo modo sennò non avrei trovato lavoro, un uomo. Odiavo sentirmelo dire e alla fine è quello che faccio tutti i giorni. Sono una bella ipocrita eh? -L’importanza di apparire. Dissi a bassa voce. -Si dice che l’abito non fa il monaco, ma porca troia, lo fa, non c’è nulla da fare. Giorgia si alzò e si appoggiò ad uno dei quattro pali di legno che tenevano in piedi il nostro guscio. -Penso che ci sia sempre una parte di noi che andrà oltre. Guarderà le persone per come sono e non per come si mostrano in pubblico.
Restammo in silenzio e lei si risedette vicino a me, tremava leggermente, presi dallo zaino una felpa che stranamente era asciutta. Gliela passai e mi sorrise con una dolcezza che mi sciolse. -Forse hai ragione, ma io continuerò ad apparire come non sono sino a dimenticarmi come ero. Riflettei un attimo.
-Forse non sei tu, ma questo mondo sbagliato, ci insegna ideali che non sono giusti ma che tutti attuano per sfamare il proprio ego. Dissi. -Il cambiamento deve venire da noi stessi prima che negli altri. Mi rispose tombale. -Facile a dirsi e non a farsi. Ammisi -Il mondo lo costruiamo noi e nessun altro. So che è un discorso ipocrita, io per prima non lo faccio e forse mi sono arresa. -Non è mai troppo tardi per cambiare. Guardai verso la pioggia, le gocce sembravano fendere la realtà, da una parte noi e dall’altra un mondo che non ci apparteneva.

Ben

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