La casa sulla Ferrovia

Violet Hill, città di provincia. Un lago e diecimila anime immerse tra le colline colorate di viole. Ero nato lì, in quella unica città italiana che manteneva il nome dato dagli alleati durante la liberazione del ’45.
Dicevano di doverlo al battaglione inglese che li aveva liberati dai fascisti, a quell’epoca non mi importava molto di quei discorsi. Ero troppo giovane o troppo egoista per capire l’importanza di mantenere viva la memoria storica del nostro paese. Ora cerco di insegnarlo. Oggi nella casa nella grande città, dove mi sono trasferito e aver trovato lavoro come insegnante, ho trovato un mio vecchio zaino con all’interno una foto di una tavolata. Sette persone sedute ad un tavolo, sorrisi misti tra imbarazzo e sincerità. Sette visi che cambiarono il mio modo di vedere alcune cose della mia vita. Parlare e vivere con loro per un periodo, che mi è sembrato una vita, mi ha forse fatto diventare l’uomo che sono ora. L’ultima estate a Violet Hill.

Capitolo 1

Occhi tra i fogli

-Piove sempre sul bagnato!” Esclamai sotto il diluvio universale. Una signora mi guardò torva e continuò a proseguire con il suo ombrello a fiorellini. Come avrei potuto darle torto? barba incolta, capelli zuppi, zaino con spille multicolore e pantaloni strappati, sembravo un tossico. Qui chiunque non abbia un certo portamento viene subito etichettato come “strano” o “tossico”. -Maledetta città di provincia e maledetta pioggia, proprio oggi che mi hanno sbattuto fuori casa. Con quella esclamazione non migliorai la mia situazione e la signora sparì dietro un angolo veloce come un gatto che sentiva l’odore del suo cibo preferito.
Scossi la testa cercando un riparo dal temporale e dal vento che cominciava a lacerarmi le ossa. In fondo alla strada un bar con un’insegna di una teiera. Mai lo avevo notato. Mi affrettai ed entrai con foga. Una signora di mezza età con occhi stretti mi fissò come se mi stesse guardando l’anima, io sorrisi a trentadue denti, già immaginando che mi avrebbe accompagnato alla porta. In cinese gridò qualcosa alla ragazza dietro al bancone. -Ecco ci siamo. Pensai. Stavo per uscire da solo quando in un italiano stentato mi disse di sedermi indicandomi un divanetto rosso a fianco a me. Poco dopo arrivò una ragazza con i capelli raccolti in una coda e gli occhiali. Mi sorrise e mi diede un asciugamano, poi mi chiese se volevo un the caldo da bere. Mi toccai la tasca, avevo ancora qualche euro da parte e annuì sorridendo. Mi elencò tutti i The che aveva, cinesi, giapponesi, ne presi uno a caso sperando che non costasse più di quanto avevo in tasca. Con un altro sorriso si diresse dietro il bancone e disse qualcosa alla terza persona che stava lavando le tazzine. Mi guardai intorno, tutti i commensali non mi guardavo più e chiacchieravo di sport e di pensioni. In quel momento alzavo l’eta media. Appoggiai le braccia sul tavolo e mi passai l’asciugamano sui capelli e sul viso, sapeva di rose. Con il panno davanti alla faccia e il profumo che mi inebriava le narici mi sistemai più comodo sul divanetto e inspirai. Quando lo tolsi davanti a me c’erano parecchi fogli, un dizionario spesso come due mattoni, un tablet e decine di penne colorate. Due piccoli occhi tra dietro lenti rotonde mi stavano fissando. Deglutì. – Stai cercando di bagnare i miei appunti? Disse una voce femminile. I suoi occhi erano come quelli della signora che mi aveva accolto, ma ancora più freddi. -Scusami, nella fretta non avevo visto che eri seduta qui. Ora mi trovo un altro posto. -No, puoi restare. Solo fai attenzione a dove metti le mani. Sospirai pensando a dove fossi finito. Mai avevo notato un Bar di cinesi vicino a dove abitavo. -Non importa, appena finisce il temporale andrò via e cercherò un nuovo posto dove dormire. Pensai. La ragazza portò il The che avevo scelto e qualche biscotto. Mi disse che quelli li offriva la casa. Mi sentii fortunato per una volta. Mi versai il caldo contenuto nella piccola tazzina e annusai, era buono, sapeva di fiori e frutta, ne bevvi un sorso e subito mi scaldai. – Non hai una bella cera. Gli occhi erano tornati a fissarmi. -Ho preso troppa pioggia, dopo che mi sarò fatto una doccia andrà meglio. Sorrisi a stento pensando che avrebbe dovuto farsi i fatti suoi. Come si avesse letto nel pensiero la ragazza spostò il tablet mostrando tutto il suo viso. Aveva circa tredici anni, capelli lunghi e lisci sino alle spalle. Arricciò il piccolo naso e mi scrutò a fondo. Bevvi nervosamente di nuovo dalla tazzina. -Non so come la gente possa bere il The. Disse alzandosi e dirigendosi verso il bancone, tornò poco dopo con una tazza gigante. Si sedette al suo posto. -Acqua calda. Il meglio che si possa desiderare. Ero confuso, forse stavo sognando. Presi un biscotto e ne morsi un pezzetto. Era buonissimo. Mangiai avidamente il resto. La ragazza continuava a fissarmi mentre trangugiava la sua acqua. -Ne vuoi uno? -No, non mi piacciono i dolci, mia sorella li fa bene, ma io non li mangio. Annuì nervosamente. -Che cosa ti piace della vita? Chiese. improvvisamente mentre posava la tazza. I suoi occhi non si staccavano da me. -Della vita? Mai avevo pensato cosa mi piacesse della vita, da alcuni anni vivevo alla giornata cercando di finire l’università. Trovavo dei lavoretti all’ufficio del turismo come fotografo ma mi bastavano appena per gli studi. Guardai alla mia destra, c’era uno specchio. Mi toccai il viso. Venticinque anni e non sentirli. La barba scura e incolta mi faceva sembrare più vecchio di almeno cinque anni, i capelli corti e scuri erano in disordine grazie all’asciugamano. Gli occhi marroni erano segnati dalle preoccupazioni. -Cosa mi piace della vita? Lei annuì, i suoi occhi non nascondevano la curiosità. Avrei voluto dirle che mi faceva cagare la mia vita, che non ero riuscito a combinare nulla di buono, che ero in crisi, che non avevo una ragazza, una famiglia, una laurea, un lavoro vero… Eppure guardandola negli occhi dissi una cosa che mai mi sarei aspettato. -Mi piacciono le persone. Conoscerle e capirle, di solito sono bravo a capire le persone. In lei si accese come una luce. -A te invece? le chiesi. Bevve un sorso dalla tazza, feci lo stesso. -A me piace parlare con le persone, persone che non ti giudicano, quelle persone che anche se stai in silenzio rimangono tali senza l’imbarazzo di dover per forza dire qualcosa. Anche se preferisco di più ascoltarle. Bevvi tutto il liquido dentro la tazza, quelle parole mi scesero nel profondo sino allo stomaco. -E’ difficile trovare quel tipo di persona. Lei annuì guardando dentro la tazza. Improvvisamente la ragazza con la coda si presentò al tavolo. -Spero ti stia piacendo il the. -Assolutamente! E’ davvero ottimo! -Spero anche che mia sorella non ti stia disturbando. -Cazzo, sto solo facendo un po’ di conversazione! Rispose adirata mentre i suoi occhi ritornarono su appunti e libri. – Nessun disturbo, mi piace la sua compagnia. Un piccolo sorriso comparve tra le sue labbra. -Sei in partenza? Mi chiese guardando lo zaino. -No, sto cercando un posto dove dormire, ho dovuto lasciare il mio appartamento. Per… ecco… delle incomprensioni. Lei mi guardò confusa. La ragazzina prese la parola. -Perché non lo mandi dalle due signore della ferrovia? Quelli che hanno pochi soldi vanno tutti lì a dormire. -Xiao, non fare la maleducata! -Ecco, in realtà in questo periodo sono a corto… se mi dite dov’è questo posto… La mia voce era talmente flebile che quasi non si sentiva. -Ma certo! Sono delle nostre clienti, affittano stanze a poco, hanno una casa davanti alla ferrovia. Disse in fretta. Poco dopo tornò con un pezzo di carta e l’indirizzo. -Ecco qui. Dì che ti mandiamo noi, la famiglia del Bar, loro capiranno. Guardai fuori e ormai il temporale era finito, la ragazza dai capelli raccolti mi guardava sorridendo mentre la ragazzina era tornata ai suoi studi. Pagai promettendomi di tornare a parlarci.

Ben

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