Post 1, Silent Hill

Il titolo di questo blog è ispirato ad uno dei libri più belli mai usciti sulla faccia della terra, e cioè “L'uomo ad una dimensione” di Walter Benjamin. Ho sempre avuto un deciso interesse per le scienze sociali, e l'ho sempre cercato di mescolare con le mie ossessioni per i videogiochi e il cinema. Quale migliore occasione di un blog quindi per cercare di far passare un messaggio? Una delle cose che non ho mai sopportato dei cosiddetti “divulgatori” odierni è il loro continuo cercare di pararsi il culo con chi gli da il pane. Fare critica ma non troppo, giudicare ma non troppo negativamente perché chissà, non si sa mai che qualche porta possa rimanermi chiusa. E molto spesso a parlare e a dare opinioni è anche gente che non si rende conto della propria ignoranza, o dei paraocchi pregiudizievoli che ha sulla faccia. Io ho studiato, mi sono fatto il culo a farlo e penso di essere abbastanza bravo nel mio lavoro. Quindi, senza influenze esterne e senza pregiudizi, voglio cercare di proporre delle riflessioni che tramite il dialogo possano svilupparsi e creare stimoli per crescere, sia per me che le scrivo, sia per chi le legge.

Quindi ripesco un mio vecchio post di Facebook riguardante Silent Hill 2 Remake (chiaramente ignorato dalla folta schiera di parenti che mi hanno come amico) che mi ha fatto riflettere molto.

Silent Hill 2 è un ottimo gioco, sicuramente, ma è pur sempre figlio della nostra epoca. In quanto tale, segue dei dettami che ormai sembrano essere intoccabili e divenuti un vero e proprio dogma. I primi Silent Hill sono sempre riusciti con estrema efficacia a comunicare alcuni concetti con cui l'essere umano, volente o nolente, durante la propria vita deve affrontare. L'hanno sempre fatto metaforicamente, in modo grezzo, spaventoso e, a loro modo, reale. Entrare nella mente umana, soprattutto in Silent Hill 2, significa entrare in un posto schifoso, arrugginito, affaticato dai mille ingranaggi che girano nella testa del protagonista e che pian piano acquisiscono chiarezza fino al finale travolgente e chiarificatore. Questa sporcizia, questa decadenza, che fino a pochi anni fa era un argomento che nelle opere artistiche di massa non avevamo paura di affrontare e mostrare, perché è scomparsa? Perché adattare un prodotto agli standard odierni molto spesso significa “ripulirlo” da tutto ciò che potrebbe turbare chi ne usufruisce? Siamo diventati così fifoni che perfino in un gioco di genere “horror psicologico” dobbiamo sentirci al sicuro? Oppure è chi produce opere multimediali di massa (che oggi possiamo ritenere pedagogiche per le giovani generazioni quanto e più di un libro di testo) a non volerci coraggiosi? Il terrore è formativo, è essenziale per far si che un uomo affronti la vita a viso aperto. Ma è anche analizzando le piccole, stupide, cose (come ad esempio due immagini comparative di un videogioco e il suo remake), che possiamo trarre le conclusioni su quello che l'egemonia culturale vuole che siamo e su come siano cambiate le persone in oltre vent'anni.