Che ci stavi a fare??

Parlando di quanto faccia schifo facebook, oggi ho ricevuto questa domanda. Non è la prima volta che vedo questo atteggiamento nel fediverso, una sorta di victim blaming per chiunque abbia avuto esperienze negative sui social proprietari, è colpa tua che stavi lì. Ricorda moltissimo e tu perché esci di notte da sola?? I perché possono essere i più disparati, ma dovrebbero essere messe in discussione le storture strutturali della piattaforma, non le persone che hanno subito quelle storture o i loro perché.

Capisco la tentazione di farsi grossi e fighi perché puristi dei social federati, c'è chi ama lucidarsi l'ego e sentirsi parte di una élite illuminata che giammai compirebbe l'errore di stare sui social mainstream, ma impostare la discussione su chi piscia più lontano non porta da nessuna parte.

Perché è importante poter parlare della propria esperienza

Raccontare la propria esperienza personale e ascoltare quella di altrə è sempre importante. Rivedersi nell'esperienza dell'altrə è importante. Trovate validazione e rimettere le cose in prospettiva è importante. Serve a smettere di dare per scontato che le cose vanno così, sono sempre andate così, e andranno sempre così. Serve a capire quali cose sono da cambiare, ripensare, aggiustare, evitare, condannare. Cose che si danno per scontate e non dovrebbero esserlo. In questo caso specifico, serve anche ad evitare errori potenzialmente disastrosi come la federazione di Meta. O ad incoraggiare altrə ad abbandonare i social proprietari.

Ma quindi perché stavi su facebook?

La mia esperienza su fb è distante dall'esperienza di tantə con cui ho avuto modo di parlare. Non era una 'vetrina' della mia vita. Non ho mai postato informazioni personali. Ho falsificato carte d'identità per mantenere un nome fittizio, i miei familiari non erano tra i miei contatti (e anche pochi amici irl), niente colleghi, niente foto di eventi e luoghi (escluse le manif), praticamente zero contatto con la mia vita offline. Il mio primo account, aperto nel 2006, si chiamava Il Dito Medio e pubblicava esclusivamente contenuti informativi e ironici di tipo politico, oggi si chiamerebbe shitposting. Non aveva nessuna pretesa, lo gestivo in comune con un'amica. Poi un ragazzino di un liceo X mi chiese l'amicizia e cominciò ad interagire, poi un altro ancora, e in breve avevamo l'intero liceo che tramite il passaparola seguiva il Dito Medio. Radicalizzavamo ragazzinə su temi come la parità di genere, l'antiautoritarismo, l'antirazzismo, l'anticapitalismo. Si aggiunsero anche un paio di professorə, ci contattavano in privato per suggerire contenuti o discutere argomenti. Mi sembrava una cosa meravigliosa. In breve raggiungemmo il limite di contatti consentiti (all'epoca non esistevano le pagine fan, solo gli account personali). Il potenziale di fb prima della totale enshittification era meraviglioso. Tantə ci contattavano in privato per raccontarsi e chiedere consiglio. Si apriva il vaso di pandora dei primi, rudimentali #metoo. Poi arrivò il primo ban. Ho creato molti altri account. E poi arrivarono le pagine fan e i gruppi. Nel giro di poco mi ritrovai a gestirne decine, tra produzione di contenuti e moderazione, ma ciò che maggiormente mi assorbiva era il flusso costante di messaggi con richieste di supporto, aiuto, o semplicemente ascolto. Era un fiume. Per ogni storia che pubblicavamo, ne spuntavano altre centinaia che volevano ascolto. Si aprivano le cateratte. Fb era generalista per natura e chi ci contattava spesso non aveva mai sentito parlare di femminismo, all'epoca anche l'intersezionalità e queer erano parole mai sentite. Era un costante lavoro di traduzione dal linguaggio dell'attivismo puro e quello del femminismo accademico a contenuti digeribili e di natura pratica, post brevi, meme. Per spiegare che no, non è normale quello che succede ai soggetti femminilizzati, razzializzati, queer. Non è normale e non se lo sono andato a cercare e tuttə dobbiamo agire per cambiare le cose. Attraverso meme e campagne semplici e comprensibili arrivavamo dappertutto, a volte il tam tam era talmente diffuso da finire anche sui giornali. Si diffondeva a macchia d'olio. L'algoritmo all'epoca non ci contrastava eccessivamente. Trattavamo temi mai visti come la body positivity, il revenge porn, la violenza ostetrica, la mascolinità positiva... Le testimonianze che ci arrivano erano nell'ordine delle centinaia a settimana, a volte migliaia durante le campagne, e facevamo di tutto per creare dei safe space per permettere alle identità marginalizzate di discuterne senza essere aggredite. Mantenere safe i nostri spazi era un vera guerra. Ho perso il conto di quanti gruppi e pagine moderavo o contribuivo a moderare, di quanti progetti e campagne seguivo e supportavo. Sembrava che secoli di silenzio si volessero rompere in un colpo solo. È stato magnifico e terrificante, mi ha impegnata per anni, mi ha segnata profondamente.

Questo per me era facebook. Una piattaforma che permetteva la diffusione di temi estremamente di nicchia e controversi ad un pubblico generalista che altrimenti non ne avrebbe mai sentito parlare, e in particolare ad un pubblico che aveva un infinito bisogno di sentirne parlare, e di parlarne a sua volta.

Davamo un nome a cose prima innominabili, incomprensibili, che restavano a macerare nel non detto. Chi riconosceva quell'esperienza come propria, non vedeva l'ora di potergli dare un nome e poterne parlare.

Ovviamente eravamo sotto attacco costante, lo siamo statə per anni senza soluzione di continuità. Un flusso incontrastato di odio, auguri e minacce di morte e stupro, tentativi di doxxing, denunce, bombing di immagini gore, qualunque cosa. Io mi sentivo relativamente al sicuro perché la mia identità era ben protetta, e creavo documenti falsi perché lə compagnə che non volevano esporsi potessero mantenere nomi fittizi su fb. Ma le cose brutte accadevano ed erano tante. Ho avuto i miei momenti di burnout, come tuttə, e di allontanamento da fb, ma poi tornavo sempre perché sentivo che c'era ancora troppo da fare. Il flusso di testimonianze e richieste di ascolto non si arrestava e io non volevo e non potevo abbandonare. Poi cominciarono i ban, quelli che rendevano il lavoro impossibile. Fb riusciva a bloccare ogni nuovo account che creavo, spesso chiudeva gruppi e pagine, anche quelle di riserva. Per circa 5 anni è stato un saltare da un account all'altro, estenuante. Ricevevamo troppe false segnalazioni per spam, hate speech, pornografia, e la moderazione automatica dava spesso per scontato che fossero vere. Il mio primo ban lungo (un mese) me lo beccai per la foto assolutamente innocente di una suora che passeggiava in spiaggia (nell'ambito del divieto per le donne musulmane di andare in spiaggia velate). Parlavamo di temi sgraditi all'algoritmo ed eravamo ormai nel libro nero, ogni segnalazione era instaban. Finche fb non si è fatto ancora più furbo e anche saltare da un account all'altro non bastava più. Le pagine che gestivo andarono tutte in shadowban. I nostri contenuti non avevano più alcuna diffusione. Il flusso delle testimonianze e delle richieste di aiuto si allentava. Le campagne diminuivano e la stanchezza aveva la meglio. Circa 3 anni fa ho cominciato a chiamarmene fuori, fino ad arrivare a gestire solo 3 pagine, e sempre con meno costanza. Quando fb ha annunciato che bisognava pagare per non farsi profilare anche i peli del chiulo, ho sentito che non ne valeva più la pena. Ho chiuso bottega e mi sono spostata su mastodon. Non che non ci avessi provato prima. Avevo un account su mastodon già da un paio d'anni, ed ero anche su diaspora da molto prima, ma lì non c'era modo di raggiungere quel pubblico mainstream che avevamo raggiunto su fb, e che continuava a richiedere attenzione e ascolto. E quindi abbozzavo e tornavo su fb, finché non sono arrivata alla rottura finale.

Ecco, questa è per larghe linee la mia esperienza di fb e i motivi che mi hanno tenuta per 16 anni su quella piattaforma. Vedevo l'uso che altrə ne facevano, come di una sorta di vetrina personale, ma era un uso che mi era estraneo e mi avrebbe messo a disagio se avessi provato ad adottarlo. Per me il privato è politico ed è un'arma, come tale lo usavo. Postavo foto di me durante le campagne di body positivity, foto per nulla patinate che mostravano cellulite e peli nel tentativo di normalizzare il corpo reale, e ovviamente anonime, ma nei miei profili non c'era mai la foto del mio viso in chiaro. Raccontavo cose estremamente private, ho parlato di molestie e violenze subite, per incoraggiare altrə a parlarne. Non rivendicavo alcuna visibilità personale, non mi sembrava utile. Pochissimə sanno chi sono online. Mi muovevo in una bolla di compagnə che facevano altrettanto e per un lungo periodo ha funzionato, ha sortito un effetto che è stata una valanga. Forse funziona ancora, ma mi sento infinitamente vecchia e infinitamente stanca e sono più che felice di passare il testimone ad altrə, ritagliarmi il mio pacifico angolino fuori dalle piattaforme proprietarie e deporre le armi, almeno per quanto riguarda l'online.

Non penso che ci sia nulla di male nell'uso che altrə fanno o hanno fatto dei social propietari, che sia chiaro. Non voglio dire che la mia esperienza è migliore, semplicemente aveva motivazioni diverse, è stato per me un modo di elaborare la mia storia personale e dargli un senso. Altrə hanno diverse motivazioni ed esigenze, e non mi piace chi le liquida superficialmente come “vanità”. È molto più complicato di così.

Spero vivamente in un cambio di atteggiamento verso chi proviene dai social proprietari. Moltə approdano al fediverso in cerca di un'oasi tranquilla, non dell'ennesimo giudizio. Se volete applausi per essere stati sempre fuori dai social proprietari, non aver mai postato foto “vanitose”, o qualunque altro exploit di purezza, fatevelo allo specchio. Non serve proprio a nessunə. Spero che si possa parlare apertamente delle esperienze che ci hanno tenutə sui social tossici, e che ci hanno portato ad uscirne, perché può incoraggiare altrə a riconoscere le tossicità e allontanarsene. Se c'è qualcosa che ho imparato in questi anni è questo: ascoltare l'esperienza altrui, e ritrovarvi la propria, ha un potenziale rivoluzionario.