PSEUDOGUIDA DI SOPRAVVIVENZA PER SMONTARE VIVI I DOCUMENTI IN CUI COMPAIONO LA PAROLA “OBBLIGO” E ALTRE ABOMINEVOLI CREATURE FASCIOLINGUISTICHE – cap.1

Log è uno spazio bianco infinito che ci fa respirare e pensare. Respirare e pensare mi portano spesso a riflettere sulle cose che ho più a cuore, quelle per le quali sento valido il valore della lotta. Una di queste è la scuola. Ecco perchè voglio iniziare parlando di un'organizzazione molto particolare e pervasiva rispetto alla società in cui viviamo: il sistema educativo italiano. È una roba vasta, vastissima. Quindi vorrei procedere per gradi, iniziando da un quadro generale.

Il sistema educativo italiano è un modello rigido e strutturato, basato su una normativa derivante dall'art.34 (la scuola è aperta a tutti, l'istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita, i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi, la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio-assegni-altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso... ecc... quelle cose lì), che dovrebbe definire in linea generale le caratteristiche più importanti di questo tipo di organizzazione, tra obblighi dei cittadini e doveri dello Stato.

L'obbligo normativo viene calato goffamente (soprattutto dal punto di vista della scelta lessicale) nella pratica. Si stabiliscono almeno 8 anni di istruzione obbligatoria (6-11 anni e 11-14 anni, per elementari e medie) e tutto il resto è facoltativo ma in realtà no, perchè l'obbligo d'istruzione in base alla normativa vigente scade esattamente al compimento del sedicesimo anno d'età, quindi a metà di un ideale ciclo scolastico successivo (quello 14-19 anni) svincolato dall'obbligo number one. La chiamano “anomalia”. Un'anomalia che va avanti quasi dai tempi dell'unificazione nazionale. Obbligare senza obbligare è un grande caposaldo della violenza psicologica. Quante volte ho detto “obbligo/obbligare”? Ma andiamo avanti.

La fase successiva, quella dai 19 anni in poi, viene detta dell'alta formazione o della formazione terziaria. Formazione primaria, formazione secondaria, formazione terziaria: una terminologia che dà l'idea delle priorità nazionali (l'economia prima di tutto) e che rispecchia perfettamente anche il livello di cura e considerazione con cui vengono trattate le persone che questi vari gradi li frequentano, insomma.

Questa organizzazione delle complicanze è organizzata tramite un sistema di governance piramidale alla Briatore. Al vertice sta il MIUR (ministero istruzione università e ricerca, organo statale diviso in tre dipartimenti in base alle competenze settoriali) ((già il fatto che istruzione e università siano scandite e che non ci sia un benché minimo accenno pedagogico tra i termini scelti per l'acronimo fa abbastanza stemare)) che si occupa di gestione e controllo del sistema educativo italiano – ripetiamo: gestione e controllo. Il MIUR ha poi proprie emanazioni territoriali locali, gli USR (uffici scolastici regionali), suddivisi a loro volta più peculiarmente in Ambiti Territoriali e Locali: è agli USR che, da parte della nave spaziale madre, arrivano i soldi da distribuire alle singole scuole in base alle disposizioni ministeriali. Di fatto gli USR sono supporti amministrativi e manutentori (fingono di occuparsi dello stato degli edifici adibiti a scuola per conto del MIUR) e bancomat ad erogazione controllata. Ma no, non abbiamo affatto trasformato la scuola in un'azienda. Andiamo avanti ancora un pezzetto.

Nonostante questo sistema diramato per vie nervose discendenti disegnato in base alle linee guida del dominio ministeriale, si dice che le scuole e gli atenei universitari lavorino in un regime di autonomia che è tale dal 1997: la legge 59 dello stesso anno stabilisce che Autonomia Scolastica significa per ogni istituto poter avere libertà decisionale e finanziaria, anche se di fatto è un'autonomia limitata perchè le finanze che gestisce vengono erogate da un centro esterno in base a disposizioni interne e le decisioni relative ad obiettivi formativi, selezione del personale e valutazione progettuale possono esser prese sempre entro un confine, una rosa di possibilità editata dal ministero. È un'autonomia ridotta e circoscritta, stabilità e misurata ben 25 anni fa, quando il mondo era un'altra cosa. Fai credere che la libertà sia una concessione per la quale dovresti pure essere ringraziato – ringraziato per averla prima sottratta e poi elargita in gocce – e otterrai il potere eterno: that's ministero's way.

In tutto questo il/la dirigente scolastico/a è la figura più coinvolta, poichè coordina la scuola e risponde sia al ministero che in prima persona delle problematiche interne all'istituto che dirige (in termini sia amministrativi che penali), oltre a firmare a mo di sigillo ufficiale il PTOF, ossia quel documento che la scuola stila per poter esercitare il minimo di autonomia sacrosanta che le normative le concedono. Nel PTOF (pubblico per ogni scuola, è liberamente consultabile) troviamo la filosofia, l'approccio promosso dalla scuola stessa espresso in forma di manifesto della sua propria politica interna... che è comunque frutto di uno studio pedissequo della politica educativa interna nazionale. Le linee guida per la redazione del PTOF arrivano sempre e comunque dal MIUR. Che non ci capiti di essere troppo creativi, ci mancherebbe. Meno slancio c'è, più è semplice esercitare il controllo.

Ricapitolando. Le prime parole/concetti chiave che abbiamo incontrato nel perlustrare il sedicente sistema educativo italiano sono: • modello rigido • obbligo • dovere • istruzione obbligatoria ≠ obbligo d'istruzione • formazione primaria/secondaria/terziaria... tombola! • sistema di governance piramidale • gestione • controllo • disposizioni ministeriali • dominio • regime di autonomia • dirigente scolastico/a • politica interna

Una visione della scuola come luogo di regime aziendale porta alla capitalizzazione, alla formalizzazione e alla categorizzazione del sapere e delle persone.

“1. il sapere formale è accumulato nei testi e negli insegnanti, come denaro in una banca; 2. il discente imparando prende in prestito quelle conoscenze altrui e le mette nel proprio deposito; 3. l'insegnante cura la corretta transazione e chiede un rendiconto dei prestiti; 4. alla fine, se saprà far fruttare queste conoscenze, il discente potrà diventare lui stesso fonte di conoscenza.”

Lo vedete anche voi quanto è breve il passo da questa puntualissima declinazione del processo di apprendimento dentro la scuola trasmissiva come fosse un modello depositario bancario pensata da Paulo Freire e il sistema piramidale che è stato scelto come base solida su cui edificare scuole di diverso ordine e grado?

Sentite più vicino, ora, il rumore degli ingranaggi mossi da studentesse e studenti che macinano le ossa di altre studentesse e studenti?

Oggi la pseudoguida si interrompe qui. Vediamo come proseguire il viaggio.

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