Alien, la clessidra e il mal di denti
Non so se fosse in prima o seconda visione, Alien, quando l'ho visto per la prima volta. Visto, comunque, sul solito televisore, chiaramente in bianco e nero e con una ricezione non esattamente ottimale.
La scena del viaggiatore spaziale (poi avrei saputo, anni dopo, che lo chiamavano space jockey), il facehugger che evolve in chestburster. Quel portello spalancato sullo spazio che pare non chiudersi mai.
Quella sera, mia mamma aveva un forte mal di denti e, il giorno dopo, andammo dal dentista. Mentre lei attendeva il suo turno, mio padre mi portò a perdere un po' di tempo in un piccolo supermercato a pochi passi, in cui lavorava tale [omissis], più grande di me di dieci anni e che molti anni dopo sarebbe diventato amico mio. Agli albori della nostra amicizia, mi chiamava “trumbettella”: in quel periodo bevevo un bel po' e reggevo spesso la birretta in posa da Miles Davis. Comunque, mi comprò un sacchetto di patatine e dentro c'era una di quelle pistoline di plastica caricate a elastici, che ne scagliano sei o sette, uno dopo l'altro premendo ripetutamente il grilletto. Era verde.
Trovammo anche una clessidra buttata in strada, una specie di blocco di resina giallastro, trasparente, ovalizzato. Tagliato in basso e in alto e lateralmente. Uno degli angoli era scheggiato. La sabbia dentro era di un rosa buio, oggi direi magenta con una piccola percentuale di ciano. Era un oggettino molto povero, ma oggi farebbe la sua bella figura in una stanza dal design Settanta. Mi piaceva molto veder scorrere quella sabbia. Ho visto quella clessidra ormai diversi anni fa, non so che fine abbia fatto.