Diamond is unbreakable. Jojo. Great Days.
Tutti conosciamo Jojo: storie impossibili, combattimenti come partite a scacchi (le mazzate al posto delle pedine), con sfidanti che portano avanti strategie basate sulle possibili venti mosse successive degli avversari. Il tutto farcito dalle caratteristiche pose, dai vestiti più scemi dell'animazione giapponese e da una serie invereconda di stupidaggini. È per questo che Jojo ci piace, è un fenomeno di costume e riscuote un successo enorme da decenni.
Non tutte le serie sono ugualmente riuscite; personalmente, trovo molto brutta la parte in prigione di Stone Ocean, l'avrei sicuramente ridotta a poche puntate, ma non sono Hirohiko Araki. L'avrete immaginato.
Mi è piaciuta molto Diamond is unbreakable per diversi motivi: tra quelli che ricordo, lo stile grafico el'ambientazione in quella cittadina bizzarra, sono pur sempre delle avventure bizzarre. Sulla parte grafica, ricordo di sicuro il netto calo qualitativo iniziato poco dopo l'introduzione del cattivone di turno. Non è una recensione della serie, quindi questa analisi superficiale può finire qua.
Sia quel che sia, l'ultima puntata di Diamond is unbreakable è stata la puntata più bella nella mia lunga storia di appassionato di cartoni animati, sicuramente non per particolari meriti intrinseci, per quanto gradevole e liberatoria.
La serie usciva in simulcast, credo, quindi il classico singolo episodio a settimana, in Giappone come da noi. Mio padre stava già affrontando la malattia da anni, le cose sembravano aver preso la piega giusta. Stavamo aspettando i risultati dell'ultima tornata di esami strumentali e, finalmente, leggemmo quello che tutti vorrebbero leggere: era pulito, finalmente, non c'era traccia della malattia da nessuna parte.
Il giorno dopo, uscì l'ultima puntata di Jojo: potete immaginare in quale stato di felicità mistica, forse mai provata in tutta la vita, la guardai. Probabilmente, avrebbero potuto mandare in onda qualsiasi cosa, pure 25 minuti di schermo magenta, col suono del monoscopio, sarebbe cambiato poco. Great Days era la sigla iniziale, furono davvero giorni memorabili.
Passò un anno circa e la malattia tornò, per l'ultima volta.