I puristi di Pino Daniele, 30 e passa anni fa, e NapulƏ che è restata una carta sporca
Non sono un adoratore di Pino. Mi piace ascoltare le sue canzoni quando capita, alcune le reputo enormi, ma non è tra gli autori che voglio riascoltare e riascoltare. Inoltre, sono un suo conterraneo, ma con quella terra ho un rapporto più conflittuale, un conflitto che si intensifica col tempo ma che, probabilmente, giungerà alla pace prima o poi. Nel senso che mi pacificherò e rinnegherò per sempre quegli anni e quei luoghi della mia vita, perché sono storie che meritano solo questo.
Qualche volta, periodicamente, sento il bisogno di mettere per iscritto il mio rapporto, appunto, con Napoli e la sua provincia; nella mia testa sarebbe un testo di fuoco, una lunga tirata ricca di fervore e passione, poi penso (sempre periodicamente) che non ne vale la pena e che per Napoli e provincia ho già sprecato troppa della mia vita. E poi, a che pro? Pino Daniele ha già detto tutto quello che c'era da dire e meglio di come potrei farlo io in diecimila parole e diecimila anni.
NapulƏ è 'na carta sporcƏ e nisciunƏ sƏ nƏ 'mportƏ e ognunƏ aspettƏ 'a ciortƏ.
Tutto il resto è superfluo, l'unico mio contributo possibile è l'aggiunta degli schwa, perché il napoletano è il dialetto (o la lingua, distinzione di cui si occupano gli studiosi, io propendo per il primo) degli schwa e bisogna metterselo in testa e usarli.
Negli anni Novanta, facevo le superiori e c'era un amico, lui, adoratore di Pino Daniele. Aveva la macchina, in quanto pluriripetente, e in macchina aveva le cassette, chiaramente Mixed by Erry: va bene l'adorazione, ma fino a quando non deve scontrarsi col vile denaro. E una cassetta di Pino, il Pino per antonomasia, era sempre nell'autoradio. Lo stereo, quello lì.
L'amico, tuttavia, non si stancava di ripeterlo a caso nel corso dei mesi e delle discussioni: Pino Daniele non è più quello di una volta, si è commercializzato.
Non ho mai approfondito e non gliel'ho mai chiesto, ipotizzo che il punto di rottura sia stato l'album Che Dio ti benedica. Lettore di passaggio arrivato sin qui, sappi che il mio amico non era l'unico a pensarla così e, estendendo il discorso a qualsiasi musicista sulla terra, ci sarà sempre un momento, ci sarà sempre qualcuno a dire di lui “è diventato commerciale”. È il modo più immediato ed efficace per diventare esperti di musica.
Io, che esperto di musica non sono, penso che l'unico modo per non diventare commerciali sia scriversi i pezzi, arrangiarseli e ascoltarseli in cuffia, da solo, o portarli in giro gratuitamente. Diversamente, perché di qualcosa si deve campare questa presunta commercializzazione è una delle prime fasi del processo. Non è neanche scolpito nella pietra il fatto che l'artista voglia, artisticamente, morire così come è nato, ne abbia la forza o l'ispirazione; non essendo un artista, non devo preoccuparmene, una preoccupazione in meno.
Con l'amico ogni tanto ci si scrive su Whatsapp (non è il tipo da usare mezzi più sani), la prossima volta potrei chiedergli se il suo pensiero sia cambiato nel tempo. Solo quando sarà, però, perché con gli amici di scuola è, solitamente, meglio tenere una certa distanza.