Fine a Mont Saint-Jean

L’alba era appena iniziata e ormai l’odore del sangue si mischiava a quello della rugiada.

I primi raggi del sole tingevano timidamente quella buia distesa, della cui forma –inizialmente perfetta– ormai non vi era più memoria né vita.

I corpi dei soldati giacevano sparsi. Il ferro delle armi e dei cannoni si fondeva in un tutt’uno con le loro membra, creando un’onda straziante.

Quella calma sembrava essere innaturale, quasi poetica, dopo la furia insorta in quel luogo.

Lenti e quasi timidi, nel disturbare quei corpi, i corvi banchettavano.

In mezzo a quella folla inerme vi era ancora qualche cavallo ferito, non ancora pronto a morire, e neanche a rialzarsi, come se un solo movimento potesse risvegliare quella battaglia ormai perduta.

Le piccole viole, sparse nel campo, si erano svegliate, accarezzate dai raggi del nuovo giorno e lentamente si facevano strada tra quei corpi dilaniati.

Sembrava come se, durante la battaglia, si fossero nascoste sottoterra, per poi sbocciare solo alla luce del sole; erano sopravvissute alla notte di gelo grazie a quel rosso e caldo abbraccio che lentamente aveva smesso di scorrere poche ore dopo che il sole del giorno prima era calato, ma che la vicinanza dei corpi era riuscita a mantenere ancora tiepido.

Solo un respiro caldo sovrastava quella vista.

Un uomo, ormai privo di vana gloria, aveva vegliato tutta la notte i suoi caduti, in attesa che il nuovo giorno potesse baciare un’ultima volta quei corpi, benedicendoli con ultimo calore prima che la loro memoria si perdesse per sempre nel tempo.

Ognuno di loro era stato amante, marito, padre; ma ora non era altro che un brandello di una vita spezzata, abbandonato in quella valle di sangue, sudore e lacrime.

Solo il suo respiro lo distingueva dai morti, immobile, con gli occhi socchiusi, era seduto sulla terra smossa dagli zoccoli di mille cavalli.

Le sue ciglia erano bagnate di rugiada, come la pelle del suo viso. Nessuno avrebbe mai creduto che quelle potessero essere lacrime.

Nessun dolore traspariva da quel volto, solo rabbia per la sconfitta, ma ormai neanche il più fulmineo e astuto dei pensieri avrebbe potuto evitare quella sconfitta, segnata per sempre nella storia.

La voce di un soldato lo destò dai suoi pensieri, ma il suo corpo non si mosse.

La sua carrozza era pronta, pronta a riportarlo nella polvere da cui faticosamente si era ridestato con forza e vigore.

Ma questa volta sarebbe stata l’ultima, il mare e la solitudine lo attendevano nuovamente, e per sempre.

Questo racconto partecipa alla challenge di dicembre del Circolo di Scrittura Creativa ̴̴ Raynor’s Hall

Circolo di Scrittura Creativa Raynor’s Hall.