Non piacerà a nessuno, poi con quei sei pulsanti...


Dissì di Street Fighter 2: la più colossale, sesquipedale, incommensurabile baggianata nella mia carriera di videogiocatore.

È un primo pomeriggio ancora molto luminoso, ma la luce quasi non riesce a penetrare quella piccola sala giochi, ostacolata da un groviglio di corpi. Sono con un paio di amici, non abbiamo ancora idea veramente della folla che ci aspetta, ma da fuori qualcosa si intuisce, l'aria è elettrica; dentro deve esserci un nuovo cassone: non qualcosa di nuovo e basta, qualcosa di straordinario.

Non pensavamo fosse possibile stipare tanta gente in quei pochi metri quadrati, quel groviglio di corpi è composto da strati sovrapposti di persone. È una variante del Tetris dove i tetramini si incastrano e non scompaiono, non c'è verso di scoprire cosa ci sia sotto se non aprendosi un varco iniziale a spallate e poi cercando di diventare più sottili e viscidi possibile. Diventare anguille. Disponiamo di sei occhi complessivamente, uno di questi riesce a guadagnarsi uno sguardo fugace su quello che c'era a monitor.

Era lo stage, da oggi in poi quadro in questo blog, di Ken. Non sappiamo ancora che quel tizio in kimono rosso si chiami Ken. Chi sia, cosa voglia. Cosa voglia, probabilmente, non l'ho ancora capito. Certo, ricongiungersi con la moglie, ma altro non so. Scatta l'imprinting, Ken diventa il mio personaggio preferito, quello che scelgo più spesso, quello che continuo a usare pur dopo aver terminato il gioco con tutti i personaggi disponibili; questo, tuttavia, verrà dopo.

Oltre al quadro di Ken, lo sguardo indugia per un istante anche sui sei pulsanti: avevo visto il primo Street Fighter qualche anno prima, in un bar, a una sagra della birra, ma l'avevo presto dimenticato. Cosa che avrebbe fatto chiunque, se non fosse esistito Street Fighter 2.

“Ma che è, sei pulsanti? E chi ci giocherà mai, ora c'è la folla perché è il primo giorno”.

Difficile sbagliare così tanto e con così poche parole. Si rivelò un successo senza paragoni in sala, non ci fu mai qualcosa di analogo: nè prima, nè dopo. Fu una serie interminabile di primi giorni, per smaltire le folle le sale locali erano costrette ad accaparrarsi quante più schede possibili, c'erano stanze piene di soli cassoni di Street Fighter 2.

Arrivarono i bootleg, le versioni bootleg, i pezzotti fantasiosi, ci giocavamo lo stesso, era una sete apparentemente inestinguibile.

Street Fighter 2 è stato più che una leggenda della sala giochi: un esemplare unico. L'avevo identificato come una nuvola di passaggio, prima di iniziare a spenderci gettoni su gettoni su gettoni su gettoni.