Diario Tossico Digitale

Log di disintossicazione dall'algoritmo che, finché pubblicherò, vuol dire che non ha ancora funzionato del tutto.

Diario Tossico Digitale: una settimana

Vecchia fotografia trovata su public.work che ritrae una donna di profilo, il volto parzialmente coperto da un oggetto che non so identificare, l'oggetto presenta un'apertura ovale da cui si intravede l'occhio della donna che guarda in camera

È passata una settimana da quando ho cancellato i miei account dalle app di Meta e le ho disinstallate. Avevo prima rimosso tutti i tag, poi ho archiviato tutti i post, poi ho pensato

Ecco, ne ho abbastanza, andiamocene da qui.

La sensazione immediata è stata di sollievo. Ho mandato subito un video di pochi secondi alle ragazze dove ballavo in modo ridicolo, a braccia aperte, e concludevo, ridendo e dicendo Sono libero. Beh, non ancora. Non del tutto.

Qualche ora dopo, finito il pranzo, - non ero a casa mia, ero altrove ad accudire un gatto frizzantissimo — mi sono steso sul divano per farmi un pisolino. Ho preso il telefono in mano per guardare l’ora e impostare la sveglia, e d’improvviso mi ritrovo a guardare l’app delle Poste, il mio estratto conto davanti.

Come ci sono finito?

È successo che di istinto, inconsciamente, ho pigiato con il pollice in basso a destra, sulla cartella delle “cose importanti”, e poi di nuovo in alto a destra, dove prima c’era l’icona di Instagram. Dove prima c’erano gli algoritmi ora ci sono le poste. Mi è scappata una breve risata, poi una breve sensazione di inquietudine, e mi sono addormentato. Lo stesso giorno mi sono ritrovato un altro paio di volte a guardare il conto e, dove prima l’inquietudine era dovuta al gesto, ora veniva dalla cifra a schermo, ma questa è un’altra storia. Dal giorno dopo, non è più successo. Poi, come un tossico che si rispetti, la scimmia arriva a bussare alla porta quando pensi di esserti sistemato. Momento di noia, ho letto le newsletter, su Mastodon non ho notifiche, fuori piove. Sono sul letto, ho appena finito di leggere Helgoland, è troppo presto per iniziare una nuova lettura. Fammi controllare le statistiche del mio canale YouTube. Apro l’app e la schermata si apre direttamente con un Short: è un tizio che mostra un puzzle, un anello di ferro circolare che devi capire come disincastrare. Parla un po’, mostra cosa farebbe, a detta sua, la maggior parte della gente, e poi, dice dopo un minuto, "La soluzione è semplice, basta fare così". Carino. Passano due ore. I miei occhi sono morti, il mio volto inespressivo, lo stesso che, dai, abbiamo tutti quanti quando scrolliamo.

Cosa stavo facendo, prima? Cosa mi ero preparato a fare? Niente, assolutamente niente. E allora perché non sono rimasto a fare niente?

Ho trovato un nuovo spacciatore. La stessa parola che ha usato Kenobit nel suo ultimo libro, la stessa che ha usato King nel suo La Chiamata Dei Tre, che già allora, in qualche modo, mi aveva pizzicato dentro. Un altro algoritmo, no, basta. Ho creato un account secondario sul mio telefono, che ormai tengo attivo per la maggior parte del tempo. Lì, l’app è ancora installata ma non posso vederla, e se non la vedo, non posso ricordarmi di aprirla. E se mi viene voglia di farlo, cambiare account impiegherebbe cinque minuti sul mio telefono del 15–18, e non sia mai.

Oggi, una settimana dopo, il mio spacciatore sembra essere diventato Mastodon. Ma le dosi che mi passa sembrano leggere, e le poche che ha mi raccontano delle storie che posso leggere e che spesso, sembra, mi insegnino qualcosa di nuovo.

Sono ancora un tossico? Dovrei liberarmi della mia identità digitale una volta per tutte, ovunque? Vivrò due vite distinte, potrò essere la stessa persona qui e lì? È utile? Deve per forza essere utile?

Suppongo, prima o poi, lo scoprirò.

Lo scoprirò?

Vincenzo E. Iannone