The artist is the machine – Il supporto inaccessibile e l’IA generativa come homunculus artifex.

Premessa: il seguente scritto è la trasposizione di un mio articolo apparso sul numero 338 di Fumo di China, uscito a febbraio 2024. Questa versione è stata riscritta utilizzando i caratteri ə e ɜ (il primo per il numero singolare e il secondo per quello plurale) come suffissi a nomi e aggettivi per esprimere il non-genere. Questa scelta deriva dalla mia personale prospettiva socio-politica che riconosce il genere come un costrutto sociale arbitrario e storicamente determinato che può (anzi deve) essere superato.

Avvertenza: il dibattito italiano sulle IA generative è deragliato furiosamente quando Eris Edizioni ha annunciato, il 9 ottobre 2023, la pubblicazione di Sunyata: un progetto editoriale che impiega immagini generate dall’IA proposto da Francesco D'Isa. Sebbene questo articolo contesti un pezzo di terminologia dei comunicati di Eris e D'Isa, si prega di non impugnarlo per rivolgere loro ulteriori attacchi.

  1. Giano confonde il dibattito

“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”

La celebre battuta del Palombella Rossa di Nanni Moretti, pronunciata nel film dal nevrotico alter ego del regista, metteva in guardia lə spettatorə contro la mistificazione, deliberata o meno, del linguaggio. Anch’io credo, come Moretti, che le parole siano “importanti” in questo senso: che una terminologia esatta sia necessaria per orientarsi su argomenti di notevole complessità.

La rapidità con cui l'intelligenza artificiale (IA) generativa è stata introdotta nel mondo dell’arte ha colto di sorpresa la comunità creativa gettandola nel panico e nella baraonda. La discussione è incentrata, giustamente, su quanto sia lecito o etico lo sfruttamento di contenuti generati a partire da dataset ottenuti estraendo indebitamente dalla rete materiali sensibili o protetti da copyright e (ma molto a margine) su come immaginare l’arte oltre il capitalismo.

Se però unə creativə (come me che sono un generico fumettista di “piccolo cabotaggio”) volesse immediatamente comprendere la natura della AI-powered creativity, dovrebbe confrontarsi fin da subito con un linguaggio mistificato. Questa ambiguità è figlia di due diverse narrazioni che, però, provengono dalla medesima fonte: le aziende che sviluppano e possiedono le varie IA generative come Midjourney, DALL·E, Stable Diffusion, ChatGPT, etc. Come il proverbiale “Giano bifronte”, la comunicazione di queste società cambia infatti a seconda dei soggetti a cui è rivolta:

• Quando parla alle maestranze creative: l’IA è raccontata come strumento innovativo per facilitare il lavoro dellɜ artistɜ umanɜ (come nella promozione della feature di riempimento generativo recentemente implementata in Adobe Photoshop). • Davanti a investitori o altri imprenditori: l’IA è presentata come un servizio che, facendosi carico del lavoro creativo, sostituisce integralmente lɜ artistɜ umanɜ.

La IA generativa è quindi strumento, servitore o entrambi? La stessa espressione AI-powered creativity, utilizzata dal filosofo della scienza Arthur I. Miller, gioca sulla polisemia della parola inglese power che può indicare sia una facoltà (power-up, un potenziamento) che una forza lavoro (Inhuman-power, una maestranza non umana).

  1. Il supporto fa l'artefice

Nel panorama del Fumetto italiano, Lorenzo Ceccotti (in arte LRNZ) e Francesco D'Isa (che ha annunciato di aver dato alle stampe un fumetto la cui immagine è generata dall’IA) hanno affrontato la questione in modo approfondito e stimolante (i loro articoli: ”Click To Image” di Lorenzo “LRNZ” Ceccotti; “Non fa tutto il computer: il ritorno di vecchie perplessità nell’arte digitale” di Francesco D’Isa) provando a capire in che termini le IA sono artefici o strumenti. Con i miei limiti in fatto di esperienze, competenze e conoscenze, scrivo in appendice alle loro considerazioni adottando una prospettiva analitica e il più possibilmente concreta (ne esistono altre altrettanto legittime: post-moderniste, post-strutturaliste, estetiche, esoteriche, sciamaniche, new age etc. che però si pongono oltre la determinazione semantica).

Da questo mio punto di vista, introdurre il concetto di supporto rivela il grave errore logico-semantico nel considerare un’IA generativa uno strumento al pari di matite, pennelli, tavolette grafiche, macchine da presa, etc. Per amore di semplicità, mi limiterò alla realizzazione di un'opera senza considerare la sua successiva riproduzione, proiezione, diffusione, etc.

In termini marxiani, si potrebbe dire che un'opera d'arte è “un bene (materiale, immateriale, performativo, muto, comunicante, etc.) il cui valore d'uso è la propria esistenza”. Un tavolo viene prodotto innanzitutto per fare da superficie d'appoggio mentre un dipinto, prima ancora di essere contemplato per il suo valore estetico, viene creato per essere creato. Ars gratia artis: l'arte è fine a se stessa.

Allora la produzione artistica è un “processo creativo in cui uno o più artefici, utilizzando uno o più strumenti, realizzano un'opera d'arte (in cui, parafrasando McLuhan, forma e contenuto coincidono) derivata da un impulso (l’idea guida secondo cui l'opera viene creata e modellata)”. Questa definizione è però incompleta perché introduce un problema di attribuzione. Infatti, nel caso in cui l'impulso venga da un committente (il mandante che affida l’incarico di produrre l’opera), per separarlo dal processo creativo non basta dire che la sua idea primitiva si esaurisce man mano che il lavoro viene completato da altrɜ. La forma-contenuto finale conserverà comunque una qualche relazione, seppur flebile e residua, con la visione iniziale. È quindi giusto attribuire le opere d'arte anche allɜ committenti (per esempio nominando papa Giulio II co-autore degli affreschi della Cappella Sistina di Michelangelo)? Oppure si può comunque tracciare un confine netto tra committente e artefice?

In nostro aiuto viene il concetto di supporto inteso come “il campo inerte in cui si esprime (o imprime) la produzione artistica”. In questo caso, l'aggettivo “inerte” non significa strettamente “passivo” o “inanimato”. Un supporto può infatti essere allestito o accadere, diventare parte integrante dell'opera oppure perdere ogni legame con essa, essere manipolabile o meno, materiale o immateriale, etc. Il supporto è “inerte” perché, al contrario degli strumenti, non incide ma vi si incide (in senso lato) durante il processo creativo. Ecco alcuni esempi pratici di artefici, strumenti e supporti nei vari media:

• Nella fotografia: lə fotografə (artefice), usa la macchina fotografica (strumento) per catturare una scena su pellicola (supporto). • Nel disegno tradizionale: lə disegnatorə (artefice) traccia con vari utensili (strumento) su tela, foglio, tavola, etc. (supporto). • Nel collage: lə collagista (artefice) lavora con vari materiali e leganti (strumenti) su un piano di ritaglio e composizione (supporto). • Nel cinema: varie maestranze (artefici come attorɜ, operatorɜ, regista, etc.) usano varie risorse (strumenti come recitazione, macchine da presa, attrezzatura di scena, regia, etc.) nel set cinematografico (supporto). • Nell’arte concettuale: l’artista (artefice) esprime significati disponendo forme significanti (strumenti) su oggetti, eventi o spazi referenti (supporto).

In ambito digitale il discorso non cambia. Sebbene strumenti (softwares, dispositivi di puntamento, etc.) e supporti (interfaccia grafica, monitor, touch screen, etc.) siano simulati o simulanti, mantengono comunque il ruolo di strumenti e supporti.

• Nella scrittura digitale: lə scrittorə (artefice) utilizza tastiera e software di scrittura (strumenti) per scrivere le parole nel foglio virtuale (supporto). • Nel disegno digitale: lə disegnatorə (artefice) utilizza software di disegno e penna digitale (strumenti) agendo sullo schermo della tavoletta grafica che contiene un’area di disegno virtuale (supporto).

Non sono né gli strumenti (che possono essere rudimentali) né le competenze (che possono essere scarse) a fare l’artefice, ma l'accesso esclusivo al supporto durante il processo creativo. Unə committente può essere artisticamente capace e coltə, ma finché non incide nel supporto, restando fuori da quel “campo inerte”, non partecipa alla produzione artistica e quindi non può attribuirsi il ruolo di artefice. Unə pittorə espertə può ordinare a unə bambinə di disegnare un fiore ma, finché non interviene su quel supporto foglio, non può dirsi artefice di quella rappresentazione.

Il ruolo del committente si limita quindi a trasmettere impulsi (idee, istruzioni, indicazioni, richieste di modifica, references, etc.) all’artefice mediante terminali di comunicazione (mentali, vocali, materiali, digitali, etc.). Anche nel caso in cui un’enorme quantità di impulsi venisse comunicata per affinare il processo creativo, committente e artefice sono comunque separatɜ dall'accesso al supporto dove si esprime la produzione artistica. Paradossalmente, anche unə artista è committente di se stessə quando si auto-trasmette mentalmente un’idea. Solo poi, quando inizia a spaziare sul supporto, si fa finalmente artefice della propria creazione.

  1. L’homunculus artifex

Applicando quanto appena detto a un’IA generativa, per esempio una che produce opere visuali text to image (TTI), possiamo dire che:

• L’utente umano (committente), digitando dei prompt di testo (impulso), dà indicazioni affinché l’IA TTI (artefice) produca un’immagine impiegando dataset e blocchi della propria architettura software (strumenti) e lavorando all’interno di uno spazio procedurale (supporto).

I prompt possono essere così numerosi e dettagliati da condurre a un output che soddisfi alla perfezione l'intenzione dell’utente umano, ma in nessun modo possibile questo può attribuirsi la paternità delle opere generate dall’IA perché lo spazio procedurale è trascendente, oltre la realtà fisica, e quindi è un supporto inaccessibile. Con l’AI-powered creativity si è avverato, in senso figurato, il sogno alchemico di creare l’homunculus, la leggendaria forma di vita artificiale descritta da Paracelso, per affidargli la produzione artistica. La IA è quindi un homunculus artifex che, solitario, genera opere d’arte chiuso in un’ampolla da cui può ricevere input e restituire output ma in cui nessunə umanə potrebbe mai entrare per partecipare al suo lavoro.

In virtù dell’accesso esclusivo al supporto-spazio procedurale, le IA sono le uniche artefici dei contenuti che generano, non strumenti utilizzabili da artistɜ umanɜ. Per questo credo che chiunque le descriva come qualcosa di analogo a pennelli, matite, software di disegno, tavolette grafiche, etc. vada contestatə fermamente. Considero inoltre scorretto chi scrive prompt e si dichiara “Artista IA” per rivendicare come sua un'opera realizzata dall'IA.

Bisogna accettare il fatto che le IA generative siano artiste, ma non è detto che dobbiamo fare loro guerra con foga luddista. Al netto delle questioni (ancora da risolvere) relative allo sfruttamento dei dataset, le IA possono rivelarsi utili per democratizzare l'essere committenti, eliminando le barriere di censo per chi non può permettersi di assoldare unə artista umanə. Credo inoltre che, in futuro, queste saranno preziose collaboratrici (per esempio il giorno in cui sarà l'IA a mettere i flat sulle tavole dellɜ fumettistɜ quando questɜ non avranno sufficiente tempo per farlo direttamente né la disponibilità economica per assumere unə flattista umano). E potrebbe rivelarsi stimolante fare generare all’IA del materiale artistico di partenza con cui sperimentare e realizzare (con strumenti e supporti accessibili) opere attribuibili ad artistɜ umanɜ.

Continuare invece a sostenere che le IA generative siano strumenti resta un errore grossolano che si può fare in buona fede (specialmente se non si masticano questioni artistiche troppo sofisticate e distanti dalla quotidianità), perché vittime di allucinazione per l'eccessivo entusiasmo o per condurre una vera e propria operazione di mistificazione e depistaggio.