Tra le montagne – Intro

Dieci rintocchi. Dieci rintocchi servirono per far alzare dal letto il signor Carlo. Forse “alzare” non sarebbe il termine corretto, diremmo più che servirono per fargli aprire gli occhi e provare, dopo vari tentativi, a mettersi seduto. Dopo tutto, erano molti anni che il signor Carlo calcava questa terra. Molte lune e molti soli erano sorti e tramontati. Quella mattina, il Sole splendeva sul piccolo borgo di montagna chiamato Montemerlino, e assieme al cinguettio degli uccellini, il signor Carlo fece scricchiolare le imposte, trovando davanti a sé una splendida giornata. Il brusio del mercato veniva dalla piazza centrale, poco lontano da casa sua, e il torrente che attraversava il piccolo borgo solleticava l'orecchio con un lieve rumore d'acqua gorgogliante. La stanza era piena di foto e di mobili piuttosto antichi, nonostante la casa fosse in realtà come nuova. Era stata ristrutturata da poco, un regalo della figlia per il suo ottantesimo compleanno. Senza alcuna fretta, i piedi si indirizzarono verso la porta, poiché Irene, la donna che Carlo sposò ormai troppi anni fa, lo stava chiamando per dirgli di sbrigarsi. Scese le scale con altrettanta calma e si ritrovò Irene in piedi davanti a lui. “Cosa c'è? Cos'è tutto questo chiasso?”, le chiese. Lei continuò a squadrarlo senza rispondere. Poi chiuse gli occhi e quando li riaprí disse, con tono seccato “ti sei scordato che dovevi chiamare l'elettricista? Io come lo cuocio il coniglio per pranzo, senza il forno?”. Carlo provò a balbettare di chiamarlo in quel momento, ma Irene lo zittì ricordandogli che era domenica, auguri a trovarlo. Così Carlo disse solamente “va bene, vado a comprare qualcosa in rosticceria”. Infilò dei vecchi scarponi, una giacca non troppo pesante e indossò il cappello. Prese anche il bastone, nonostante non gli servisse la maggior parte del tempo, e varcata la soglia di casa cominciò a camminare nel paese. Le vie erano per la maggior parte strette da farci passare una sola auto. Fortunatamente nei dintorni della piazza non potevano circolare. Passeggiare nel 2005 significava ancora non trovare nessuno con la faccia rivolta verso il terreno a fissare uno schermo luminoso grande quanto un blocco note. Carlo si stava godendo il calore del sole che lo faceva sentire coccolato, un po' come le coperte qualche minuto prima. Passati vari negozi, la piazza e la chiesa, era arrivato in una via imboscata e che dall'odore sembrava essere frequentata solo da senza tetto e mai dalla nettezza urbana. Ma a Carlo non interessava, lui era lì per del coniglio al forno. “Buongiorno”, fece Carlo con voce roca, spostando le tendine all'entrata. Il negoziante lo salutò di rimando e gli chiese cosa volesse quel mattino. “Coniglio. Al forno. E mettici anche delle patate e delle verdure. Ho dei nipoti che mangiano come un esercito.” “D'accordo”, rispose il negoziante, “ma dovrai tornare per mezzogiorno.” Quindi Carlo pagò, uscì e tornò sui suoi passi. Una volta a casa, toltosi giacca e scarponi, si sedette sulla poltrona e accese la radio. Poco dopo il suono della radio svanì, così come tutto davanti a lui, mentre si addormentava. Quando riaprì gli occhi era in mezzo alla nebbia. Ai lati si intravedevano delle case. Non c'era nessuno. Camminando si avvicinava al confine del piccolo paese e in lontananza si intravedeva una sagoma. Sembrava un uomo, alto, ben piazzato. Più avanzava, più la sagoma si faceva definita, ma non diventava mai una persona, quasi come se il corpo non ci fosse proprio. Intanto dei cani abbaiavano e dei passi si facevano vicini. Sempre più vicini, quando il suono del campanello svegliò Carlo. Spalancò gli occhi e sussultò sulla poltrona. La voce roca di Irene arrivava dalla cucina e chiedeva con molta poca gentilezza di aprire la porta, invece di starsene lì ad oziare. Mai un minuto di riposo, pensò mentre arrancava verso la porta ancora un po' sconvolto. Quando la aprì si trovò davanti un giovane di diciotto anni, una ragazza di tredici e una signora sui 45, riccia e alta. La famiglia salutò il nonno, entrando e lasciando le giacche sull'attaccapanni. “Giovanna, vieni in cucina a dare una mano a tua madre”, disse Irene. Nel frattempo Carlo era tornato verso la poltrona e si era seduto quasi lasciandosi cadere a peso morto. Invece i due nipoti si erano accomodati sul divano. Guardando l'orlogio appeso sopra la televisione si accorse che non era affatto ora di pranzo, come sperava, erano passati solo 20 minuti da quando era tornato a casa. Intanto la tv era stata accesa da Marco, in onda c'era un programma di cucina. Carlo sbuffò, “che noia, ormai fanno solo spazzatura”. Marco gli chiese cosa volesse guardare, ma Carlo non seppe cosa rispondere. Così Anna prese il telecomando e mise su un programma di incontri. “Lo vuole guardare solamente perché le piace uno dei concorrenti” e Anna si fece rossa in volto. “Oh signore, sei già a quell'età? Vuol dire che io sono davvero vecchio”, disse Carlo ridendo. Poi aggiunse, “non c'è nulla di male nel provare attrazione per qualcuno. Ai miei tempi avrei pagato oro per vedere vostra nonna anche solo dallo schermo di una televisione. Non che avessimo una televisione in casa, ma insomma, avete capito. In montagna ci bastava anche una foto sbiadita in bianco e nero”. I due giovani sembravano stranamente interessati, così Carlo chiese loro se volessero ascoltare qualche storia sulla guerra, così, per passare il tempo prima di pranzo. Quindi iniziò a raccontare, a partire da quella volta in cui lui e Irene ancora non si conoscevano e lui doveva partire. Aveva l'età di Marco e gli americani erano appena sbarcati in Sicilia, stravolgendo le sorti della guerra...

Originally wrote in 2020-11-01T23:36:00.003+01:00