“Se nelle cose dell'ingegno volessimo soppesare i successi dal Rinascimento in poi, non saranno quelli della filosofia a fermarci, oiché la filosofia occidentale non supera la greca, l'indiana o la cinese, tutt'al più le raggiunge in alcuni punti. Siccome rappresenta solo una varietà dello sforzo filosofico in generale, si potrebbe al limite farne a meno e opporle le meditazioni di Sankara, di Lao-zi, di Platone. Non è così per la musica, questo grande pretesto del mondo moderno, fenomeno che non ha confronti in un nessun'altra tradizione: dove trovare l'equivalente di un Monteverdi, di un Bach, di un Mozart? E' attraverso la musica che l'Occidente rivela la sua fisionomia e raggiunge la profondità. Se l'Occidente non ha creato una saggezza né una metafisica che gli fossero del tutto proprie, e nemmeno una poesia della quale si possa dire che non ha esempio, in compenso ha proiettato nelle sue produzioni musicali tutta la sua forza di originalità, la sua finezza, il suo mistero e la sua capacità di ineffabile. Ha potuto amare la ragione fino al pervertimento; eppure il suo vero genio fu un genio affettivo. Il male che più lo onora? L'ipertrofia dell'anima.
Senza la musica l'Occidente non avrebbe prodotto che uno stile di civiltà insignificante, scontato... Se depositerà dunque il suo bilancio, la musica sola testimonierà che non si è sprecato invano, che davvero aveva qualcosa da perdere.
(E. Cioran, La tentazione di esistere, Su una civiltà esausta)
Sono dunque questi
gli anni che s'apprestano?
Le mattine che s'affastellano
come lenuzola piegate
e riposte nell'armadio
ma senza l'odore dolce
dei sacchetti di lavanda,
quelle mattine
in cui socchiudi gli occhi
per indovinare i granelli di polvere
che turbinano in controluce
investiti dai raggi
del sole del mattino:
e conteremmo quei pulviscoli
all'infinito
piuttosto che sentire l'aria fredda
che scivola lenta sotto i lembi del pigiama
e ci carezza con la mano fredda della morte
senza però la volontà del nulla,
dell'oblio del tutto.
Sono qusti quindi
i giorni che si apprestano?
La processone delle ore e dei minuti
che procede senza musica né banda
dove ci conduce
se non nelle bianche stanze
degli uffici
in cui scontiamo la pena
di voler restare vivi?
Il bianco delle pareti
è come il bianco dei sepolcri
ma senza odore acre
senza l'umido di grotta
e l'asfissiante biancora
non è forse un crudele modo
per ricordarci ciò che siamo?
Questo discordante sottofondo,
questo consueto e detestabile brusìo
perché ci accompagna
nei nostri tristi giorni?
Perché non sono nostre di diritto
le celestiali sinfonie, le arpe,
i cori a cento voci?
Chi volle per noi
questo silenzio senza bellezza,
questa noia senza requie,
questa tenebra che non accoglie?
Pallida la luna scruta
questa gelata sera d'ottobre.
Le case -
come lapidi incolonnate
custodiscono le strade:
troppo profondo il silenzio
per tacere il mio segreto.
L'ombra leggera e scura
che già tante volte ho conosciuto
ecco arriva alle mie spalle
e mi sussurra all'orecchio
l'orrore che non ha nome:
durare, esistere, questo il destino
di noi che cerchiamo di fuggire
— essere una cosa tra le cose —
dividerci gli attimi di questa
falsa eternità.
Simulacri delle ore e dei minuti
s'obliano gli istanti
e raccogliamo i nostri giorni
come fossero macerie
e i nostri scheletri invecchiati
bisbiglieranno dalla polvere
“ancora tempo, ancora un po' di tempo”.
Ma io conosco quest'inganno,
io che ho imparato a fuggire
dal miraggio dell'eterno,
a guisa di un Lucifero demente
innalzo al cielo la mia fiamma
m se passo tra gli uomini
ogni solco della pelle
è una piaga di dolore.
Il Tempo annulla la fatica delle genti
sventa i progetti dei popoli
ma il suo piano esiste per sempre.
L'occhio del Tempo è su quelli che lo temono.
Il mio cuore ha le vertigini
e la forza m'abbandona:
“Fammi conoscere, Signore, la misura dei miei giorni”.
Io, presso di te, sono un forestiero.
Potessi avere un respiro ancora
prima dell'oblio della notte,
prima di tornare alla casa senza tempo,
prima che si spezzi il filo d'argento
e la lampada d'oro si rompa
e ogni cosa torni a essere un soffio:
così come è sempre stato.
Desidero la morte,
non per rabbia o per rancore
verso questa svista trascurabile
che è la vita –
ma solo per amore,
immenso amore,
per ogni respiro,
ogni passo incerto
su questa terra dura.
Desidero la morte e la fuggo
perché amo essere un uomo.
Ci raccolgano mani gentili
quando saremo nella notte.