Pro Wrestling is Art

“Pagliacciata”, “americanata”, “tanto è tutto finto”. Di solito sono questi i commenti che l’utente medio pronuncia di solito quando viene nominato il wrestling. Ma esattamente cos’è il wrestling? O meglio, cos’è per me il wrestling? Partiamo dal principio: mi ritengo un fan di lunga data, vado verso i 36 anni e ho cominciato ad appassionarmi alla disciplina quando di anni ne avevo 10 e guardavo ogni sabato pomeriggio le puntate di WCW Nitro su Italia Uno commentate da Cavallone e Sironi, due DJ radiofonici che di wrestling non ne sapevano effettivamente una mazza, ma figurati cosa ne potevo sapere ai tempi.

Da lì ho cominciato a registrare VHS su VHS, alimentare amicizie prima dal vivo e poi sui forum, la scoperta della pirateria (non guardatemi male, per molte cose è ancora l’unico modo per guardare certe cose) e soprattutto di altre compagnie, o promotion per usare il linguaggio della disciplina. La allora WWF (ora WWE), la ECW (una delle 5 promotion che più ho amato), il sottobosco delle indie americane della prima metà degli anni 2000 dominata da ROH, CZW e CHIKARA, la scena giapponese (o puroresu), la lucha libre messicana, la scena europea (Italia compresa). Insomma, si nota che sono una persona curiosa? E lo ero pure quando, per decenni, ho scritto sui forum e sui siti italiani. In un mondo di appassionati che guardano principalmente la WWE, la promotion più famosa nel mondo del wrestling, io ero lo “stronzo” che si esaltava nel vedere Jon Moxley (il fu Dean Ambrose in WWE, ora in AEW con il nome che lo ha reso famoso nelle indies) ridursi ad una pozza di sangue al Tournament of Death della CZW.

Già, perché per fortuna, e sottolineo per fortuna, il wrestling non è solamente quello che vedete in tv.

Ho sempre ritenuto questa disciplina, un’arte. Pensiero che un wrestler come Ricochet (ora in WWE) ha ribadito più e più volte in interviste e con una maglietta, dopo le polemiche scaturite su internet dopo il chiacchieratissimo match contro l’inglese Will Ospreay durante il torneo Best of Super Junior in NJPW. A discapito della visione comune, il wrestling non è solamente quello che proviene dagli Stati Uniti e che guardate ogni settimana su DMAX (WWE) o su Sky (AEW). Certo, quella è una delle tante sfaccettature della disciplina, la più conosciuta dai fan e dai suoi detrattori: dove le storie, in gergo storyline, vengono raccontate allo spettatore con interviste o avvenimenti che accadono fuori dal ring (sempre in gergo si parla di angle) per poi avere il match vero e proprio. Quello che è noto ai più come “sport-entertainment”, di solito l’idea a cui tutti pensiamo quando si parla di pro wrestling. Ecco, specifico “pro wrestling” per differenziarlo dall’amateur wrestling, quella che in Italia conosciamo come “lotta libera” e che di solito vediamo durante le olimpiadi estive…nonostante il comitato olimpico faccia di tutto per liberarsene in quanto è una delle discipline “meno televisive” e poco seguite, pur essendo la disciplina più antica della kermesse, ma questo è un altro discorso.

Tornando a noi, e partendo dalla base dello sport-entertainment che dicevo prima: collegandola ad un’altra arte che adoro, ovvero la musica, questa è solo una delle tante sfaccettature in cui si può esprimere il concetto del pro wrestling. D’altronde sappiamo che la musica è fatta di milioni di generi, sottogeneri e sfumature. Insomma, possiamo concordare che ridurre la musica alla sola hit parade è una boiata, no? Ecco, col wrestling succede la stessa identica cosa. E guai paragonare lo sport-entertainment di major americane come WWE o AEW alla lucha libre messicana di AAA o CMLL (la più antica promotion di wrestling ancora attiva, fondata nel 1933!), o al puroresu giapponese di promotion come NJPW, AJPW o NOAH. Tre mondi diversi e tre scuole di pensiero completamente diverse. Laddove negli Stati Uniti si punta all’appariscenza e a personaggi “larger than life”, in Messico la lucha libre è qualcosa di puramente folkloristico, dove molto spesso si sente il retaggio del passato azteco e dove i luchador diventano eroi popolari (basti pensare a El Santo). E in Giappone? per quanto la disciplina sia arrivata in terra nipponica dagli “odiati” americani dopo la seconda guerra mondiale, non è servito poi molto per imprimere il proprio background culturale: il puroresu, ovvero il termine con cui i giapponesi pronunciano “pro wrestling”, è uno sport duro e puro(resu. Concedetemi la battuta). Pochissimi fronzoli e un ring per dimostrare che io sono più forte del mio avversario e che darò tutto me stesso pur di schienarlo per il conto di 3 finale. Fateci caso, non è lo stesso pensiero che sta dietro ad un manga o un anime shonen? Credetemi, ci sono poche differenze tra il vedere uno scontro tra Goku e Vegeta e uno tra Kazuchika Okada e Tetsuya Naito, per citare la recente finale del G1 Climax di quest’anno. E ci sarebbe da parlare anche del joshi, il wrestling femminile giapponese, uno stile (guai a chiamarla scena o divisione femminile!) che negli anni ‘80 divenne famosissimo in terra natia grazie a team come le Crush Gals e le terribili Gokuaku Domei guidate da Dump Matsumoto. Fun fact, la mia promotion preferita degli ultimi anni è la STARDOM, tutta al femminile. Ah e ovviamente non si può parlare di puroresu senza citare l’Uomo Tigre che chi è cresciuto a cavallo tra gli anni ‘80 e i ‘90 conosce molto bene. E se siete più grandi di me, sappiate che se negli anni ‘80 guardavate il catch commentato da Tony Fusaro nelle reti regionali…in realtà stavate guardando il meglio che offriva il wrestling giapponese di quei tempi, tra un Antonio Inoki (pace all’anima sua) e una Jaguar Yokota.

Potrei anche parlare dei vari sti li di wrestling adottate da varie promotion in giro per il mondo: dall’hardcore della ECW, passando per il deathmatch/garbage/ultraviolent di FMW, CZW e GCW, il comedy proposto spesso e volentieri dalla DDT o dalla CHIKARA (una delle mie promotion preferite in assoluto, che straconsiglio a tutti i fan dei fumetti Marvel), ma verrebbe qualcosa di troppo grande e dispersivo per chi non è avvezzo, e questo mio scritto vuole essere solo d’introduzione al pro wrestling in generale. Però permettemi di darvi un consiglio.

Ritengo il wrestling un’arte perché, come tutte le arti, usa il suo linguaggio per raccontare delle storie. Cercate di non alzare un muro e di provare quantomeno a capire questo linguaggio, senza alcun pregiudizio. Cercate la promotion, il wrestler, lo stile del prodotto che più rispecchia i vostri gusti. Perché di questo si parla: gusti personali. Ci sono promotion e stili che possono piacere, e non piacere (personalmente non apprezzo più la stragrande maggioranza di ciò che viene dagli Stati Uniti per una serie di motivi), ma diamine, almeno provateci. Non mancherò di consigliarvi qualcosa, cosa che spero di fare su questo blog dove, quando avrò l’ispirazione giusta, parlerò di alcuni match storici e attuali che più mi hanno colpito.

E nel frattempo vi saluto con la catchphrase di Giulia, wrestler italo-giapponese della STARDOM: “Arrivederci! MATA-NA!”