IL PROBLEMA
Ciao! Sono Kenobit. Suono il Game Boy, organizzo cose nell'underground e sono uno dei fondatori di Livello Segreto. Questo è il mio blog, dove raccoglierò pensieri e idee per immaginare il futuro.
I primi post riguarderanno una zine/rivistina che sto scrivendo con l'obiettivo di promuovere il Fediverso, rivolgendomi a chi ancora non ha messo a fuoco il problema delle piattaforme commerciali. Questa sarà l'introduzione. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Abbiamo un problema.
I social network hanno assunto un'importanza cruciale nelle nostre vite, pervadendone quasi ogni aspetto. Li usiamo per comunicare, informarci, svagarci e spesso anche per lavorare o promuovere le nostre attività. Eppure, nonostante il ruolo centrale che rivestono, sono in mano a una manciata di aziende private che li utilizzano per aumentare i loro profitti.
In barba alla promessa della parola “social”, realtà come Instagram, TikTok, Facebook e Twitter non sono ottimizzate per farci socializzare. Gli algoritmi che determinano quali post appaiono con più frequenza nei nostri feed sono progettati ad arte per aumentare il tempo che dedichiamo alle piattaforme, e di conseguenza la quantità di pubblicità che possiamo assorbire con i nostri bulbi oculari. Non hanno come obiettivo il nostro arricchimento personale, né tantomeno la crescita di una rete di persone unite e solidali.
Gli stessi algoritmi imparano a conoscerci, accumulando immani quantità di dati sulle nostre vite personali, per proporci contenuti mirati e soprattutto per consentire agli inserzionisti di creare campagne pubblicitarie precise come laser, in grado di sfruttare le nostre debolezze per venderci prodotti, trend e idee.
Questi fenomeni hanno visto una vertiginosa accelerazione nel periodo pandemico, durante il quale il baricentro delle nostre vite si è ulteriormente spostato verso la dimensione online. Avete per caso avuto la sensazione che la gente si sia incattivita? Che le conversazioni costruttive abbiano lasciato spazio a inutili litigi? Che la società si sia polarizzata al punto da non riuscire più a confrontarsi, dando vita a un popolo diviso in fazioni che ricordano le tifoserie calcistiche?
C'è un motivo. L'algoritmo privilegia i contenuti divisivi, perché i battibecchi online aumentano a dismisura l'engagement e le interazioni con i post. I litigi portano commenti, insulti e condivisioni, fino a innescare un circolo vizioso per il quale trascorriamo sempre più tempo sulle app, dove siamo per giunta più vulnerabili ai loro meccanismi (studiati e affinati costantemente per sfruttare leve psicologiche e dinamiche in tutto e per tutto sovrapponibili a quelle delle tossicodipendenze).
Tutto questo non è complottismo. Lo sappiamo con certezza grazie ai “Facebook papers”, un leak comprensivo di decine di migliaia di documenti ad opera di Frances Haugen, ex product manager e data engineer per Facebook. I grandi nomi dei social media commerciali sanno perfettamente che stanno danneggiando la società, ma il loro business è la vendita di pubblicità, quindi fanno smaccatamente finta di niente e vanno avanti per la loro strada.
Non siamo diventatǝ più stupidǝ o più cattivǝ. Semplicemente, i nostri luoghi di incontro, un tempo pubblici e liberi, sono diventati privati. Se una volta ci trovavamo in piazza, ora ci riuniamo in un enorme centro commerciale, nel quale ironicamente siamo noi stessǝ ad allestire le vetrine con i nostri contenuti. Siamo una forza lavoro ignara e non pagata, costretta a mendicare umanità in un luogo progettato per estrarre valore dal nostro desiderio di socialità.
La collettività diventa così una galassia iperindividualizzata e competitiva, nella quale sempre più persone si sentono sole, insoddisfatte e inadeguate.
È una prospettiva demoralizzante, ma l'obiettivo di questa zine è guardare oltre, verso un futuro che ci appartiene. Ci riprenderemo internet, insieme, anche se al momento sembra impossibile. Abbiamo già gli strumenti per farlo, dobbiamo solo iniziare a usarli. Scopriamoli insieme e ribelliamoci al feudalesimo digitale.