INSTAGRAM COME STRUMENTO DI PROMOZIONE: RISORSA O INGANNO?
Questo post fa parte del lavoro di ricerca e sperimentazione che sto portando avanti con Tele Kenobit. Se vuoi scoprire di cosa si tratta o vuoi sostenere i miei sforzi, fai un salto sul mio Liberapay. Se vuoi seguire il mio viaggio verso la libertà, iscriviti alla mia mailing list, la Settimana Sovversiva!
Io Instagram lo farei esplodere con un cannone orbitale. Penso a tutto il tempo che mi ha rubato, ma anche ai danni concreti che ha inflitto alla società. Il barman di Meta ci serve un cocktail letale di alienazione e iperindividualizzazione, che ci fa sentire solǝ nei nostri dolori e nelle nostre paure. La fame chimica di like ci mette in competizione tra noi, vendendoci l'illusione di un mondo in cui tuttǝ sono vincenti, tranne noi. I postumi della sbornia saranno terrificanti.
Sono fermamente convinto che creare, usare e supportare spazi online alternativi e autogestiti non sia un capriccio, ma una necessità. Se vogliamo riscoprire il potere della solidarietà e della cooperazione, dobbiamo rivendicare luoghi in cui volerci bene, ottimizzati per la nostra socialità invece che per la vendita di pubblicità. Tra Livello Segreto e il progetto di Tele Kenobit, tutte le mie energie sono rivolte in quella direzione, anche perché credo che i social commerciali, pur presentandosi come una roccaforte inespugnabile, siano in realtà un castello di carte.
Eppure uso Instagram per promuovere i miei progetti. Perché?
Ha senso usare una piattaforma tossica per lottare per il cambiamento? E non solo: ha senso utilizzarla per la promozione di un qualsiasi progetto, sia esso artistico, hobbistico o commerciale? La risposta non è scontata e richiede una riflessione strategica.
Per quanto l'idea di fuggire e rintanarci nelle nostre isolette felici sia allettante, il tema della promozione nell'era del feudalesimo digitale deve essere affrontato in maniera lucida, senza cedere a facili manicheismi. Se vogliamo scardinare il monopolio dell'attenzione instaurato da Instagram, dobbiamo prendere atto della sua esistenza ed elaborare strategie per contrastarlo.
Anche perché, diciamolo, rifiutare lo sfruttamento non significa necessariamente rinunciare alla possibilità di diffondere le proprie idee e trovare persone con cui condividerle.
La prima domanda da porci è: ne vale la pena?
Al momento è innegabile che il grande pubblico sia su Instagram. Per quanto il concetto di “grande pubblico” sia una trappola (della quale parleremo in futuro), la piattaforma rimane un luogo nel quale si annidano centinaia di persone potenzialmente interessate a ciò che abbiamo da dire. La visibilità è governata da un algoritmo non trasparente, ma la possibilità di raggiungerle, se pur in minima parte, è concreta.
Farlo ha un prezzo. Affinché i nostri post non siano come quel famoso albero che cade nella foresta e nessuno lo sente, dobbiamo sacrificare tempo prezioso sull'altare del content. Come dimostrano i tantissimi articoli con le strategie per “avere successo su Instagram”, l'utilizzo della piattaforma deve essere continuativo, regolare, pianificato e capace di cavalcare i trend del momento.
La divinità dell'algoritmo è misteriosa e capricciosa, quindi i gesti rituali da eseguire per appagarla cambiano di frequente e senza preavviso (tanto che esiste un'intera categoria professionale che li studia), ma possiamo riassumerli così:
- Postare con regolarità
- Interagire con i commenti sotto i propri post, per aumentare l'engagement
- Usare il proprio account per commentare i post di account affini e/o popolari
- Studiare l'evoluzione della piattaforma e usare gli strumenti che sta boostando per i suoi obiettivi di mercato (poco tempo fa erano i Reel, domani chissà)
- Pianificare i propri contenuti in base ai risultati di cui sopra
- Creare gli asset che verranno pubblicati
Questa cosa ha un nome: LAVORO. Volendo fare i pignoli è pure lavoro non pagato perché, a prescindere dai potenziali risultati promozionali, genera valore per Instagram, che grazie ai contenuti dell'utenza può vendere spazi pubblicitari e addestrare le macchine neurali delle sue IA. Su Instagram siamo vetrinisti e allestiamo la vetrina che noi stessi guarderemo. Kafka avrebbe avuto qualcosa da dire in proposito, ma non divaghiamo.
Se ci viene chiesto un simile investimento di tempo ed energie, dobbiamo valutare in maniera oggettiva i risultati che otteniamo. A parità di abilità e lavoro svolto, un account con 100.000 follower otterrà molto più di un account con un migliaio di seguaci. È lapalissiano, ma implica l'esistenza di una soglia sotto la quale il gioco non vale la candela.
Se investo quattro ore a settimana su Instagram e i miei post fanno meno di un centinaio di like e una manciata di commenti, come la stragrande maggioranza di quelli che vengono pubblicati tutti i giorni, devo guardare la situazione in modo obiettivo e chiedermi: “Questa risposta è proporzionata al mio impegno?”
In moltissimi casi, la risposta è no.
La fallacia è che farlo abbia comunque senso, perché “se non sei sui social non esisti” e “Instagram è fondamentale”. Di questo ci hanno convinto, ma è la più grande delle bugie, anche perché ci sono tipologie di contenuti che, semplicemente, non funzionano.
Concedetemi una provocazione: se quattro ore di lavoro mi fanno raggiungere al massimo una decina di persone reali (dove con persone reali non intendiamo il numero di like, ma di esseri umani che andranno effettivamente a fruire di ciò che voglio promuovere), avrei avuto più risultati stampando 100 fotocopie e andando in giro per strada a distribuirle a mano. Nel momento in cui smettiamo di considerare Instagram l'unica via possibile, le nostre energie recuperano il loro peso e la loro importanza.
C'è chi considera questo lavoro un investimento volto alla crescita del proprio account. In effetti, è esattamente un investimento, e come tale va giudicato. La somma che investiamo non è da poco, perché quelle quattro ore a settimana, nell'arco di un anno, diventano più di otto giorni del nostro tempo. Crescere non è impossibile, ma è poco probabile, soprattutto su una piattaforma già matura e assestata. La dinamica è simile a quella degli schemi Ponzi: chi arriva presto ha un rientro concreto e crea una promessa di successo che attira nuova gente. Quella nuova gente, salvo eccezioni rarissime, non raggiungerà mai gli stessi traguardi, ma si limiterà ad arricchire gli account già affermati. Guardando in quest'ottica la nostra crescita, possiamo facilmente capire in che punto della piramide ci troviamo.
Alla luce di queste valutazioni, credo che per la stragrande maggioranza dei progetti indipendenti Instagram non sia una risorsa, ma una trappola. Tutto questo discorso è partito dalla domanda che mi sono posto all'alba del progetto Tele Kenobit, al quale ho deciso di dedicare tutte le mie energie del 2024, con l'obiettivo di intrattenere e al tempo stesso divulgare la realtà delle piattaforme federate e autogestite. Dopo tutto questo pippone, mi pare onesto dirvi la conclusione a cui sono giunto, nel più trasparente dei modi, numeri alla mano.
Al momento della stesura di questo articolo ho circa 11.000 follower. Un numero minuscolo rispetto allǝ influencer, ma non irrilevante, almeno sulla carta. Analizziamo gli insight di tre post.
Questo è un post andato benissimo. È diventato quasi virale e ha raggiunto moltissima gente che non mi seguiva. Il risultato concreto è stato l'arrivo di centinaia di persone su PIXEL. Una vittoria, inutile girarci intorno.
Questo post ha funzionato, almeno a livello di numeri. Non ho modo di misurare l'impatto diretto che ha avuto, ma sono convinto che abbia aiutato.
Questo post è stato un flop, perché ero in shadowban per aver scritto “Palestina libera” nel post precedente. Ho raggiunto un quinto della gente che mi segue e le interazioni sono state pressoché nulle, nonostante si trattasse di artwork incredibili, fatti da Luca Font.
Ci sono post che hanno funzionato un po' meno, ma questo campione è attendibile. Ecco le conclusioni a cui sono giunto.
Instagram non è affidabile e sarebbe una follia basare interamente la comunicazione del mio progetto su di esso, soprattutto alla luce degli shadowban. Mi occupo spesso di battaglie e temi caldi, quindi il rischio che il duro lavoro venga ricompensato con una sospensione del mio account è sempre dietro l'angolo. Tutto quello che costruisco su Instagram non è realmente mio. Il vero investimento saggio, in quest'ottica, è il Fediverso.
Nel mio caso specifico, il rapporto dare/avere di Instagram è accettabile, almeno per il momento. Lo scopo del mio progetto attuale è divulgare le criticità dei social commerciali e proporre alternative open e libere, e il malessere su Instagram si sta rivelando un terreno fertile per quei discorsi. Inoltre, ironicamente, l'algoritmo a volte mi aiuta, perché i post di critica e polemica tendono a innescare meccaniche di condivisione ed engagement. Per quanto mi faccia schifo, Instagram è sensato a livello strategico per la comunicazione del mio progetto. Dico “per il momento”, perché ho intenzione di riesaminare la situazione ogni mese.
Il Fediverso è il futuro. Quello che costruiamo qui rimane nostro, quello che costruiamo su Instagram è solo in prestito. Su Instagram devo investire costantemente energie per ricordare alla piattaforma che esisto. Il posizionamento vantaggioso/accettabile che ho al momento richiede un mantenimento impegnativo. Devo fare fatica per comunicare le cose che faccio, e farlo mi toglie il tempo per fare le cose. Sul Fediverso, invece, le cose che faccio si comunicano da sole e chi mi segue ha tutti gli strumenti per scoprirle, senza perdersi nulla. È la differenza tra l'avere una struttura che lavora per me e il dover lavorare per una struttura. Anche volendo fare un discorso di numeri, ciò che il Fediverso ci restituisce è più abbondante e concreto, al netto dell'ovvia differenza di bacino d'utenza. Su Livello Segreto ho più condivisioni e più risposte (bonus: le risposte non sono tre emoji del fuoco e hanno spesso qualcosa da dire). Inoltre, mentre Instagram è progettato per metterci in competizione, il Fediverso ci offre strumenti incredibili per la cooperazione. Ho dei piani per iniziare a sfruttarli, di cui vi parlerò molto durante quest'anno. Non abbiamo ancora colto né esplorato il loro potenziale e credo che ci sorprenderanno.
Userò Instagram, ma alla luce di queste riflessioni è urgente ridefinire il rapporto che ho con la piattaforma. Instagram è un luogo di lavoro tossico e ho intenzione di trattarlo come tale. Ho elaborato e messo in pratica delle strategie alle quali dedicherò un post a parte, ma il succo è che ho confinato il suo uso a una dimensione strettamente professionale, ben circoscritta in un breve momento della giornata, e che ho preso provvedimenti affinché non sconfini nella mia vita personale e nella gioia di curare i miei progetti su piattaforme libere.
Sono convinto che il giorno in cui potrò smettere di usarlo del tutto non sia troppo lontano.
Alla luce delle riflessioni di questo articolo, penso che moltissimi progetti indipendenti, professionali o amatoriali che siano, sprechino energie preziose stando su Instagram, e che in ogni caso tuttǝ dovremmo quantomeno rivedere il rapporto che abbiamo con la piattaforma, analizzando con freddezza ciò che diamo e che riceviamo.
A proposito di potenzialità del Fediverso, se volete potete seguire questo blog da qualsiasi piattaforma federata. Vi basta cercare @kenobit@log.livellosegreto.it. Potete persino commentare direttamente lì o boostare questo post. Parlavamo di strumenti che lavorano per noi, no?