Perché sono un italiano, (non) ode all'italiano medio


Quell'italiano non sono io, non mi sento italiano come non mi sento finlandese, polacco, cileno, maltese e così via, ma di questo parlerò un'altra volta.

L'italiano medio di cui parlo, italiano brava gente, non ha pronunciato quella frase, sentita parecchio in questi giorni di famosa rassegna cinematografica (scrivo nei primi giorni di settembre 2023), ma il fasciometro riporta approssimativamente gli stessi valori. Frase legata a un film che, diversamente, sarebbe passato del tutto in sordina, interpretato da uno dei 5 o 6 (cinque o sei) attori che interpretano tutti i film italiani da diversi anni a questa parte e si lamentano pure; di questo non parlerò, perché non meritano neanche questa attenzione.

Sono in fila per chiedere conto di certe tariffe applicate alla fornitura elettrica e ogni fila è una sofferenza gigantesca: neanche per il tempo perso, proprio per il supplizio di dover ascoltare, volenti o nolenti, la gente che parla, la qual cosa fa venir voglia di essere l'unico sopravvissuto a una qualche catastrofe planetaria, o di esserne morto. Ascolti quella gente e capisci come e perché al governo ci siano dei tizi che legiferano come farebbero gli avventori al bar, quelli che bestemmiano a ogni carta scagliata sul tavolo, con le bottiglie semivuote di birra che tremano a ogni colpo. Capisci chi ce li ha mandati, sono in fila con te alle poste, al CUP, dal medico, ovunque.

C'è un tale, di quelli che si credono sinceramente integerrimi discendenti della patria tricolore, campioni di onestà eccetera eccetera; c'è questo tale ma non ci sono ancora le operatrici in sede, quindi bisogna ascoltarlo o forarsi i timpani.

È il tipico “io li metterei tutti spalle al muro”, perché una volta, mentre ora invece... la cosa di metterli faccia al muro la dice di sicuro, non ricordo specificamente in merito a quale punto della sua narrazione. Dice che costruiva le case per Gheddafi in Libia, quelli sì che erano tempi, poi andava direttamente nel suo ufficio e intascava l'assegno, direttamente dalla sua mano. Poi continua col solito repertorio dei migranti, della necessità e del dovere di tenere un'arma in casa, anche se di provenienza dubbia, perché nessuno ci protegge. Continua, continua, è l'orario di apertura si avvicina, non velocemente come dovrebbe. Non subito, non prima di subito.

Con lui c'è un ragazzo probabilmente dell'area subsahariana, silenzioso per tutto il tempo e probabilmente a conoscenza dell'italiano che basta a sopravvivere. L'italiano modello, quello degli assegni di Gheddafi, dice che deve far attivare un nuovo contatore ma gli viene a costare troppo, più di quanto abbia intenzione di pagare, “così ho portato il negretto e glielo faccio intestare a lui, poi se la vedono tra loro”. Le esatte sue parole

Arrivano le operatrici, si alza la serranda, entra per primo saltando la fila, con la scusa di aver portato il caffè, poi nega platealmente di aver saltato la fila, mentre il suo “negretto” sta lasciando ancora le sue generalità per l'allaccio, perché i migranti possono anche servire a qualcosa.

Signore e signori, se non è un italiano questo. Dovrebbero farci un film, dovrebbe intepretarlo uno dei 5 o 6 (cinque o sei) attori che interpretano tutti i film italiani da diversi anni a questa parte e si lamentano pure.