pop

Scritti di una persona pop, del popolino, una persona che non ce la può fare.


Nulla a che fare con le piogge che stanno martoriando il Nord, in questo periodo (inizio estate 2024). È un articolo vecchio, lo ripropongo ora.

Il brano che vorrei ascoltare per il resto della mia vita, se mi imponessero di sceglierne uno e uno solo. Ho una confessione da fare, però: ho scoperto solo November rain solo 10 anni dopo. Tiratemi anche dei pomodori virtuali, perché tirare quelli veri ormai è roba da ricchi.

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Tutti conosciamo Jojo: storie impossibili, combattimenti come partite a scacchi (le mazzate al posto delle pedine), con sfidanti che portano avanti strategie basate sulle possibili venti mosse successive degli avversari. Il tutto farcito dalle caratteristiche pose, dai vestiti più scemi dell'animazione giapponese e da una serie invereconda di stupidaggini. È per questo che Jojo ci piace, è un fenomeno di costume e riscuote un successo enorme da decenni.

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Ovviamente, non ne ho; non avrei fallito, altrimenti. E ora, mi ritrovo così, avanti negli anni, senza la voglia e la forza di ricominciare con nuove amicizie. Col timore di rifare gli stessi sbagli, perché gli errori sono fatti per essere ripetuti, mentre saggezza e esperienza sono concetti volatili.

Ho un rapporto complicato col concetto in sè dell'amicizia. Non ho mai dato troppo peso, non so se sbagliando o meno, alle amicizie scolastiche: solitamente, è gente a caso, finita in una classe a caso, senza nulla che faccia da collante, tranne l'indirizzo scelto dalle superiori in su. Si diventa, più o meno amici, più per forza che per desiderio. Finito il ciclo scolastico, finita l'amicizia.

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L'ANPI organizza una manifestazione in città, in giro per le strade della Liberazione. Diverse tappe nelle strade dedicate a momenti e eroi (perché questo sono) della lotta al fascinazismo, con una breve lettura sui fatti e la posa di una coccarda rossa. L'amministrazione locale, che patrocina, sul materiale promozionale ha vietato la frase, di purezza cristallina, “W l'Italia antifascista”.

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Non sono per il pensiero unico, saluterei con relativo, moderato sollievo l'esistenza di una destra sana, che nel mio paese non è mai esistita e mai esisterà, visti i trascorsi e il presente; un concetto assurdo, da riderne parossisticamente. All'estero, non so: ci sarà qualche eccezione virtuosa, probabilmente. Intanto, quanto deve essere più facile stare e votare a destra?

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Quell'italiano non sono io, non mi sento italiano come non mi sento finlandese, polacco, cileno, maltese e così via, ma di questo parlerò un'altra volta.

L'italiano medio di cui parlo, italiano brava gente, non ha pronunciato quella frase, sentita parecchio in questi giorni di famosa rassegna cinematografica (scrivo nei primi giorni di settembre 2023), ma il fasciometro riporta approssimativamente gli stessi valori. Frase legata a un film che, diversamente, sarebbe passato del tutto in sordina, interpretato da uno dei 5 o 6 (cinque o sei) attori che interpretano tutti i film italiani da diversi anni a questa parte e si lamentano pure; di questo non parlerò, perché non meritano neanche questa attenzione.

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Antichi scrittori statunitensi, per identificarli con un aggettivo a loro caro e, da loro stessi, usato allo stremo.

Parlo di H.P. Lovecraft e Robert E. Howard, in particolare: conosciamo tutti il primo, il secondo pure. Indirettamente, per opera della sua creatura più famosa: Conan il barbaro, protagonista del suo ciclo più fortunato e, azzardo, avendo letto ampia parte della sua produzione, anche il migliore. Tutti lo conoscono, anche per i muscolacci di Schwarzenegger. Non sappiamo chi ne abbia scritto i libri, o non ne ricordiamo immediatamente il nome, ma due braccia possenti, costantemente impegnate a mulinare uno spadone, le ricordiamo tutti.

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E ne seguiranno altri, fino alla fine.

30 anni tra i piedi e non ha fatto niente per me, niente per i mediamente poveri come me. 30 anni di accanimento ostinato contro di me, contro quelli come me. I suoi alleati continueranno nello stesso solco.

Ha rimbecillito gli italiani, che già non brillavano e pareva non aspettassero altro. Ha imbarbarito definitivamente la politica e la sua concezione da parte degli italiani, con tutti i mezzi possibili; poi sono arrivati i pentastellati e hanno sfasciato definitivamente l'elettorato.

Fonte di continuo imbarazzo nel mondo, si è sentito un re, circondandosi di una corte di buffoni accorsi da tutti i punti cardinali della politica, per rosicchiare qualche osso o un torsolo di mela.


Sì, ci ho messo del tempo a recuperare la serie. 30 e più anni fa l’avevo mancata clamorosamente. Mi sentivo ancora troppo duro, per badare a questi due che si sposeranno, perché è chiaro sin dalla prima puntata, forse dalla sigla. La prima sigla è bellissima, a differenza di tutte quelle di apertura di Lamù: non penso ce ne sia una che mi piaccia davvero. Non me ne vogliano i puristi (o me ne vogliano, non cambia), ma la sigla italiana è perfetta

Maison Ikkoku è un seinen, intanto: potrà sfuggire a qualcuno, era sfuggito a me di sicuro, fin quando non ho iniziato a vederlo. Ha la struttura superficiale di un’ottima commedia leggera, di una comicità difficilmente sopra le righe, con momenti di tristezza e emozioni che preferiremmo non provare. Scavando giusto un pochettino, si rivela una serie assolutamente ancorata agli anni della sua pubblicazione in Giappone, negli anni intermedi tra la fine del boom economico e l’inizio della crisi dei ‘90.

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Ho un’edizione del 2000 di “Stagioni diverse”, antologia di quattro racconti di uno dei miei scrittori contemporanei preferiti, autore di libri che fanno parte di me. Il ciclo delle Torre Nera in particolare, per motivi che non spiego. Parlo di Stephen King, ovviamente. Le stagioni, è il caso di dirlo, sono andate e tornate un buon numero di volte, ora che sto rileggendo questo titolo, un epub caricato su un tablet. con la versione in carta e ossa che ancora svetta in soggiorno.

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