Le barchette di legno

Il nonno mi intagliava delle barchette di legno. Erano estremamente grezze, io le lasciavo scorrere in improvvisati torrenti. Le perdevo con una frequenza straordinaria. Rompevo o perdevo i miei giocattoli, segno chiaro che ero un bambino fortunato: non avevo la necessità di conservarli a lungo, non avevo la necessità di adorare la loro unicità, appunto, non erano unici. Non ricordo altri giocattoli costruiti in casa. Eravamo “ricchi” rispetto agli altri e, soprattutto, non eravamo “contadini”. Mio padre lo diceva con orgoglio disprezzava, in fondo, le origini di mia madre. Non lo capivo, ma ero dalla parte dei maschi della mia famiglia, un modo per sentirsi diverso. All'epoca la “diversità” non era un marchio. Del nonno ricordo lo sguardo: sempre un sorriso pensoso la gran voglia di ridere e divertirsi. Assomigliavo al nonno, assomigliavo prima di percorrere alcune strade buie e oscure nelle quali sono finito, “per colpa mia”, ma non è così nella realtà. Le tristezze mi hanno preso tardi nella vita, contestualmente ad alcuni scogli che ho voluto affrontare, invece di evitare. Non li vedevo affiorare, sapevo che c'erano, mi erano nascosti dalla convinzione che tutto si sarebbe risolto con facilità. Ma questo è un discorso iniziato solo dopo i quaranta.

Luigi