Maiale

Verso la fine di Novembre si doveva “uccidere il maiale”, come fosse un assassino condannato alla forca. Uccidere il maiale aveva un significato univoco: rivoluzione domestica. Io venivo allontanato dalla zona esecuzione, non potevo, tuttavia, non sentire le urla disperate del disgraziato. La sua morte era l'unico attimo di tristezza in me. Ma, appunto, era un attimo. Si raccoglieva il suo sangue in un grosso paiolo, si doveva fare la “dolze”: sangue cotto con aromi, forse un po' di farina; veniva conservato e tagliuzzato a cubetti, quindi ricotto come il fegato. Delizioso, straordinario con la polenta. Tutto in quei giorni veniva cotto, spesso lessato: “muso”, orecchie, zampe, ossa in genere... Alcune ossa venivano trattate con il sale, conservate per giorni in una cassetta per essere utilizzate in un secondo momento: insaporivano i minestroni. Anche la cotenna veniva utilizzata, soffritta all'infinito affinché liberasse tutto il suo grasso, Si ricavava molto strutto da un maiale, era prezioso, conservato in barattoli di vetro, usato per friggere o per impastare dolci: mai sentito dire che potesse fare male! Ancora una volta la regina di ogni mossa in casa era la nonna. Dirigeva con sapienza antica ogni cosa. La mamma aiutava. Se riesco a “vedere” la nonna non riesco neppure ad immaginare dove fosse, cosa facesse la mamma. Semplicemente era ininfluente la sua presenza. Io non avevo occhi che per chi comandava la rappresentazione, era un momento importante, non poteva essere lasciato al dilettantismo. Mia madre non c'è mai nei miei ricordi, c'è poco perché non contava. Quando poi si faceva sul serio, il maiale veniva completamente eviscerato. Si raccoglieva tutto, le budella sarebbero servite per gli insaccati. La notte, diviso in due parti assolutamente uguali nel senso della lunghezza, appese a due enormi chiodi dalla parte della testa, venivano lasciate ad asciugare, penso che questa operazione servisse anche a frollare le carni. Non ricordo quando, avvolto in una nube di vapore, il “signore dei maiali” (non ricordo il nome, che peccato) iniziava la lavorazione delle carni. Servivano anche sale e pepe, lo spago, al quale sono rimasto affezionato, non poteva mai mancare. I due prosciutti venivano ricoperti con una pastella, ognuno faceva a modo suo. Questo impasto ricopriva la parte del taglio, onde evitare che marcissero, o che le mosche, un pericolo concreto e drammatico, si annidassero in quelle carni saporite. Sí, erano sempre un pochino troppo salati per i miei gusti. Un altro insaccato che ricordo con disgusto (raro, perché non mi disgusta quasi nulla) era un cotechino più grande degli altri con, all'interno, la lingua stessa del maiale: una prelibatezza, dicevano, ma io credo che tale fosse considerato perché di tutto un maiale se ne otteneva solo uno. A me piaceva la pancetta, i panini, ma anche soffritta, al mattino, molto inglese, per farci colazione. Il maiale veniva ucciso con rispetto: dava da mangiare: sfamava famiglie povere, era un'alternativa per chi non aveva problemi. Ma alcune famiglie non avevano neppure quel poco che permetteva di allevare il maiale. Di quei periodi mi è rimasta l'umidità e la nebbiolina che avvolgeva tutti gli uomini che “facevano su” il maiale. Non esistono ricordi disgustosi. Non ricordo paure. Soprattutto non ricordo la mamma.

Luigi