Rane

Non sono mai andato a “rane”. In casa mia non si mangiavano né le rane né le lumache. Francamente non ricordo neppure di aver conosciuto pescatori di rane. Nel corso degli anni ho imparato che nei fossati un po' più grandi non era così difficile trovare quelle adatte al risotto o alla frittura. L'amo era con tre punte e non aveva necessità di esca. Bisognava farlo volteggiare rapidamente a pelo d'acqua, le rane lo scambiavano per una mosca, facevano un bel salto e trovavano la morte. Le rane le andavo ad uccidere in campagna di un amico, lui sì coraggioso. Le sapeva prendere con le mani, soprattutto le raganelle, finché se ne stavano accoccolate poco distanti dal pelo dell'acqua, magari sopra un alberello potato. Quegli alberelli si chiamavano “stropare” ogni anno venivano tagliati e con le ricrescite estive si ricavavano sottili ramoscelli giallastri, flessibili come spaghi, adatti a tenere curvati i tralci ribelli delle vigne appena potate. In mezzo a quei monconcini di “stropa” non ancora cresciuti c'erano le prime raganelle, immobili, verdissime, smeraldi viventi. Si poteva giocare con le rane, molti rospi li facevamo scoppiare, le piccole si mettevano in barattoli di vetro, si portavano a casa. Bisognava solo stare attenti, quando si tenevano in mano, a non farsi bagnare, eravamo convinti che si trattasse di un liquido pericoloso se non velenoso. C'erano anche delle bisce d'acqua, ma non le prendevamo, le ammazzavamo con bastoni o a sassate.

i ragazzi in campagna erano tutti assassini.

Luigi