I viaggi della Orville tra umorismo e profondità tipici della fantascienza
The Orville racconta temi importanti sotto uno strato di umorismo. Non tratterà grosse riflessioni filosofiche come accade in altre produzioni fantascientifiche ma le situazioni mostrate in un modo o nell'altro sanno parlare a tutti, perché fanno emergere le nostre stesse debolezze e paure, ma anche il modo per affrontarle grazie alle nostre qualità. Ovviamente è ambientata nel futuro, ma l'occhio è sempre rivolto alla nostra epoca. Infatti i rimandi alla nostra cultura attuale sono molteplici: dal pupazzetto di Kermit la rana sulla scrivania del capitano Mercer ai film che guardano e alla musica che ascoltano, “Che la Forza sia con te” compreso. La famiglia, gli affetti, il coraggio di conoscere se stessi più in profondità, nonché la xenofobia, qui elevata all'ennesima potenza perché rivolta anche a culture aliene, ma con chiarissimi riferimenti alla nostra, fino al valore della vita e della morte sono temi affrontati con inaspettata convinzione.
Pur essendo ambientata nel futuro denuncia tante storture del nostro tempo. In un episodio che strizza l'occhio a Black Mirror, per esempio, uno smartphone dei nostri giorni trovato dall'equipaggio della Orville contiene tutti i dati personali di una ragazza tra contatti, note, video e foto. Un sofisticato software di ologrammi ha creato una simulazione perfetta della sua vita, portando un membro dell'equipaggio a innamorarsi di lei. Non so quanto fosse di denuncia e quanto un mero spunto narrativo, fatto sta che permette di far riflettere sulla tematica della privacy e di quanto i dispositivi elettronici che usiamo tutti i giorni sappiano su di noi.
Nonostante un inizio cosparso di ridondanze umoristiche eccessive al limite del fatidioso, la serie nel tempo ha preso una propria direzione, bilanciando tematiche profonde alla leggerezza. La ripetitività dell'evento che porta il capitano a separarsi dalla moglie, ricordato a più riprese, in realtà è una spinta per raccontare un'altra tematica importante più avanti. Devo ammettere che alla prima visione dei primi episodi non ero del tutto convinto se The Orville facesse per me, perché il protagonista nonché creatore della serie è Seth McFarlane, che ha ideato anche I Griffin che non riesco proprio a sopportare. Tra questa punta di pregiudizio e situazioni che davvero spesso erano condite di comportamenti assurdamente sciocchi ero a un passo dal bollare la serie come un divertissement eccessivamente costoso. Sono stati la dichiarazione d'amore verso Star Trek, pura e cristallina, e l'umorismo che pian piano si è più raffinato (restando spesso sciocco, ma va bene così), misto ai temi così importanti trattati con disinvoltura in mezzo al tono leggero degli episodi a farmi gradualmente innamorare dei personaggi, tutti. La spinta verso l'epica sul finale della seconda stagione ha poi offerto la nuova rotta intrapresa dalla terza, che ha ottenuto il sottotitolo New Horizons, probabilmente proprio per rimarcare il sapore più fantascientifico e intimista. L'umorismo rimane un importante marchio di fabbrica, ma ora si può dire che la serie sia veramente maturata.
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