La mia notte prima degli esami


È stata tormentata dagli schiamazzi per la “ritirata” del santo patrono; a parte questo, non ho vissuto il periodo degli esami come chissà quale momento mitologico di transizione. Era solo la fine di un ciclo scolastico.

Spiego cosa sia la ritirata di un santo, per chiunque abbia sempre vissuto in un posto più civile. C'è un santo, patrono o percepito come tale (non è importante che lo sia, anzi: nel posto dove vivevo, ancora non hanno capito quale sia il vero patrono della città) ; questo santo, o meglio, una sua riproduzione in due o tre dimensioni, una volta all'anno catalizza l'attenzione del popolino per un numero variabile di giorni, nel mio caso credo tra i 6 e gli 8. La sua effige viene portata in processione per le vie cittadine, stazionando ogni giorno in un posto diverso, fino a tornare al punto di partenza: quella è la ritirata.

Ovviamente, la procedura è accompagnata dalle pratiche più rumorose possibili: bande di fiati stonati e percussioni, cori di preghiere stonate, botti e esplosioni varie. Tipica la figura del fuochista: è un tizio, solitamente in canottiera, con la sigaretta accesa in bocca e una lunga fila di petardi in spalla, che avanza con sicumera spacciata da una “stazione” all'altra, come se da fuoco e polvere pirica non potesse scaturire niente di male. Le stazioni sono punti intermedi delle processioni dove, solitamente a opera dei fedeli più fieri di vedere i loro soldi andare letteralmente in fumo, si trovano delle batterie di fuochi da far detonare, così, per interrompere la noia della camminata e delle preghiere. Il fuochista si ferma, srotola una certa quantità di esplosivi, li poggia a terra e poi dà fuoco alle polveri, con la sigaretta di cui dicevamo. Si sentono dei botti, finiscono, i trogloditi applaudono e si continua.

Ebbene, finché tali dimostrazioni di preistoria si tengono in tarda mattinata o in pomeriggio inoltrato, diciamo che il disturbo è accettabile: tuttavia, il culmine della ritirata è di notte, perché il buio valorizza particolarmente i fuochi artificiali, quelli che la luce del giorno ha temporaneamente oscurato. Quindi, di notte, è il gran finale: luci, scariche di esplosioni, detonazioni su detonazioni di veri e proprio ordini, così si concludono questi giorni di riti tribali contemporanei.

Ebbene, ancora: quella notte di ritirata è stata la mia notte prima degli esami, quindi tutti gli studenti della zona hanno dovuto attendere che i selvaggi facessero i loro comodi, fino alle 3 e oltre. Sì, in quegli anni si finiva a quell'ora circa, poi dopo, molto dopo, troppo dopo, penso abbiano anticipato la chiusura.

Non ero uno di quei quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla (capisco le necessità della metrica, ma Venditti probabilmente avrebbe dovuto averlo visto un pianoforte in vita sua): ero uno che voleva riposare per il giorno del tema, ma le necessità del singolo muoiono davanti alle istanze della collettività.

Qualche ora dopo la chiusura delle feste, ero a scuola, con una polo blu e un jeans di stoffa molto chiara, che odiavo perché mi dava molto fastidio, infatti l'avrò indossato quattro volte in tutto. La traccia non me la ricordo, comunque ando bene. Andò tutto bene, fino alla pubblicazione degli esiti: io ero un 60/60 sicuro, non andò così.

Nella mia classe, c'era la figlia di un assessore, in quota al partito di rappresentanza dei fascisti di quel tempo: ebbene, era stato deciso che quella persona avrebbe dovuto avere il voto più alto della classe. La sua storia scolastica non avrebbe permesso, in alcun modo, di raggiungere il massimo dei voti, ragion per cui le fu assegnato un impossibile 52 e tutti noialtri, tra i quali non spiccavano altri figli di cotanti padri, a scendere; 52 pure per me che, ripeto, ero da 60 senza neanche pensarci, altri amici con un discreto curriculum furono artificiosamente portati al 40 circa.

Finiscono gli esami, gli scrutini, tutto; è il momento di andare a vedere i quadri, così si faceva all'epoca, penso non più: i risultati venivano esposti in un qualche locale dell'edificio scolastico, solitamente l'ingresso. Vado e trovo questo misero 52, assieme a un 52 enorme per quella persona. Nei dintorni, trovo alcuni dei miei professori riuniti in un capannello, vedono avvicinarmi con gli occhi lampeggianti di furia, non ho neanche bisogno io di chiedere: sono loro a dirmi di quel pasticciaccio brutto. Mi suggeriscono, con dei musi lunghi così, di fare ricorso, per rifare l'esame.

No, grazie, e aggiungo: non voglio rifare niente e non voglio vedervi mai più, e così è stato. Per quanto fossero onestamente contriti, perché lo erano, il rapporto di fiducia ormai era andato in frantumi. Per imposizioni dall'alto, vero, ma non mi interessava.

Ok, a parte questo, vedo una mitologia enorme costruita sugli esami di maturità, non la capisco, forse sono arido o chissà cosa. Non la capivo adesso come ora, quindi sarò stato sempre arido o chissà cosa. L'unica cosa che vedo, in questi esami, è il fastidio: dover dimostrare cosa, che non sia già stato dimostrato negli anni scolastici? Non so gli altri, ma quel che avevo da dire, io l'avevo detto.

Fine di una fase della vita? Questo sì, ma la vita è fatta a fasi, prima lo si capisce e meglio è.

Mi mancano quegli anni? Sono, o no, i migliori della vita? Che fine fanno le amicizie maturate in quel quinquennio? Materiale per un altro articoletto.

Intanto, la mia notte prima degli esami volevo passarla a dormire, senza santi esplosivi e senza pressioni.