Ma poi te lo mangi?


Avete avuto un coniglio come animale da compagnia? Sicuramente il simpaticone di turno vi avrà posto la domanda, credendosi divertente, immaginandosi come un novello Woody Allen.

Lamù è stata la nostra seconda coniglia, arrivata all'improvviso. Stava per lasciarci ancor prima che la vedessimo, poi ha vissuto molto a lungo per un batuffolo della sua specie. Jack, battezzato così da mia sorella, all'epoca vittima delle smancerie di Titanic, l'avevamo voluto e ci ha lasciato molto presto, per un qualche problema intestiale, nel giro di poche ore, senza assolutamente nulla che lo desse a intendere.

Era un diavolo della Tasmania, quello dei cartoni, più che un coniglio. Una furia scatenata, non c'era posto dove non saltasse o antro in miniatura in cui non andasse a rintanarsi. Si incastrò nel retro del bidet, una volta: sembrava scomparso, pensammo fosse scappato dalla porta o lanciatosi dal balcone, invece stava lì. Lamù, invece, era una dolcissima e mansueta fifona. Un salto di una quarantina di centimetri (salire o scendere dal mio letto) richiedeva una preparazione quasi pari a quella che aveva portato gli uomini sulla Luna, preceduta da ripensamenti su ripensamenti. Si dimostrava buffamente aggressiva solo quando mettevi le mani nella gabbia, profanando il suo santuario.

Il pomeriggio la lasciavamo libera per la casa; ricordo gli inseguimenti serali per convincerla a rientrare in gabbia, lei davanti a sgusciare tra tavoli e sedie, corse folli in balcone, fino a quando cedeva. E ogni giorno della sua vita, appena aperta la gabbia, è venuta a farmi compagnia nella mia stanza. Io al computer, lei un metro circa alla mia sinistra, nel suo posticino preferito, raggomitolata in un gomitolo bianco (era una coniglia volpe, così mi pare si chiamino, tutta bianca con gli occhi rossi) quando faceva freddo, sdraiata quando fa caldo, come si sdraiano i conigli.

Poi, come dicevo, son passati quelli che per loro sono molti anni. Cataratta prima a un occhio, poi l'altro, alla fine è diventata completamente cieca. Nonostante ciò, ogni giorno veniva a trovarmi nella mia stanza, rimbalzando come la pallina di un flipper lungo il corridoio, con una volontà inarrestabile, fino al suo posticino al mio fianco.

Poi abbiamo scoperto la malattia, probabilmente quella che colpisce, prima o poi, buona parte delle coniglie. E, ancora, ogni giorno, fino all'ultimo giorno della sua vita, è venuta da me, rimbalzando contro le pareti nel suo buio personale, negli ultimi tempi dovevamo prenderla in braccio e posarla nella gabbia, perché non aveva più la forza di scavalcare quel minuscolo ostacolo.

Ogni sera, prima di spegnere le luci in cucina, dove stava la gabbia, le davo un pezzettino di biscotto, fino agli ultimi giorni è venuta a rosicchiarlo, con convinzione sempre minore. Una sera, no: avevo capito, non ce ne sarebbero state altre.

Era una notte a cavallo tra il primo e il secondo giorno di giugno, è stata così garbata da scegliere un giorno festivo, in modo da potermi lasciar piangere a casa, senza dover dar conto a nessuno. Vado a dare un'occhiata, è come se mi stesse aspettando (così han fatto tutti i nostri animali). Mi vede, azzarda un mezzo giro nella gabbia e ci lascia.

E voi, i vostri animali li mangiate? Amici, parenti, conoscenti...mangiate anche loro? Se qualcuno chiede, vorrà dire che è usanza.