Una riflessione etica
Ieri, mentre cercavo delle idee per un esercizio del master, mi è balenata un'intuizione che mi ha attraversato il cervello da parte a parte. Sul momento ho pensato fosse molto adatta, continuo a pensarlo tutt’ora, perché coglieva una sfera emozionale reale che sento vicina. Lo step successivo è stato passare in rassegna i dati e capire che avrebbe funzionato davvero. Il problema è: non avrei voluto che funzionasse. Di fatto mi sono reso conto di aver raggiunto l’obiettivo prefissato ma… A quale prezzo?
Nel campo pubblicitario è molto difficile distinguire cosa è bene da cosa è male. In ogni ambito dove si ha a che fare con chi ha padroneggiato l’arte della comunicazione, tutto può assumere sfumature surreali e subire ribaltamenti spiazzanti e coinvolgenti mirati al raggiungimento di un obiettivo. Potrei paragonarlo a una missione secondaria: quando ti chiedono di eliminare il capo dei terroristi e solo alla fine scopri che i terroristi erano invece una resistenza popolare che cercava di sopravvivere ai soprusi del regime.
Sono sempre i vincitori che raccontano la guerra
In questi ribaltamenti etici si quieta il senso di colpa e questa leggerezza permette ai creativi di levigare gemme che diventano poi i prossimi leoni di Cannes¹: opere talmente impattanti da venire studiate nelle accademie e negli istituti di ricerca. Per questo e altri motivi, molti creativi decidono di scivolare via dal sistema “Agenzia” e divenire liberi professionisti. Si prova così a boicottare il lato oscuro della comunicazione che altrimenti avrebbe altri cuori e menti da cui accrescere il proprio potere.
Dato questo preambolo, necessario per comprendere delle dinamiche della comunicazione di agenzia (la stessa dei tempi ellenici con la retorica), passiamo al motivo per cui dopo la stesura di questo post lavorerò per trovare un’intuizione diversa e migliore che miri a persone che possono difendersi da essa. In soldoni, Azienda X (non quella di Elone Muska) vuole che i giovani vadano nei loro locali per scoprire i nuovi servizi, che è tutto innovativo e wowowow c’è perfino il WIFI per farsi i selfie!
Il problema è che la tecnologia ha portato una grande diminuzione dei motivi per andare in quei locali e quindi sorge spontanea una domanda: e allora che ci devono andare a fare? Perché online non puoi convincere le persone a entrare in una gabbia.
Questo step di analisi delle motivazioni per cui brand X volesse un ritorno ai locali è stato successivo al brainstorming per le idee e al mio concept. Un fulmine oscuro a ciel sereno, la scoperta del dark side, la rivelazione che dietro tutte le macchinazioni c’era sempre stato il signore dei Sith, Palpatine, che con la promessa di una galassia coperta dal WIFI era di fatto il controllore dei dati del mondo.
In questo contesto avevo generato un’intuizione che andava a prendere una fetta di popolazione introversa per indurla in uno stato di agio, all’interno di uno di questi locali. Una sorta di comfort zone artificiale così che potessero fare quello di cui avessero bisogno senza doversi guardare le spalle o il portafoglio.
Una campagna pubblicitaria rivolta a una fetta demografica di questo tipo richiede una profonda comprensione degli schemi emotivi e dei pattern abituali di queste persone. Qualcosa tipo: “se io dovessi per forza andare in un locale del genere, cosa mi spronerebbe ad andarci nonostante io non abbia nessunissima voglia di uscire di casa perché il mondo è una merda e fanculo ste cose ma a me chi me lo fa fare ciao?” Mi sono risposto così: “sapere che il posto in cui andrò mi ascolta, mi guida e rispetta”.
Io non voglio spronare le persone a entrare nello stomaco del lupo
Nella mia tesi (oh no che palle ancora con la tesi) ho espresso un sotto testo abbastanza chiaro riguardo l’utilizzo del marketing emotivo, quello che molto spesso preme tasti inconsci che manipolano le persone senza che esse ne siano pienamente coscienti. Di fatto, buona parte del lavoro, sono una guida alla maturazione di un senso critico verso la pubblicità così da resistere a campagne pubblicitarie occulte ed evitare di essere un agnello sacrificale del capitalismo
Nel testo avevo inquadrato i creativi come sfruttatori dello strumento consapevoli, come soggetti che muovevano i fili delle emozioni per scopi eticamente criminosi. Corrotti dal potere, proprio come i Sith, volontariamente costruivano campagne per manipolare i deboli. La verità però non è mai netta, è narrativamente funzionale avere dei nemici, qualcuno da non essere per brillare al meglio ma… esistono davvero i cattivi? Gli stessi creativi a volte vengono manipolati all’utilizzo di una comunicazione ignari della finalità che essa ha davvero. Come agli scienziati viene posto un quesito a cui trovare soluzione, ai comunicatori viene posto un brief a cui rispondere con qualcosa di originale e impattante.
Puoi immaginare il dramma quindi di aver aver avuto un’idea del genere, di aver abbassato la guardia per un attimo e concepito qualcosa in buona fede, speranzoso che come molte aziende datate in Italia, anche X avesse deciso di abbandonare il sentiero della deprecabilità per perseguire una specie di redenzione sociale. Un rebranding positivo che lo fosse davvero e non solo una vetrata new tech che andasse a occultare il marcio sottostante.
In ogni caso, ogni percorso di studio porta a comprendere e migliorare. Comprendere che nella vita si è sempre sia cacciatori che prede è come ammettere di essere fragili e ignoranti. Soprattutto andando avanti nella vita. Uno spera che studiare e allenarsi permetta di essere pronti alla savana ma appena si abbassa la guardia si scopre che un neuroscienziato della Kamchatka ha scoperto un nuovo metodo per hackerare la mente e si é di nuovo punto e a capo. Ho iniziato questo percorso fissando nella mente l’obiettivo di creare un marketing etico che avesse rispetto delle persone, farò di tutto per riuscirci.
E vaffanculo anche il jazz²
¹ Sono come gli oscar ma per le pubblicità ² La leggenda del pianista sull’oceano (Novecento), Baricco. (Va la, ancora non ci credo che l’ha scritto lui)
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Mi raccomando, be gentle, siamo pianeti in una galassia lontana lontana.