Una riflessione non percepita

La mattina, mentre sorseggio il caffè, scrollo sul telefono le notizie pubblicate durante la notte dalle altre parti del mondo, essenzialmente da loro era giorno. Notizie tech, la guerra, One Piece che supera i millemilioni di visual su Netflix… Insomma un giro di ronda per capire cosa sia cambiato nel mondo. Quante cose accadono quando non guardiamo?

In linea di massima, lo stesso numero delle visual di One Piece. Mentre non guardavamo, le Torri gemelle sono cadute, il muro di Berlino è caduto e anche 3-4 governi italiani sono caduti. Insomma la maggior parte degli eventi (e delle cadute) avvengono mentre non guardiamo proprio come succede negli spazi vuoti tra le vignette fumettistiche.

La Closure, nei fumetti, è tutto ciò che accade tra tra due vignette, qualcosa che esiste ma solo nella mente nostra o dell’autore.

Quando osserviamo un evento attraverso il telefono, questo è ristretto nei 6” del suo schermo. Potremmo dire che questo dispositivo sia un’inquadratura elettronica e interattiva sugli eventi che mostra delle informazioni esterne alla realtà raggiungibile dai nostri sensi.¹ E cos’è questa inquadratura se non un richiamo all’attenzione focalizzata già usata da tempo da vignette fumettistiche, dal teatrale, da un monitor videoludico o la pagina di un libro? Tutti questi contenuti ci raccontano di qualcosa avvenuto altrove, lontano dal nostro sguardo.

Questi eventi nella cornice sono messi a fuoco attraverso la vista - e, a volte, l’udito, in caso siano dei video o dei podcast - e subiscono il nostro sguardo inquisitore per tutta la durata necessaria alla fruizione. Per tutto il tempo siamo concentrati su ciò a cui stiamo assistendo e mettiamo in secondo piano tutto il contesto ambientale intorno a esso. Un modo per ritornare tra i nostri? Uno shock sensoriale: qualcuno che ci agita, un rumore od odore forte o una frase specifica: “è pronto, si mangia”, “sta andando a fuoco il locale”, “ti stanno per gankare bot lane”.

Una donna guarda meme sul telefono mentre sullo sfondo Ghostface uccide il marito a letto
Fun Fact: i meme hanno ucciso più di ghostface

Ero spalmato a letto a pancia in giù l’altro giorno e stavo cercando di capire quanto i miei occhi fossero stanchi. Per farlo mi esercitavo con un esercizio di messa a fuoco su varie profondità: quanto più tempo ci impiegavano a rendere nitido un dettaglio delle lenzuola tanto più i miei occhi erano stanchi e avevano bisogno di riposare lontani dal pc.

Questo mi ha fatto ripensare a un altro evento a cui avevo assistito tempo addietro, quello di presentazione del nuovo motore Unreal Engine 5.2 con i suoi milioni ditriangoli e il deep of field² nei videogiochi. Gli sviluppatori hanno elaborato un modo molto complicato per riprodurre nel mondo virtuale la capacità dell’essere umano di evitare il sovraccarico di informazioni al cervello. Per farlo le immagini vengono classificate per profondità e focus facendo loro perdere e acquisire dettaglio man mano che ci si avvicina o si fissa quella porzione di ambiente. Tutto per tenere il PC leggero e fresco.

Uno schema che spiega la Closure attraverso alcune immagini di Pascal Campion
The world behind the world

Si ma tutto questo che c'entra con il tema del log? GIURO, arrivo al punto. Bene, messo in chiaro che ogni cosa nella nostra vita viene incorniciata dalla nostra percezione, ecco che arriva il risvolto della medaglia o, per la precisione, l’altra parte della cornice: la closure.

Questo termine viene utilizzato soprattutto in ambito fumettistico ed è stato citato più volte da Scott McCloud per descrivere tutto ciò che succede fuori dalla vignetta ma che viene indotto nella mente del lettore come conseguenza dell’immagine precedente. Sarei ripetitivo nel dirvi che anche Eco ne ha parlato (riferendosi al mondo della letteratura ovviamente) riguardo alla matrice di mondi e di ciò che è possibile e impossibile che accada “negli spazi vuoti tra le parole”.³ ma lo ha fatto e quindi te l’ho detto.

Applicandola al discorso, la closure è tutto ciò che accade all’esterno della nostra teoria del controllo della realtà

Questo ultimo salto carpiato mi è servito per introdurre uno degli argomenti a cui tengo sempre particolarmente quando scrivo questi log e in generale nella vita. Una di quelle cose che vorrei facessimo tutti così da alimentare la speranza che il mondo diventi un posto migliore: comprendere che esistono cose che non possiamo sapere. Il mondo all’esterno della nostra teoria del controllo è quello che succede tra le vignette, dietro il palcoscenico, alle spalle del personaggio e il punto in cui guarda Legolas con i suoi occhi da elfo. La closure è tutto ciò che di una persona non sappiamo, quello che pensa, sente, prova e sa. Bisogna capire che ciò che non vediamo è molto di più di quello che percepiamo. I sensi non sono capaci di approcciarsi a ciò che non percepiscono direttamente, é con l’occhio della mente che proviamo a immaginarlo ma, nel tentativo farlo, applichiamo le nostre personali strutture mentali che, paragonate alla realtà, sono come una montagna all’orizzonte per un miope: fuori fuoco e senza dettagli. In più a coronare questa magica esperienza, non puoi immaginare ciò che non conosci quindi la banana sarà anche quella stereotipata delle pubblicità Conad

Scena di Entergalactic con Jabari sul tetto con la felpa rossa con su scritto Closure
Lo senti il fragore di una nuova stella dopo aver guardato la maglietta?

Quando ho visto Entergalactic la prima cosa che mi è saltata all’occhio é stata la scritta in maiuscolo “closure”. All’inizio pensavo che fosse solo un omaggio fumettistico ma mentre si avvicinava il finale ho compreso fosse un dettaglio specifico del personaggio: tutto il suo passato è ignoto e buona parte della sua vita è quella felpa stessa. Niente spiegoni o monologhi, è tra le parole del protagonista, nelle scelte che fa e negli oggetti che possiede che esso si esprime. Per il resto, è un mondo sconosciuto a cui ci approcciamo sbirciando dalla finestra delle inquadrature prestabilite dal regista.

Allo stesso modo le persone si approcciano tra loro supponendo di conoscere qualcuno, ognuno di quei pensieri, però, è solo una vignetta sbiadita, una versione edulcorata e irreale dell’interlocutore che ha lo spessore di un goblin in un film del Signore degli anelli. Secondo me, forse, sarebbe un’ottima scelta avvicinarsi a qualcuno con la curiosità del bicchiere vuoto invece di arrivare già pieni di preconcetti e disegnetti soggettivi.

C'era una volta un saggio maestro Zen. La gente veniva da molto lontano per cercare il suo aiuto e, in cambio del pellegrinaggio, avrebbe insegnato e mostrato loro la via verso l'illuminazione. Un giorno, uno studioso venne a far visita al maestro per chiedere consiglio. “Sono venuto a chiederti di insegnarmi lo Zen”, disse lo studioso. Presto, divenne ovvio che lo studioso era pieno delle proprie opinioni e conoscenze. Interruppe ripetutamente il maestro con le sue storie e non ascoltò ciò che egli aveva da dire. Il maestro suggerì con calma di prendere il tè. Allora il padrone versò una tazza al suo ospite. La tazza era piena ma il maestro continuò a versare finché la coppa non traboccò sul tavolo, sul pavimento e infine sulle vesti dello studioso. Lo studioso gridò “Fermo! La tazza è già piena. Non vedi?” “Esattamente”, rispose il maestro Zen con un sorriso. “Sei come questa tazza: così piena di idee che non c'è niente di più da inserire. Torna da me con una tazza vuota.”

¹ Ricordiamo ad esempio che “Windows” si chiama così perché è letteralmente una finestra sul personal computer. ² La distanza tra l’oggetto più vicino e quello più lontano rispetto alla telecamera nei videogiochi viene di solito settata per avere meno dettagli a schermo e non caricare troppo il pc. ³ In ogni caso se non avete niente da fare ne ho scritto nella mia tesi ed è presente anche in “I limiti dell’interpretazione” in cui c’è anche un capitolo nel quale Umbertone nazionale prende per il culo i cospirazionisti.


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Mi raccomando, be gentle, siamo pianeti in una galassia lontana lontana.