Un altro sport da villeggiatura: il tennis
Delle mie esperienze con lo skatebobard, in estate e lontano da casa, ne ho parlato qui. Del tennis, invece, ne scrivo adesso e anticipo che racchetta e skateboard trovano un punto di contatto nel punto di contatto tra il mio coccige e una superficie più o meno piatta, ma indiscutibilmente solida: sì, sono caduto, anche stavolta pesantemente, con una racchetta in mano mentre stavamo in villeggiatura e questo è il succo di questo articolo, che continuo per chi fosse ancora interessato.
Stavolta, la casa era a Castello del Matese, località in cui abbiamo villeggiato una sola volta, e quell'anno avevamo la compagnia dei miei zii dalla Toscana. Noi salivamo di poco, loro scendevano di parecchio e ci incontravamo in questo piccolo paese tra Piedimonte (Matese) e San Gregorio (Matese). Il Matese è un'area geografica, fatta di monti e valli, a cavallo tra la Campania e il Molise e i nomi di molte località incorporano questa dicitura, subentrata quasi sempre a “d'Alife”. Piedimonte è in collina, 300 metri più su c'è Castello e salendo per altri 300 metri, circa, si arriva a San Gregorio. Ci eravamo fermati nel mezzo, quell'anno.
La casetta affittata dai miei zii era più moderna, per quanto potesse esserlo in un paesino di montagna più di trenta anni fa. Ricordo gli infissi in alluminio, almeno: la nostra, di sicuro, non ce li aveva. Era una tipica casetta da borgo, di quelle non vissute dai proprietari e che quindi sono rifinite un po' sì e un po' no, più no che sì. Muri intonacati senza troppa convinzione, pavimenti decisamente antichi, bagno al piano di sopra a cui si accedeva, se non ricordo male, passando da un balcone. Gli elementi della abitazioni tendono a diventare a incastro, in certe situazioni. E la scala che portava al piano di sopra: una dei protagonisti del racconto, che era di gradini di cemento grezzo, probabilmente neanche troppo regolari in alzata e pedata, come se servissero a ostacolare l'avanzata di eventuali aggressori dal piano basso che volessero conquistare il bagno (senza doccia e senza vasca, ci lavavamo in una capiente tinozza) o le stanze da letto. Ah, dimenticavo: da una porticina a piano terra, fatta di una intelaiatura approssimativa di legno, vetro e spifferi, si accedeva a un orticello interno, incastrato nello spazio lasciato dalle case incastrate tra loro. I proprietari ci chiesero di evitarlo, possibilmente, cosa che facemmo. Chissà, forse vi passeggiava un fantasma, fatto sta che quella stanza era molto più tetra del resto della casa.
Con noi, c'erano i nostri due uccellini, una canarina e un verdone, che ci portavamo sempre dietro in villeggiatura, mica potevamo lasciarli a casa. Ogni estate, caricavamo la 127, quella col motore da 900 cm³ e tre porte, ci entravamo in quattro più la gabbia e partivamo. Inconcepibile, attualmente: senza un 3.000 diesel, da tre tonnellate, non si fanno fare neanche le scuole dell'obbligo ai figli, neanche se per arrivarci basta attraversare la strada.
Ma la racchetta? Eccola. Per qualche motivo, come se poi potessi giocarci da solo, come se la 127 non fosse già abbastanza stracolma del necessario (tra cui noi e i nostri uccellini), mi ero portato dietro questo racchettone dei tempi di Nicola Pietrangeli, bastava impugnarlo e ci si sentiva subito un po' Fantozzi. Una notte, dalla stanza tetra arrivarono dei rumori. Sarà stata la semioscurità che l'avvolgeva anche nelle ore di sole, saranno state quelle scale quasi medievali, quell'ambiente colpiva la fantasia (fertile) di un ragazzetto. E questa fantasia era sollecitata nelle ore di luce, ma quella notte, svegliatomi di soprassalto e solo parzialmente, avevo immaginato una cosa molto più terrena e pratica di un fantasma che si divertisse a turbare il sonno dei giusti: poteva essere un gatto, entrato da spiragli che solo loro conoscono e possono praticare, venuto a mangiarsi i nostri uccellini!
Passai da uno stato di sonno profondo a uno di dormiveglia, accesi una luce e afferrai il racchettone, pesante di suo come se fosse stato di pietra, non so in quale ordine, per poi lanciarmi per le scale, brandendolo come mazza chiodata, scivolando su uno dei gradini, battendo (ancora) il coccige al suolo con frastuono sismico, fermandomi un paio di gradini più in basso, abbastanza naturalmente anestetizzato da non sentire subito il dolore, ma abbastanza sveglio da capire che il nemico era stato messo in fuga prima di poter fare danni. In realtà, non sapemmo mai se davvero ci avesse fatto visita un gatto, quella notte. Anche quell'anno, la gabbia tornò a casa intatta, coi suoi occupanti illesi, in un giorno di inizio settembre.
La racchetta la usai come tale una sola volta, ci giocai con mia cugina su un campetto affittato per un'ora. In realtà, non potrei affermare con certezza di averci giocato, di sicuro i nostri vicini di campo passarono un'oretta d'inferno: noi lanciavamo costantemente e involontariamente le nostre palline nel loro campo di gioco e loro, gentilmente, ce le rimandavano per tutto il tempo, senza un fiato o una smorfia.
Questo è il vero spirito del tennis, non fare i milioni e pagarci ben misere tasse in un paradiso fiscale, azzardando un italiano da dizionario tascabile.