Come sempre è la festa, di chi è

Capitolo precedente: Perché piove sempre ai funerali?

“Pronto?” “Ehi bestiaccia, come stai?” Marco. “Al solito” “Lo immaginavo. Ascolta: domani, casa di Alice, ore 21,vestiti bene ma non troppo elegante” “Non c'è pericolo” “Vestiti bene, dai, non farmi fare brutte figure. Ti passo a prendere alle 21 e 30, fatti trovare pronto che non voglio tardare” Il bip del telefono occupava il vuoto lasciato dalla cornetta riagganciata dall'altra parte. La notte era andata come previsto, tanta birra e pochi pensieri. Un raggio di luce filtrava dalle tende e finiva sui miei occhi, come nei migliori film. Alzandomi avevo buttato a terra tre o quattro lattine vuote, probabilmente sarebbero rimaste lì fino quando non ci sarei finito sopra con un piede. Il cellulare non aveva messaggi o chiamate perse. Stupido. Avrei dovuto occupare mezza giornata. C'era da finire quel cofanetto di documentari che un giorno mi avevano prestato e mai più chiesto indietro. Non ricordo neanche di chi fossero. Tutta roba noiosa, ma sempre meglio dei programmi in televisione. Quella roba ti scioglie il cervello. Dopo aver messo su un disco a caso partiva la sigla. Era molto rilassante, anche se alla lunga cominciava a dar noia. Il documentario trattava la guerra civile avvenute in Inghilterra dopo l'uscita dall'Unione Europea. Salì al potere una figura che inizialmente sembrava operare per il bene della popolazione, ma quando si accorsero che il suo piano era un altro era ormai troppo tardi. La polizia massacrò migliaia di persone fino a che partirono centinaia di rivolte per tutto il paese. Intervenì anche l'esercito e fu una carneficina. Da questo punto in poi il buio. Troppo soporifero. Meglio così, al mio risveglio erano passate già quattro ore, avevo tutto il tempo di prepararmi con calma e mangiare. Il getto gelido della doccia mi aveva fatto sussultare. Respiro affannato, a tratti soffocato. L'acqua mi impediva di respirare. Poi ecco di nuovo che i polmoni riprendevano a funzionare. La calma. Il corpo si era abituato e l'acqua scorrendo copriva le orecchie. Il mondo produceva un suono ovattato mentre io mi cullavo in un movimento ipnotico cercando di rimanere sotto il getto protettivo dell'acqua. Un'ora e mezza dopo mi stavo finendo di preparare e stavo per scendere dopo aver ricevuto la chiamata di Marco. Casa di Alice era in centro, in un enorme e nuovo palazzo di una dozzina di piani. La porta non aveva il campanello, ma un pesante battiporta che sembrava esser placcato d'oro. Una voce nasale e poco acuta stava parlando. “Ehi! Benvenuti!” “Grazie Alice, non potevamo mancare!” “Come stai Francesco?” Conduco la solita triste e mediocre vita di sempre, e ho per la testa una ragazza che non vedevo da vent'anni. “Bene” “Loquace come sempre” “Parlare non mi si addice” “Lo sappiamo benissimo. Venite, ci sono già delle persone” La sala più grande, quella piena di gente, era molto spaziosa e pulita, mobilia in legno di colore chiaro. Gruppi di ragazzi e ragazze, tutti sulla trentina, parlavano intensamente con bicchieri e piatti in mano. C'è una cosa che non mi è mai passata ed è la voglia di mangiare. Stavo prendendo del cibo dal tavolo del buffet ed ecco una mano afferrarmi. “Q-q-quanto tempo!” Riconoscerei quel balbettio anche dopo mille anni. “Nicola? Oh Dio, quanto tempo!” Ero realmente sorpreso. Non lo vedevo da troppi anni, da quando aveva cambiato città e smesso di suonare insieme. “P-paarecchio! Ti vedo b-bene però” “Potrebbe andare peggio” “Non ti smentisci m-mai eh? Co-ooo-munque lei è la mia ra-ragazza, Chiara” Alta quanto me, mora, bei boccoli uscenti da un sobrio cappello nero. “Piacere” Sorrideva e aveva una forte stretta di mano. Il volto era familiare. “Ci siamo già visti?” “Forse a u-u-una mia festa di compleanno” Già, forse. “Tieni” Alice mi aveva porto un bicchiere pieno davanti la faccia. “Spero sia alcolico” “Così mi offendi” Non avevo fatto in tempo a scolarlo che già era di nuovo pieno. Questo svuota-riempi continuò per un po', non so quanto di preciso. Ricordo solo di aver incontrato altre persone, ma non le conversazioni. Sta volta la luce passava dal finestrino della macchina. Ero disteso sul sedile posteriore della mia auto. Quindi ero vicino casa? E in caso, per quale motivo avevo dormito in macchina? Alzandomi, oltre ad un gran mal di testa, sentii le campane suonare. La chiesa si ergeva di fronte a me, io invece me ne stavo in piedi appoggiato al cofano della macchina. La piazzetta era deserta, doveva essere molto presto. Osservavo come il vento smuovesse i rami degli alberi, quando una figura si materializzò in lontananza. Mentre si avvicinava notavo sempre più particolari: capelli castani, un maglione lungo fino alle cosce, calze, stivaletti neri. Che fosse Roberta? Mi ero staccato dalla macchina per camminare a fatica verso la figura. Era proprio lei, ma cosa ci faceva qui? “Io abito qui vicino, ricordi?” Certo che lo ricordo “Oh, giusto” “Cosa fai tu qui, piuttosto” “Io... Dormivo” “In chiesa?” “No, in... In macchina” Mi guardava come se fossi un pazzo o un barbone o entrambi. “Non ricordo perché, però...” “Fatto serata?” “Già...” “Che strano, per tantissimi anni non ci siamo visti e ora ci siamo incontrati due giorni di seguito” “È molto strano. Oh, ehi, ti andrebbe di vederci un'altra volta? Per un caffè o un gelato” “Non mi piace il gelato. Comunque non credo di potere” “Ah...” “Perché me ne vado” “Ah... Ah si?” “Vado a Parigi, per lavoro” “Ma poi torni?” “No. Non subito, comunque” Ero un po' morto dentro. Ci si presenta così, dopo anni e anni, offrendo un ombrello e poi si sparisce? “Senti io devo andare, magari ci risentiamo” Ed era sparita.

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Originally wrote in 2016-11-28T01:37:00.000+01:00