Perché piove sempre ai funerali?

La pioggia ticchettava leggera sugli ombrelli neri, aperti sopra le teste degli invitati. Erano circa una trentina, tutti vestiti di scuro, chi in maniera elegante, chi no. Un chirichetto reggeva un ombrello più grosso di lui, cercando di coprire il prete: un anziano signore che stava recitando le solite parole confortanti dirette ai familiari. Un grosso uomo era seduto su una sedia a fianco la tomba, era vestito di nero e aveva un bizzarro papillon giallo oro. La sua faccia era piatta, non lasciava trapelare emozioni di nessun tipo. Fissava qualcosa per terra, poco lontano dai suoi piedi. Non aveva distolto lo sguardo neanche per un secondo, ormai da mezzora. “Ora che è stata chiamata da Dio al Suo cospetto, è in un posto migliore”. Un tuono preannunciava l'arrivo di una tempesta. Ovviamente ero uno dei pochi senza ombrello, ma per fortuna indossavo l'impermeabile. Mancava ancora mezzora alla fine di questo strazio. Mi trovavo li solo per una questione di rispetto, non andavo a messa da anni. In più non avevo per niente voglia di rivedere certe persone, ma per una volta non sarei morto. Invece mi sarei preso una polmonite, se non fosse che ad un tratto si era avvicinata una ragazza: bassa, capelli lisci, castani, sembrava un po' impaurita, non so se dalla situazione o dal temporale. “Ti serve un ombrello?” La sua voce era gentile, ma lei sembrava impaurita, come se un coniglio si fosse alzato in piedi e avesse porto una zampa all'uomo col fucile davanti a lui. “Certo, credo che il tempo tenda a peggiorare” Lei non rispose. Cercavo di essere gentile e di ricordarmi chi fosse. Passammo il resto del tempo in silenzio. Io pensai a quanto fosse incredibilmente stupido tutto questo e nel frattempo gettavo occhiate incuriosite verso la timida ragazza che mi stava a fianco: cercava di sembrare a suo agio, nonostante fosse palese l'agitazione. Per cosa agitarsi? Forse era una parente? Una nipote? La messa era finita, sarei potuto finalmente tornare a casa, per concludere la giornata nel migliore dei modi: tanto alcol e una dormita. “Tu sei Francesco vero?” Mi sembrava abbastanza sicura da poter evitare la domanda. “Ehm, sì. Sì, sono io...” “Non ti ricordi di me, vero?” Non riusciva a tenere la testa alta mentre lo diceva, si fissava le scarpe nere, lucide. E no, non mi ricordavo. “A volte ho la memoria che non funziona benissimo” “Roberta... Andavamo a scuola insieme” A scuola? Quindi alle elementari. Una vita fa, praticamente. Roberta, sì, forse? La ragazza con cui non ho mai parlato per cinque anni perché lei era troppo timida e io troppo emarginato? Forse cominciavo a ricordare. “Non abbiamo mai parlato molto, giusto?” “Non abbiamo mai parlato, direi” Aveva distolto lo sguardo, tornando a fissare le scarpe. Era calato il silenzio, cosa che a me personalmente non disturbava, ma a lei? Quasi paradossalmente sarebbe stato il caso di chiederlo. “Ti disturba il silenzio?” “No, in genere no” Interessante, ma non ci credevo molto. Una manciata di secondi più tardi, “È un peccato che sia morta, non trovi?” Ma non le piaceva il silenzio? “Sì, anche se non la vedevo da anni. Mi ero ripromesso che un giorno sarei tornato a trovarla, invece non l'ho più fatto” “Come mai?” “Sono pigro” “E basta?” Mi fermai a riflettere. “No. Ma non credo di volerlo ammettere” Il vialetto che portava al parcheggio stava finendo. “Hai la macchina qui immagino” “Sì, ti serve un passaggio?” “Oh, no... Ho un – io abito qui vicino” “Come vuoi. Grazie per l'ombrello” “Figurati. Allora, ehm, ci vediamo, ciao” Era stata rapidissima, uno scoiattolo sarebbe stato più lento. Durante il tragitto in macchina mi era venuta fame e avevo incrociato uno di quei grossi cartelloni pubblicitari, riportava: “McDonut's, le migliori ciambelle del Paese. Tra 200m” e sotto una grossa freccia che indicava la direzione. Una, ma cosa, due belle ciambelle, perché no? In fondo mangiare è una delle poche cose che mi rende felice. Mentre parcheggiavo ripensavo a Roberta: come mai si era avvicinata? Come mai tutto d'un tratto voleva parlare con me? Sono solo da troppo tempo, sto diventando paranoico? Una ragazza non può cambiare con gli anni? Ma lei non sembrava cambiata, sembrava sempre la stessa timida ragazza dalla pronuncia strana. Il cassiere mi stava guardando in maniera strana, probabilmente mi ero scordato di fare qualcosa. “Vuole ordinare, signore?” “Oh, ehm, sì, prendo due ciambelle, una al cioccolato e l'altra con la crema, ricoperta di glassa” Il posto era semi vuoto. Sfido io, chi deve esserci ad Agosto in un posto desolato e triste come questo? La pioggia, poi, rendeva tutto più cupo e malinconico. Credo di aver sempre amato la malinconia. L'essere triste in generale mi portava un senso di soddisfazione. Paradossale come la tristezza possa farti provare un sentimento quasi opposto. O forse, in questo momento, mi sentivo bene per via delle ciambelle. Avevo deciso, inoltre, che non ci sarebbe stato nulla di meglio che accompagnarle con del tè caldo. Erano passate svariate decine di minuti e la pioggia non smetteva di scrosciare sul marciapiede. Tanto valeva andare a godersi la pioggia a casa. La giornata tendeva al termine, i lampioni illuminavano la pioggia che cadeva inesorabile, mentre io mi infilavo nell'ennesima coda di macchine e guardavo la scatola di sigarette sul sedile passeggeri. Non fumavo, non ho mai fumato, non regolarmente almeno. Quel pacchetto era lì per ricordarmi che avevo un conto in sospeso con un'amica. Ma non era ancora il momento di saldare quel conto. In compenso ora dovevo cercare di arrivare a casa il prima possibile, tutto quello stare in giro mi aveva dato la nausea. Incrocio dopo incrocio, ero finalmente a casa. Un tempo avevo progettato il mio meraviglioso appartamento da uomo single, con un lavoro e tutto il resto. Avrei dovuto sapere già al tempo che le cose non vanno mai come le progetti. Non nei minimi particolari, almeno. Mi aspettavo un lavoro non grandioso, ma neanche pessimo. Non ci sono andato lontano. La casa era, ovviamente, come l'avevo lasciata: buia, fredda e silenziosa. L'unico rumore che si sentiva era il fievole sibilare degli elettrodomestici e delle ventole del computer. La sala era illuminata dalle varie luci di tutti gli aggeggi sparsi in giro: tv, computer, stereo, telefono. In genere, non amando la luce, mi accontento dei led per poter vedere dove cammino. Quel giorno non sarebbe stato da meno, avevo lasciato tutto sul divano e me ne ero andato in bagno. Trovo particolarmente rilassante lavarmi la faccia, guardarmi allo specchio, per vedere le gocce d'acqua scendere pian piano sul viso, arrivare alla barba e fermarsi e restare, poi, qualche minuto a fissare l'immagine di me incorniciata dai prodotti per la pulizia, lo spazzolino e le lampadine dello specchio. A volte pensavo a cose successe in passato, a volte a fatti recenti, quella volta pensavo di nuovo a Roberta. Cosa mi aspettavo? Una telefonata? Un messaggio? Qualcosa, sicuramente. Nessuna chiamata o messaggio, nessuna richiesta di amicizia nei vari social network, neanche un'email. Era veramente finito tutto oggi, dopo il funerale? Aveva detto “ci vediamo”, era tanto per dire? Ma perché mi stavo facendo quelle domande? Era da molto che una ragazza non mi faceva quell'effetto. Avevo deciso che era tempo di aprire il frigo e tirare fuori la prima birra della serata, andare sul divano e perdere la cognizione del tempo, finché la fame non si sarebbe fatta sentire ancora, verso mezzanotte. Allora avrei tirato fuori altro dal frigo, insieme all'ennesima birra. Poi, come sempre, mi sarei addormentato sul divano. Invece non avevo fatto in tempo a chiudere lo sportello del frigo che il telefono stava squillando.

Capitolo successivo: Come sempre è la festa, di chi è

Originally wrote in 2015-09-07T21:35:00.002+02:00