Necessità

Capitolo precedente: Porte che si chiudono

Il cinema era deserto, come previsto. La ragazza alla cassa masticava la gomma tenendo la bocca aperta, producendo il rumore tipico di chi deve esternare il fatto che stia ingerendo una buona dose di zuccheri e coloranti. “Hai la carta?” “No” “Sono otto euro e cinquanta” La sala era altrettanto vuota, di conseguenza il posto segnato sul biglietto non aveva più una particolare importanza. La pubblicità scorreva prima dell'inizio del film e una ragazza era entrata e si era fermata ad osservare le poltrone vuote. Salita al livello della mia fila, si era avvicinata a me. “Sei al mio posto” “Prendine un altro, sono tutti vuoti” “A me piace questo, l'ho scelto appositamente” Giovane, né bassa, né alta, riccia, viso rotondo e piccolo che faceva sembrare gli occhi più grandi e marroni del normale, labbra carnose, apparecchio. Mi fissava intensamente. Alla fine mi ero alzato, in silenzio, ed ero andato allo stesso esatto posto, ma una fila più avanti. Una canzone totalmente inappropriata accompagnava la pubblicità di una catena di ottici e la ragazza era spuntata dalla fila dietro sporgendosi sul sedile alla mia destra. “Come mai proprio questo film?” L'effetto sorpresa e la leggera incredulità non mi avevano fatto rispondere immediatamente. “Perché non lo vedo da molto tempo” ed ero tornato a guardare la pubblicità delle piccole imprese locali. “Pensavo che sarei stata da sola in sala” “Anche io. Evidentemente...” “Ti do fastidio?” Evidentemente i miei piani di starmene tranquillo erano sfumati. “Solo se parli durante il film” “Sai che è il mio regista preferito?” “No, non lo so, perché non so neanche come ti chiami” “Indovina” “Cosa? Il tuo nome?” “Sì” “Non ha senso, perché non me lo dici e basta?” “Non sarebbe divertente” “Non deve esserlo. A dire il vero non te l'ho neanche chiesto” “Sì che lo hai fatto” “Ti ho detto che non so come ti chiami per farti capire che no, non posso sapere chi sia il tuo regista preferito se non so neanche una cosa basilare come il nome” “Dai, dicono sia un nome da borghese” “Non mi interessa” “E dai!” I soldi del biglietto erano l'unica cosa a trattenermi al cinema. “Carmela” “No, ma che nome è?” “Un nome” “Un nome da borghese” “Elisabetta” “No” “Senti mi sono stufato, se vuoi dirmelo fallo e basta” “Sei noioso. Mi chiamo Ludovica” Capirai. “Francesco, ciao” Nel frattempo le luci si erano spente e i trailer erano cominciati. Poi era cominciato anche il film e poi era arrivato l'intervallo. “Francesco” Sigh. “Cosa?” “Vuoi andare a bere dopo il film?” “Non ci conosciamo” “Appunto, per conoscerci” Perché mi hai abbandonato, solitudine? D'altra parte, però, che avevo da perdere? “Va bene, ma domani lavoro e non mi va di fare tardi” “Shh che ricomincia” Odiosa e insopportabile. Proprio il tipo che mi scelgo di solito. Più si avvicinava la fine del film, più l'ansia cresceva. L'ansia per qualcosa di sconosciuto. Che voleva da me? I titoli di coda scorrevano e io mi stavo già alzando. “Che fai, non li guardi?” “Li conosco” “Aspettami al parcheggio” Pure. Aveva piovuto, le scale antincendio luccicavano alla luce dei lampioni e sentivo entrare l'umidità ad ogni respiro. “Mi hai aspettata!” “Non dico cazzate” “Quindi andiamo a bere qualcosa?” “E andiamo un po'...” “Guidi tu?” “Scherzi?” “Certo, mica vado in macchina con gli sconosciuti. Stammi dietro, ti porto in un posto carino” Era effettivamente un posto carino, con musica live e tanti tavolini sparsi qua e la. “Allora, Francesco, cos'è che ti ha spinto ad andare al cinema stasera?” “Sei diventata una psicologa adesso?” “Chi ti dice che non lo sia?” “Lo sei?” “Lo sono?” Cosa ci faccio qui? “Non lo so. Lo sei?” Mi ero ritrovato a fissarla negli occhi, un po' adirato. “Che scorbutico, non si può neanche scherzare un po'. No, non lo sono” “E cosa fai, allora? Oltre ad invitare gli sconosciuti a bere” “Studio cinema” Ma non mi dire “Ma non mi dire” “E tu? Cosa fai?” “Sono un programmatore” “Ah che bello! Devi essere molto intelligente per fare questo lavoro!” “Non hai idea di quanto questo sia falso” “Davvero?” “Oh, sì” “Mi sembri comunque una persona intelligente” “Beh, grazie” Ed ecco che se ne andava il primo boccale di birra. “E io come ti sembro?” In cerca di attenzioni e molto sola “Mi sembri carina” Sorridendo, mi aveva preso la mano. Non stavo spostando la mia. Perché? Perché non succedeva da tempo e anche se sapevo che non portava nulla di buono, perché era solo una ragazzina in cerca di attenzioni, mi piaceva quel momento. Dopo qualche secondo avevamo ritirato entrambi la mano dopo che la cameriera era venuta a ritirare il mio bicchiere vuoto e a chiedere se volessi altro. La birra era arriva mentre Ludovica mi stava raccontando di quanto le sarebbe piaciuto andare a vivere a Parigi e andare ogni giorno nei cafè a scrivere. Che sogno originale. Ma non me ne importava, sapevo che le avrei dato le attenzioni che voleva finché mi avrebbe fatto comodo, dopodiché fine, nulla. “Dimmi, Francesco, sei impegnato?” “Con il lavoro dici?” Io avevo capito benissimo e lei pure, ma rideva. “Ma no, intendo se hai una ragazza” “Secondo te se avessi una ragazza accetterei l'invito di un'altra?” “Beh io un ragazzo ce l'ho, eppure eccomi qui” Chiunque avesse incontrato questo tipo di ragazze per la prima volta ci sarebbe cascato, ma non è il mio primo rodeo. “Ah sì? Non è geloso?” “Perché dovrebbe? Sa che non lo tradirei mai” “Io sarei geloso lo stesso” “Perché sei un bravo ragazzo” Fino a quando sarebbe andata avanti? “Francesco, ti piace Twin Peaks?” “Lo adoro” “Ti andrebbe di guardarlo assieme, stasera?” “Intendi ora?” “Esatto” Perché no? Cos'avevo da perdere? “Certo, mi farebbe piacere” E così, l'avevo seguita fino a casa sua. Aveva un appartamento piccolo, da studente, ma in ordine. La sala era anche la cucina, dopo di quella c'era da una parte la stanza da letto e dall'altra il bagno. Pochi mobili, sulle pareti i poster di film erano incorniciati e la tv stava appoggiata sopra una cassa di legno chiusa con un lucchetto. “Fammi indovinare, adori Pulp Fiction” “Tu no?” “Diciamo che non è tra i miei preferiti” “Quindi non ti andrebbe di guardarlo?” “Pensavo fossimo qui per Twin Peaks” “Era un test, per vedere se stavi attento” Che originalità. Mi aveva di nuovo preso la mano, mi aveva fatto sedere sul divano di fronte alla televisione e poi si era girata per andare ad inserire il dvd nel lettore. Indossava delle calze scure e delle mutandine bianche di pizzo. Lo so perché si era chinata esattamente davanti a me, mostrandomi ciò che si nascondeva sotto una minigonna di jeans scura. Si era girata, ma io non avevo distolto lo sguardo. Era rimasta a fissarmi per un attimo, poi aveva spento tutte le lampade tranne una che lasciava una calda luce fievole e si era avvicinata al divano. “Dai fammi spazio” Stavo guardando Twin Peaks a casa di una sconosciuta. C'era un che di ironico in tutto questo. Mentre Badalamenti stava suonando le ultime note della sigla, lei si era tolta le scarpe e aveva poggiato i piedi sul divano, appoggiando le spalle sul bracciolo. Piano piano aveva fatto scivolare i piedi fino alla mia gamba, infilandoli sotto, mentre io facevo finta di non accorgermi. Nessuno dei due stava realmente seguendo cosa stesse accadendo nella tranquilla cittadina di Twin Peaks, il divano era molto più interessante. Senza offesa, Lynch. Mi era per sbaglio scivolata la mano destra su una delle sue caviglie che spuntavano da sotto la mia gamba e lei non aveva fatto una mossa. Ora la mano era scivolata più su, sempre per sbaglio, fino al polpaccio. Poi aveva superato il ginocchio, fino ad arrivare all'interno coscia. Stava ancora fissando lo schermo. Molto lentamente stavo spostano la mano verso l'interno, arrivando fino alle mutande. Il dito medio stava facendo su e giù e Ludovica aveva divaricato un po' le gambe. Sentivo il cuore battere forte e la testa farsi pesante, non ragionavo più. Il ricordo confuso di calze strappate, indumenti volavano in ogni direzione mentre ci scambiavamo baci, a volte lunghi e appassionati, a volte brevi e sfuggenti. Ora se ne stava nuda alla finestra, a fumare una sigaretta. “Sicuro che non ne vuoi una?” “Sì, sono sicuro, grazie” “Va bene... Sono le nove, se vuoi ordiniamo una pizza per cena” “Penso che andrò a casa a cenare” Si era bloccata, guardandomi mentre la sigaretta si fumava da sola fuori dalla finestra, un piede sopra l'altro. “Ma come? Neanche se te la offro?” Non è una cosa che può funzionare questa, né per me, tantomeno per te. “No, mi spiace, ho... Delle cose da fare” Continuava a fissarmi con sguardo perso. Alla fine si era girata verso la finestra, fumando l'ultimo centimetro di sigaretta. Mi ero rivestito e uscito da casa sua, avviandomi verso la macchina. Il cellulare aveva vibrato, era un messaggio, diceva: “Fra', sono Maria... Sono in città per qualche giorno e mi chiedevo se ti andasse di prendere un caffè insieme”.

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Originally wrote in 2017-05-31T01:02:00.001+02:00