salagiochi

Storie dai tempi delle sale giochi, prima che la mia memoria vada in frantumi

Perché in sala giochi si discuteva anche di musica


Non era un luogo consacrato al solo sperpero dei gettoni, agli scontri fratricidi a biliardino, alla rottura di antiche amicizie per l'applicazione piuttosto arbitraria delle regole dell'otto nero. Nelle sale giochi, qualcuno ascoltava anche musica.

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Testa di limone era il nipote di un gestore di una sala avversaria a quella che frequentavamo solitamente: non che non trascorressimo ore e ore in altre sale, ma ne avevamo una nostra, quella del cuore. Avversaria, forse, un termine azzardato: i rapporti erano di sana rivalità, ecco, sulla qualità dei giochi e sul numero di gettoni corrispondenti alle classiche mille lire; sulla guerra dei gettoni, ritornerò.

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Della mia colossale cantonata presa su Street Fighter 2 ne ho parlato qui. Da una cantonata personale, passiamo alle cantonate corali prese nel corso, principalmente, degli anni Novanta: quei malintesi, più o meno colossali, sui nomi di mosse, personaggi e tutto il resto.

Dico anni Novanta sostanzialmente per l'introduzione del “sonoro” negli arcade, per essere più precisi i campionamenti vocali, principalmente nei picchiaduro: quei mondi alternativi, proprio come gli anime, dove la gente sente il bisogno di anticipare vocalmente le proprie mosse. L'audio in questione era quel che era: lo spazio a disposizione era ancora poco, pochissimo, non lo si poteva sprecare in vocalizzi cristallini. Sulla qualità dei cassoni pure, spesso, non ci si poteva fare affidamento: casse bucate o spompate, collegate fisicamente con saldature traballanti; poi, c'era la questione culturale.

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Altre sale, altro gestore: Don Ferdinando


Remualdo è stato il primo gestore della mia vita, ne ho parlato qua; tra quelli che conobbi successivamente, non in ordine cronologico, incontriamo Don Ferdinando. Non lasciatevi ingannare dal don: non era un nobiluomo spagnolo, un hidalgo: era un essere parzialmente abietto. Era don giusto perché molto più anziano di noi.

Dicevo, parzialmente abietto, 50 e 50: implacabile nella gestione dei cassoni, alla mano in tutte le altre discussioni. Penso sia morto anche lui e finito nello stesso girone di Remualdo, chissà; in ogni caso, lo ricordo con disprezzo per un episodio in particolare.

Era solito ingannare il tempo alla cassa leggendo giornaletti, oggi li chiamano graphic novel. Tra questi giornaletti, titoli della caratura di “Lando”, “Il montatore” e così via. Penso si sia intuito il genere, le alternative erano i classici western. Un pomeriggio, però, Don Ferdinando non è alle prese nè con improbabili idraulici, nè con sceriffi e indiani: quel pomeriggio, Don Ferdinando non ha altro da fare che sabotarci.

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Wonder Boy, Remualdo e le 3.000 lire


La mia vita in sala giochi, come anticipato in questo post, inizia alla destra di un bar all'ingresso di una pineta. C'è questo locale buio, come ogni buona sala giochi che si rispetti: le uniche fonti di luce, una vetrata semicircolare alle spalle e l'ingresso ombreggiato da poderosi pini.

La sala giochi di Remualdo, tuttavia, merita un post tutto suo: ne introdurrò giusto lo spregevole gestore. Remualdo non è mai invecchiato, non l'abbiamo mai visto cambiare di una virgola nel corso dei lustri: è nato vecchio ed è morto, a un certo punto. Sappiamo che è morto perché non l'abbiamo più visto andare in giro col suo Ciao rosso. Aveva un mignolo con una falange mozzata.

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Non piacerà a nessuno, poi con quei sei pulsanti...


Dissì di Street Fighter 2: la più colossale, sesquipedale, incommensurabile baggianata nella mia carriera di videogiocatore.

È un primo pomeriggio ancora molto luminoso, ma la luce quasi non riesce a penetrare quella piccola sala giochi, ostacolata da un groviglio di corpi. Sono con un paio di amici, non abbiamo ancora idea veramente della folla che ci aspetta, ma da fuori qualcosa si intuisce, l'aria è elettrica; dentro deve esserci un nuovo cassone: non qualcosa di nuovo e basta, qualcosa di straordinario.

Non pensavamo fosse possibile stipare tanta gente in quei pochi metri quadrati, quel groviglio di corpi è composto da strati sovrapposti di persone. È una variante del Tetris dove i tetramini si incastrano e non scompaiono, non c'è verso di scoprire cosa ci sia sotto se non aprendosi un varco iniziale a spallate e poi cercando di diventare più sottili e viscidi possibile. Diventare anguille. Disponiamo di sei occhi complessivamente, uno di questi riesce a guadagnarsi uno sguardo fugace su quello che c'era a monitor.

Era lo stage, da oggi in poi quadro in questo blog, di Ken. Non sappiamo ancora che quel tizio in kimono rosso si chiami Ken. Chi sia, cosa voglia. Cosa voglia, probabilmente, non l'ho ancora capito. Certo, ricongiungersi con la moglie, ma altro non so. Scatta l'imprinting, Ken diventa il mio personaggio preferito, quello che scelgo più spesso, quello che continuo a usare pur dopo aver terminato il gioco con tutti i personaggi disponibili; questo, tuttavia, verrà dopo.

Oltre al quadro di Ken, lo sguardo indugia per un istante anche sui sei pulsanti: avevo visto il primo Street Fighter qualche anno prima, in un bar, a una sagra della birra, ma l'avevo presto dimenticato. Cosa che avrebbe fatto chiunque, se non fosse esistito Street Fighter 2.

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Il primo incontro con la sala giochi


Questo dovrebbe essere un contenitore di tutti i ricordi, quelli che ancora sopravvivono al tempo e alla memoria, legati all'irripetibile magia delle sale giochi. Trovo logico iniziare col mio primo contatto coi cabinati, da ora in poi in questo blog “cassoni”. Così si chiamavano, dalle mie parti.

Siamo agli inizi degli anni Ottanta, l'estate ha scalzato la primavera e il sole non vuol saperne di tramontare. Mia sorella ha pochi mesi, mio padre spinge il carrozzino. Un po' mi ci aggrappo, un po' mio padre mi tiene la mano, un po' vado da solo, le macchine in giro erano ancora poche in quella zona. La zona della pineta comunale, piena di alberi, circondati a gruppi da basse recinzioni metalliche. Quelle recinzioni ora si sono trasformate in cemento e degli alberi quasi non c'è più ombra, in tutti i sensi: abbattuti senza pietà dopo alcune giornate di vento intenso, per evitare rami spezzati e cadute.

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