Futuro anteriore: cosa sarà stato dopo i social?
Qualche giorno fa ho scritto alcune riflessioni – se vogliamo, piuttosto comuni e veloci – su cosa sono stati i social negli ultimi quindici anni (più o meno), come si sono evoluti da strumento di comunicazione e interazione one-to-one a veri e propri media one-to-many, in un corso della storia in generale, per miliardi di persone, è andato in una direzione ben precisa, pur avendo creato tanti distinguo e tanti rivoli laterali che hanno preso direzioni diverse (penso a #Mastodon e al #Fediverse).
Questo corso storico è stato determinato essenzialmente dalla necessità di fare profitto di queste aziende (cosa che, all'interno di certi limiti, non reputo scandalosa né criminale) e dal fatto che questo profitto dovesse essere garantito partendo da una gratuità di base del servizio (in modo da guadagnare la base utenti più alta possibile). In breve, il modello di business che si è imposto è stato quello basato sull'advertising, ma era un modello che aveva numerosi limiti. Limiti che, in larga misura, possiamo vedere esposti in questi ultimi mesi, nei quali molti player stanno rivedendo i loro piani (su tutti, Meta e Twitter), rendendo palese che il detto modello sembra scricchiolare.
Cosa ci sarà stato dopo l'advertising?
Per capire cosa sarà venuto dopo i social, è essenziale concentrarsi sul modello di business, perché senza un'alternativa sostenibile a questo modello di business, un'alternativa realistica si può immaginare difficilmente.
Questo non vuol dire che, senza un'alternativa alla pubblicità come fonte di sostentamento, i social scompariranno, ovviamente, ma che rischiano di vedere seriamente depotenziato il loro peso culturale e la loro egemonia nello spazio mediatico: avere meno entrate vuol dire avere meno soldi per fare investimenti su nuove funzionalità (che sono quelle che tengono gli utenti “attivi” o ne attirano di nuovi) e, contemporaneamente, avere meno persone dedicate a gestire il lavoro quotidiano (moderazione di contenuti, manutenzione del codice, etc.).
Un breve sguardo al disastro creato da Elon Musk in poche settimane con Twitter dovrebbe darci un'idea di cosa vuol dire avere meno investimenti su un social, peraltro relativamente piccolo rispetto a quelli gestiti da Meta (Facebook, Instagram, Whatsapp).
In una fase di enorme incertezza economica come quella che sta vivendo il mondo alla fine del 2022, con scenari potenzialmente ancora più foschi, è difficile dire da che parte ci si girerà per far quadrare i bilanci: come spesso accade, e come è già accaduto alla fine della crisi del 2008, cioè quando si è affermato questo modello qui, i grandi player si muoveranno tutti in ordine sparso, finché non emergerà un modello dominante, ma sostanzialmente – almeno all'inizio – tutti cercheranno di diversificare, non dipendendo da un unico modo di fare soldi – cosa che era stupida già oggi, ma vabbè, i soldi che arrivavano erano veramente tanti.
Per quello che possiamo vedere da qui, è possibile che ci si orienti su cinque direttrici:
- Piattaforme freemium: come sta già avvenendo per Twitter, è possibile che i provider comincino a chiedere pagamenti ricorrenti per funzioni avanzate o esclusive. Quanto avvenuto su Twitter, ovviamente, è stato gestito in maniera piuttosto confusa, ma non è escluso che Meta decida a un certo punto di aumentare la visibilità dei contenuti per gli utenti che vogliano sottoscrivere un piano di abbonamento che includa un sistema di verifica. In sostanza, l'idea non è sbagliata in sé, ma certamente Musk l'ha pensata, implementata e comunicata in modo piuttosto scriteriato. Il limite di questo approccio è sempre sul quanti utenti dovrebbere pagare (e quanto dovrebbero pagare) perché il sistema sia profittevole, considerando che il mantenimento di un'utenza costa certamente più di 8 dollari al mese.
- Servizi in abbonamento: accanto alla possibilità di pagare un abbonamento per avere un account freemium, c'è la possibilità di sviluppare servizi specifici in abbonamento, separati rispetto al social in sé, che rappresentino un business collaterale a quello del social in sé per sé. È un po' quello che fa Amazon con Amazon Prime Gaming: sottoscrivendo un abbonamento mensile, ricevi alcuni videogame gratuitamente ogni mese, da un catalogo anche piuttosto vasto, e in questo modo sostieni il business di Twitch (la piattaforma per streaming di contenuti di Bezos).
- Microtransazioni: un'ulteriore possibilità è quella di offrire prodotti digitali di personalizzazione o di scambio all'interno delle piattaforme stesse. Si tratta di un modello molto usato nei videogame di grande successo (come Fortnite o nei giochi sportivi come NBA2K ) che consente di mantenere il servizio di base gratuito, spingendo i consumi di beni digitali (set di emoticon, skin per i propri profili, etc.).
- Servizi su commissione: è possibile anche che i provider si concentrino nell'ottenere parte del guadagno dei prodotti che aiutano a vendere, o attraverso il proprio advertising o attraverso i servizi di shop integrati. Pensiamo al marketplace di Facebook: anziché un servizio di base gratuito, potrei decidere di cedere il 20% del mio guadagno perché Facebook faccia di tutto per trovarmi un acquirente, gestendo in questo modo la transazione. Se questa cosa lato utente ha presentato storicamente molti problemi e alcuni test in questo senso sono andati piuttosto male, non è detto che questo sistema non possa estendersi a un vero a proprio sistema di affiliation basato sull'advertising online, dove Facebook pubblicizza prodotti di un ecommerce, trattenendo una percentuale su tutti gli acquisti.
- Partnership: un'ultima direttrice possibile è rappresentata dalla possibilità per i grandi player di collaborare con altre aziende per proporre esperienze d'uso dei propri sistemi che siano esclusive per i loro clienti (o per i loro programmi fedeltà) o che generino contenuti sponsorizzati disponibili a tutta l'utenza. Per una settimana, vi potrà capitare, anziché di fare “Like” alle foto di zia Concetta su Instagram, di “reagire” con la vostra scarpa Adidas preferita.
Dai Walled garden alle Wallet trap?
Al netto di quale sarà la soluzione dominante a uscire vincente da questo periodo di interregno, va detto che a vario titolo quasi tutte le piattaforme hanno già implementato una parte o tutte queste alternative, anche senza dare particolare rilevanza a nessuna di esse – specie per non renderle invasive e invise all'utenza, il che non è mai facile, specie in ambienti così frequentati.
Va aggiunto, inoltre, che ci vorrebbe un ripensamento profondo delle meccaniche, delle procedure interne e delle interfacce delle piattaforme perché questi stream (uno solo o tutti insieme) sostituiscano l'enorme quantità di danaro che oggi arriva con l'advertising, ma anche solo per colmare le perdite che stanno subendo oggi stesso.
Rimane la domanda sul perché un'azienda o un content creator debba investire denaro per ottenere più visibilità su uno spazio che sta comunque perdendo utenza, o nel quale comunque gli utenti stanno perdendo interesse. Spazio nel quale, tra l'altro, soprattutto i brand hanno già investito milioni di dollari in advertising fino a ieri, oltre che tempo ed energie per produrre contenuti e generare engagement.
Infine, i social network per come sono oggi – prendendo a modello i principali, cioè Facebook, Instagram, TikTok e Twitter – sono strutturalmente pensati per essere piattaforme nelle quali l'interazione tra normali utenti ha ancora (malgrado le importanti trasformazioni descritte nello scorso articolo) un focus importante: rendere questi spazi ancora più saturi di contenuti professionali o di marketing rischierebbe seriamente di azzerare l'interesse degli utenti.
Cosa succederà? Ovviamente nessuno ha la sfera di cristallo o un Multivac a portata di mano, ma è probabile che molto di quanto avverrà, stia in realtà già avvenendo tra le generazioni più giovani, in particolare la generazione alfa, con il graduale spostamento dalle piattaforme di social networking alle app di intrattenimento definitivamente one-to-many, che lasciano l'interazione tra utenti come aspetto funzionale ma non principale. Ma di questo cercheremo di parlare in un prossimo pezzo, sempre guardando al futuro di spalle.