Futuro anteriore: cosa saranno stati i #social
Mi è sempre piaciuto il futuro anteriore, come tempo verbale. E non solo perché una celebre rivista si chiamò così, tanto tanto tempo fa. Il futuro anteriore mi è sempre piaciuto perché in qualche modo guarda alle cose come dovrebbero essere viste adesso per essere in futuro, ma allo stesso tempo può comunicare un'incertezza, un'ipotesi su come le cose potrebbero essere andate.
Citando biecamente, da Wikipedia:
è una forma verbale che indica eventi, esperienze e fatti considerati come compiuti, ma che si trovano nell'ambito dell'avvenire (domani a quest'ora Marina sarà già andata via) oppure in quello dell'incertezza (Marina non c'è, sarà andata al cinema).
Pensare al futuro anteriore è quindi quasi sempre un esercizio prospettico tra ciò che c'è e ciò che ci potrebbe essere. Quasi sempre può rivelarsi un esercizio interessante.
E quindi, cosa saranno stati i Social, in un doppio senso, cioè nell'ipotesi di un futuro (o più di uno) di altro tipo oppure nell'ipotesi di ciò che è stato già?
Saranno stati i social a distruggere lo spazio pubblico?
È curioso che siano delle reti definite sociali ad aver contribuito ad alterare e spesso a distruggere l'elemento che sta alla base delle società contemporanee, ovvero lo spazio pubblico. Questo è avvenuto per motivi e con modalità diverse, ma in generale è derivato da alcune caratteristiche comuni di tutte le grandi piattaforme:
- si tratta, a tutti gli effetti, di piattaforme private, nelle quali è sempre stato molto semplice parlare ai propri “amici” e “follower”, il che ha consentito (e spesso spinto) gli utenti a creare delle echo chamber che hanno rafforzato le proprie idee, privilegiando quelle meno compatibili con una conversazione civile
- d'altra parte, la spinta verso il profitto pubblicitario ha reso conveniente esacerbare alcuni comportamenti e interessi negli utenti, sommando all'aspetto tecnico (le piattaforme sono strutturate per bolle progressive), quello dei contenuti “suggeriti”
- i primi due punti si sono saldati, poi, con la necessità di mantenere alta la retention degli utenti, cioè il fatto che questi continuassero a usare sempre le loro app, proponendogli contenuti sempre nuovi e sempre più “interessanti”
- la spinta enorme sulla mancanza di frizione (e dunque di conoscenza) nei processi di onboarding di persone nuove ha dato l'impressione che non fosse necessario apprendere alcunché, creando una sorta di continuità psicologica tra il proprio ambiente privato/intimo e la rete
Di fatto, oggi lo scopo per il quale si usano social come Facebook, Twitter, Instagram o TikTok non è più quello originario, o almeno non è più quello che ha spinto un'intera generazione, a fine anni 2000, a entrare in questo mondo.
L'idea originale era di connettersi e interagire con cerchie di persone, più o meno conosciute, in uno spazio online condiviso: il caso d'uso più diffuso, a cavallo tra anni zero e anni dieci, era quello di rintracciare vecchi amici o mantenersi in contatto con persone lontane, magari incontrate una sola volta: quello che è riuscito a farlo meglio, in quel periodo, è stato Facebook, ovviamente, che è diventato in un certo momento una rappresentazione 1:1 della società.
Per la sua architettura e per quello che era all'epoca, il social ha favorito il proliferare delle echo chambers e ha contribuito ad aumentare una percezione di finta privacy: questa sensazione ha favorito negli utenti la percezione che tutto il web fosse una sorta di spazio privato esteso, cancellando o ottundendo la sensazione di essere in uno spazio pubblico. Ovviamente questo era anche favorito dalla pervasività della connessione internet (sono gli stessi anni in cui cominciano a diffondersi gli smartphone) e a una generale sensazione di anonimato, da sempre uno delle principali caratteristiche della comunicazione online.
In breve, per un periodo piuttosto lungo, ben lungi dal rappresentare un altro luogo della realtà, i social hanno cominciato a rappresentare un layer sopra la realtà materiale nel quale succedevano cose, una vera e propria realtà aumentata che ha però eroso lo spazio pubblico. Il punto è che lo spazio pubblico, essendo fatto di discorsi e significanti, è sempre uno spazio virtuale, pertanto se i discorsi e i significanti egemonici si spostano sui social, e i social diventano spazi privati, alla lunga è la società intera che ne risente.
E quindi, hanno stati i social?
Difficile rispondere in maniera netta su quale sia stata la responsabilità dei social network nel processo a cui stiamo assistendo tutt'ora. Nei fatti, molte analisi finora si sono concentrate nel leggere il dato psicologico e sociologico del fenomeno, proponendo volta per volta cause diverse o identificando colpevoli specifici (es. “gli algoritmi”). In realtà, ciò che credo sia mancata è un'analisi organologica: interpretare, cioè, gli strumenti tecnici (e, in questo caso, i social) come se fossero organi esterni al nostro corpo ma che svolgono per noi una funzione di ampliamento di specifiche facoltà: non soltanto un binocolo estende la nostra vista, o un computer estende la nostra capacità di calcolo, ma sono dei veri e propri organi, che funzionano in un dato modo e interagiscono con il resto del nostro corpo, spesso modificandolo – più o meno come i polmoni influenzano il cuore o l'intestino influenza il fegato. Bernard Stiegler ha dedicato a questo concetto un'ampia trattazione nel corso della sua opera, che sarebbe forse venuto il momento di riscoprire, per adattarla allo studio delle piattaforme digitali.
Conducendo un'analisi organologica, infatti, sarebbe facile notare come i social network si siano costituiti come una propaggine della nostra interazione privata con i gruppi umani, contribuendo a estendere oltre ogni limite precedente la nostra sfera privata. L'assenza di una reale moderazione dei contenuti o di regole condivise e di etichetta stringenti (che erano invece presenti in altre esperienze online precedenti) oltre che l'enorme facilità di accesso garantita dalle nuove piattaforme, ha contribuito a rendere questi nuovi organi di comunicazione sempre più rilevanti, al punto da risultare in una vera e propria interfaccia obbligata, attraverso la quale si esperiva la realtà.
Tutto ciò sta progressivamente morendo e cambiando, non tanto perché i social non esistano più, ma perché stanno perdendo la loro centralità, in favore di piattaforme che rendono quasi del tutto superfluo il concetto di relazione (come TikTok) oppure nelle quali le attività primarie non sono quelle dello scambio di contenuti delle proprie vite private (come i videogame e, per certi versi, le esperienze di metaverso, ma di certo non il Metaverse di Zuckerberg). Di questo, però è il caso di parlare in un altro post, che comparirà più avanti.
Cosa succederà in futuro? I fili e le tendenze del tempo a venire sono qui, toccherà seguirli per fare ipotesi e provare a ragionare retrospettivamente su ciò che potrebbe essere stato. Di nuovo, al futuro anteriore. Ma ne riparleremo a breve.