Qualche riflessione sui dispositivi digitali
in un tentativo di “buoni propositi per il nuovo anno”, ho deciso di pubblicare a puntate una cosa che avevo scritto qualche anno fa sui dispositivi digitali: per “dispositivo” non intendo necessariamente un pezzo di hardware, ma un “concatenamento” di hardware e software che in qualche modo ci “porta a fare cose” in maniera performativa. Ci apre delle porte, ci porta da alcune parti, ce ne chiude altre, anche nella misura in cui noi il dispositivo non lo possediamo mai interamente. Questa è la prima parte.
(1.0) I dispositivi digitali sono il tentativo di produrre un soggetto politico di nuova natura: la postmodernità ci consegna una forma di relazione del potere che non è più quella del suddito né del cittadino, ma quella dell’utente. Ci sono notevoli differenze tra queste tre figure, ma è importante notare che non si tratta di momenti successivi e contrapposti, di figure che scompaiono nel tempo e si sostituiscono l’una all’altra: il cittadino non sostituisce il suddito e l’utente non soppianta il cittadino, ma si integrano reciprocamente. Più che succedersi cronologicamente, evolvono e si palesano divenendo in maniera progressiva la forma prevalente di assoggettamento, instaurando un certo rapporto con il potere e con la vita. Cercando di semplificare, possiamo dire che il suddito è il soggetto del potere sovrano, obbedisce a un potere che governa sulla sua vita, che lo lascia vivere e lo obbliga a morire (in guerra, per esempio), su di lui il potere è esercitato senza che abbia un vero e proprio ruolo attivo; il cittadino, invece, è il soggetto del potere governamentale, creato a partire dalla dichiarazione dei suoi diritti – che è un modo particolare di dire anche come deve vivere perché sia considerato un cittadino. Il cittadino è sottoposto a un potere che governa e decide della sua vita, un potere che lo obbliga a vivere, ma lo lascia morire. Il cittadino è un soggetto attivo, che partecipa alla rete del potere: la cittadinanza non identifica una generica soggezione ad un’autorità regale o a un determinato sistema di leggi; essa nomina il nuovo statuto della vita come origine e fondamento della sovranità. L’asse sul quale si muove la differenza tra suddito e cittadino è quindi quello dei diritti e sulle finalità del potere costituito, di come si esercitano sulla vita del soggetto e del grado di decisione che quest’ultimo ha sul proprio essere biologico. La differenza tra cittadino e utente sta proprio nel totale “mettere da parte” la questione biologica, i suoi diritti di cittadino e “di nascita”, per concentrarsi sulla progressiva smaterializzazione dei rapporti statuali: l’utente non ha patria, perché l’utente non ha uno spazio pubblico nel quale riconoscersi. L’utente è definito dalla sua capacità e volontà di fruire di una serie di dispositivi (che si identificano come “servizi”), che gli vengono messi a disposizione da una serie di soggetti diversi: le piattaforme informatiche, le corproration, le aziende, persino lo Stato e le istituzioni. Tutti questi attori erogano dei servizi, nella contemporaneità: l’utente non è un affiliato di questi attori, non gli giura né gli deve fedeltà e può attraversare e abitare queste istituzioni senza per questo viverle in senso pieno – eppure la sua identità viene formata e definita principalmente attraverso il loro utilizzo. Del resto l’utente-in-quanto-utente è definito primariamente dall’uso che fa di qualcosa e non ha un contenuto proprio: non è definito dal modo in cui fa uso di qualcosa, ma solo dal suo avere accesso a un determinato dispositivo/servizio.
(1.1) È interessante, a questo livello, cercare di fare un parallelo tra l’usum definito dalla regola monastica nel medioevo e l’uso che l’utente fa dei dispositivi digitali. Usum è un termine che entra nel linguaggio filosofico e giuridico solo nel tardo medioevo, nell'ambito delle regole monastiche, come quella benedettina: in sostanza, l'usum definisce la regola, il monaco appartiene a un ordine proprio perché usa comportarsi alla maniera di quella regola. Con l'usum le regole definivano il rapporto tra i monaci e il mondo circostante: l'usum è quindi uno specifico modo di rapportarsi al mondo attraverso cui la regola crea uno spazio in cui regola e la forma-di-vita coincidono, in cui cioè l’adesione alla regola crea lo spazio del monastero e definisce la vita stessa del monaco. In una strana evoluzione, il dispositivo digitale è quel particolare dispositivo – nel senso di insieme di disposizioni che mira a creare uno spazio virtuale (nel senso stretto di spazio potenziale) che agisce sulla nuda vita dell’utente, che però la rende di fatto superflua: rimaniamo utenti di un servizio anche dopo che la nostra vita è terminata, tutt’al più diventiamo utenti “inattivi”. I più grandi e influenti tra i dispositivi digitali contemporanei, i Social Network, stanno da anni dibattendo se sia il caso o meno, e a che livello, di eliminare dai propri database le informazioni relative agli utenti deceduti, senza che fino a oggi si sia arrivati a una decisione socialmente condivisa. Se dunque l'utente monastico è una parte attiva che adotta la regola monastica e ne fa parte, l'utente digitale si adatta al dispositivo, ne segue le regole e – pur senza parteciparvi con trasporto emotivo – ne viene definito, spesso senza neanche essere del tutto consapevole del fatto che ne sta venendo in qualche modo formato e trasformato.