Quei soldi erano tuoi

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“Ehi, chi diavolo hai chiamato Biancaneve?” “Scusami, Bronco, stavo raccontando di te ai miei seguaci e...” “E hai deciso di darmi un nome da ragazza.” “Per proteggere la tua identità e non coinvolgerti in questo casino. Non volevo offenderti” “Non mi sono offeso. Anzi, sai che ti dico? Biancaneve mi piace. Quando mi deciderò a rinnovare il mio ufficio, mi farò fare una bella targa: Agenzia Investigativa Biancaneve.” “Sembra un ottimo posto per rimediare un po' di coca.” “Smettila di fare l'idiota e rimetti in moto il tuo rottame. Dobbiamo trovare il tuo socio in affari.” “Ex socio.”

Chiedo scusa, mascalzoni e sicofanti di Testudo, per avervi tenuto sulle spine. Quella che avete sentito è la voce del detective Biancaneve, dal vivo sulla mia radio. Anche se ormai è inutile nascondere la sua vera identità. Puntando la sua SIG Mosquito contro il buttafuori del Ranucci Jazz Club per salvarmi la vita, il mio amico Bronco (questo è il suo vero nome) ha deciso di sua spontanea volontà che era ora di dire addio all'anonimato.

Dunque, dove eravamo rimasti?

il detective prende la parola, intervenendo con la sua voce profonda

“E adesso portaci dal capo,” ho ordinato all'uomo-bufalo, appoggiando il dito sul cane della pistola per aumentare l'effetto drammatico.

Vedendosi minacciato da un'arma molto più grossa e pericolosa del giocattolino impugnato dal mio amico Danny, il buttafuori abbassa la testa, ruota sui tacchi e ci conduce attraverso una serie di porte di servizio, fino a un lungo corridoio fiancheggiato da foto di cantanti jazz dentro enormi cornici dorate.

“Posso chiamare i soccorsi per mio fratello? Sta perdendo sangue.”

“Li chiamerai più tardi,” rispondo io. “E che vi serva da lezione. Se non aveste cercato di fregarci, a quest'ora il tuo fratellino sarebbe ancora in ottima salute.”

“A parte l'asma,” ribatte il buttafuori, pentendosi immediatamente di aver aperto bocca,

“Adesso fai anche lo spiritoso? Forse dovrei sforacchiare anche te, per far uscire tutto questo sarcasmo dal tuo corpo.”

La porta in fondo al corridoio è circondata da un telaio d'oro massiccio e ha un batacchio a forma di testa di leone. “L'ufficio di Ranucci,” dice l'uomo-bufalo, indicando la porta con un cenno della testa.

A quel punto il mio amico Danny Catenaccio gli affonda la snub-nose nella schiena e gli dice: “Annunciaci.”

Accidenti, scusami, ti sto rubando la scena. Vuoi proseguire tu?

Beh, il tizio entra nell'ufficio e biascica qualcosa al suo capo. “Ci sono due tizi. Chiedono di lei. Hanno dei soldi che le appartengono.” Quindi spalanca la porta e ci invita a entrare. “Prego. Il signor Ranucci è disposto a ricevervi.”

Beh, per farla breve, Catenaccio gli sbatte la valigetta sulla scrivania e fa scattare il meccanismo, facendo comparire di fronte ai suoi avidi occhi l'eterea visione di un milione di corazze.

*Eterea? Vacci piano Bronco, non essere retorico. I miei ascoltatori odiano questa robaccia.”

E sapete cosa ci dice Ranucci?

Roba da rimanerci secchi, sul serio.

Il signor Ranucci si massaggia la fronte grassoccia, poi scuote la testa, sbadiglia sonoramente davanti alle corazze fruscianti e poi dice: “Quindi sei stato tu a rubarli? Che razza di idiota, Catenaccio. Quei soldi erano tuoi. Non avevo mai visto nessuno rubare il proprio denaro.”