Rissa al Bounty's Booty

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Bentornati, mascalzoni e sicofanti di Testudo, ho delle pessime notizie per voi: il vostro Danny Catenaccio è ancora vivo e vegeto, ed è tornato a trasmettere sulla sua frequenza personale per raccontarvi di come un dannato milione di Corazze lo ha quasi fatto ammazzare.

Dove eravamo rimasti?

Ah, sì, il Bounty's Booty. Tredicesimo distretto, il numero della sfortuna. Molti di voi lo conoscono bene, perché in tutta la città non c'è una bettola più puzzolente e mal fornita del Bounty's, e probabilmente se lo ricordano per via del tifo intestinale che si sono beccati quella volta bevendo da uno dei suoi boccali sporchi o mangiando assaggiando le sue maleodoranti prelibatezze sintetiche. Beh, per chi non lo conoscesse, vi basti sapere che questo vecchio capanno di lamiera arrugginita sulla ex-strada statale raccoglie tutto il peggio di Testudo: la clientela è un cocktail esplosivo di topi di fogna, ladruncoli, criminali professionisti, killer su commissione, spacciatori e sbirri infiltrati. Anzi, sarebbe meglio dire “sbirri disperati”, perché il Bounty's è davvero l'ultima spiaggia per chi va a caccia di criminali: per avere uno straccio di informazione devi allungare qualche bel bigliettone a gente che ogni giorno si allena a sparare balle come strategia di sopravvivenza, e non c'è nessuna garanzia che le Corazze investite in questo modo ti portino da qualche parte.

Oltretutto, se non vuoi che ti riconoscano immediatamente come sbirro e che non ti taglino la gola, devi essere disposto a scolarti liquori di dubbia provenienza, distillati da olio per motori – o da qualche altra porcheria, ci puoi giurare. Il barista del Bounty's, un tizio enorme con la voce di un cantante Jazz che si fa chiamare Martin King, è un corrotto e un collaboratore della polizia, ma non apre mai la bocca prima di averti convinto a consumare almeno tre drink, nemmeno se sei uno sbirro e hai il suo nome scritto a lettere maiuscole nel tuo libro paga. In fondo è questo il vangelo di Testudo: perché fare qualcosa gratis, se puoi guadagnarci a spese del tuo prossimo? E la gente che bazzica al Bounty's ha recepito perfettamente la buona novella.

Io non ero certo uno sbirro, ma ero molto, molto disperato. Che ci crediate o no, il furto accidentale di una valigetta piena di denaro era la cosa peggiore che mi fosse mai capitata, e la mia unica possibilità di sopravvivere era trovare il legittimo proprietario, perciò ho deciso di ricorrere alle informazioni di terza mano che circolano là dentro. Naturalmente, nessuno avrebbe saputo dirmi a chi appartenevano i soldi, e io non avevo nessuna intenzione di chiederlo, specialmente con quella valigetta in mano. Avevo bisogno di un'informazione molto più semplice. Dovevo solo trovare una persona.

Perciò eccomi qua, al Bounty's Booty. La prima cosa che faccio è dare una rapida occhiata al parcheggio: è uno spiazzo in terra battuta dove spesso, di notte, si trovano carcasse di auto in fiamme. È occupato principalmente da camion blindati e furgoni delle consegne. I ragazzini della periferia si divertono a incendiare i vecchi rottami a combustibile fossile, per cui non è sicuro lasciare un veicolo nel parcheggio, ma quando il veicolo appartiene all'azienda che ti paga una miseria per sgobbare tutto il giorno, allora non c'è problema.

Per la mia amata moto, però, è tutta un'altra storia. Sfreccio subito verso la gabbia più vicina, uno di quei parcheggi a pagamento recintati da un cubo di griglie metalliche elettrizzate, sostenute da sbarre d'acciaio, che per qualche Corazza ti garantiscono di ritrovare il tuo mezzo di trasporto tutto intero. Allungo un biglietto da cinquanta al parcheggiatore, un tizio vestito con una tuta in acetato così scadente che potrebbe prendere fuoco anche solo accendendosi una sigaretta e gli raccomando di trattare bene la mia PodeRossa. Quindi mi incammino lungo i trecento metri di ex-statale che mi separano dal Bounty's, con la valigetta in mano.

Entrato nel bar, mi siedo al bancone e ordino un District's Best, il liquore più fetente dell'intero paese, ma l'unico della cui provenienza posso essere sicuro: tutte le altre bottiglie hanno etichette scritte a mano e provengono da distillerie clandestine, per cui la probabilità di perdere la vista o di avvelenarsi fatalmente è un po' troppo alta per i miei gusti.

Scolo il bicchiere d'un colpo, e ne ordino un altro. “Stavolta però fallo doppio,” dico al barista. “Il lucido per la carrozzeria della mia moto è molto più alcolico di questa acqua sporca.” Non è vero, non mi sognerei mai di lucidare la PodeRossa con una sostanza a base di alcol che potrebbe rovinare la vernice, ma avevo bisogno di una frase ad effetto.

Martin King, il barista, sembra punto nel vivo. “Il problema è il tuo, bello. Non dovresti ordinare questa immondizia. Lo tengo solo perché il sindaco Carter ha obbligato ogni bar a vendere il suo whisky schifoso. La vuoi una bella grappa casalinga? La produce il nonno di Blanca Brucella,” mi dice, indicandomi una bionda che sta mangiando il famigerato formaggio di capra selvatica della West Enclosure da un vassoio sudicio. “Va bene, vada per la grappa dell'onorata famiglia Brucella,” gli dico, senza la minima intenzione di assaggiare un solo sorso di quell'intruglio potenzialmente mortale. “Ma prima devo chiederti una cosa,” aggiungo, allungandogli un biglietto da cento Corazze.

Adesso che ho la sua attenzione, posso fare il nome della persona che cerco. Ma non lo dirò certo in radio, perché la persona in questione adesso custodisce la mia valigetta e mi dispiacerebbe molto se finisse ammazzata per colpa mia. Facciamo così: usiamo un nome fasullo. Chiamiamola Biancaneve.

“Sai dov'è Biancaneve? Ha un ufficio da qualche parte a Testudo?” Domando a King, sperando che cento Corazze siano abbastanza per convincerlo a dire la verità. So che King ha fatto qualche lavoretto per conto di Biancaneve e che gli passa regolarmente informazioni in cambio di un fisso mensile. Se qualcuno sa come trovarla, questo è proprio Martin King.

“Biancaneve? Il detective Biancaneve? Che diavolo devi farci?”

D'accordo, mi avete beccato. Biancaneve è un uomo. È un investigatore privato. E potrebbe essere l'unico uomo onesto rimasto a Testudo, per quanto ne so io, ma di lui mi fido ciecamente.

“Senti, King, non ho tempo per chiacchierare. Se non vuoi i miei soldi, li darò a qualcun altro,” gli dico, piegando in due la banconota e facendo per rimetterla in tasca. Rapido come un felino, nonostante i suoi centocinquanta chili di peso, scarpe in pitone escluse, King si sporge sul bancone e afferra la banconota. “Non ho mai detto che non li voglio.”

Stacca un biglietto di eco-plastica sudicia da un blocchetto che tiene sul registratore di cassa, si sfila di tasca una penna con il logo del District's Best e scribacchia un indirizzo sul foglio, poi me lo porge. Proprio mentre allungo la mano destra per afferrarlo e lo infilo in un taschino, però, sento uno strattone che mi strappa via dalla sinistra la valigetta. Mi volto di scatto, appena in tempo per vedere un bandito dalle fattezze scimmiesche che se la dà a gambe con la mia unica speranza di salvezza.

Valuto per un istante le sue capacità intellettive e la mia capacità polmonare. La seconda sembra molto più alta della prima, perciò decido di tentare un trucchetto disperato. Un trucchetto che il mio socio in affari Johnny Rumble chiama “il tritacervello alla giapponese”. Ossia: spararne una bella grossa e sperare che il tizio ci caschi.

“FERMATI, IDIOTA! CI AMMAZZERAI TUTTI!” Grido, sopra al costante chiacchiericcio del bar.

“C'è una bomba là dentro,” proseguo, rivolgendomi tanto agli avventori del Booty's quanto all'uomo scimmia. “Se continua a muovere la valigetta, questo posto si trasformerà in un bel cratere!”

L'uomo scimmia, ormai vicino all'uscita sul retro ha un attimo di esitazione. Possibile che sia la verità? E soprattutto: vale la pena rischiare la vita per un'anonima valigetta che potrebbe contenere qualsiasi cosa, anche dei barattoli di lucido per scarpe? Appoggia la valigetta e mi invita ad avvicinarmi arricciando un dito. “Vieni qua. Fammi vedere. Se non è una bomba, ti pianto un proiettile in testa,” mi dice, con una vocina gracchiante che mi fa venire voglia di prenderlo a sberle.

Mi avvicino con cautela, un passo dopo l'altro. “Non si può aprire,” gli dico. “Altrimenti salterà in aria. A meno che non si inserisca la combinazione per disattivare il detonatore.” Mi chino sulla valigia, traffico per qualche minuto con il meccanismo numerico della combinazione poi afferro la maniglia con fare cerimonioso, aspetto che lui si avvicini per guardare meglio e... SBAM! Lo colpisco sulla mascella con la forza centrifuga di un milione di dannati bigliettoni.

Ed è qui che si scatena il putiferio. I clienti del Bounty's adorano le risse e non perdono un'occasione per fare a pugni. Mi saltano addosso in tre, ma a loro volta vengono aggrediti da una mezza dozzina di energumeni che menano i pugni come pazzi. Pallottole esplodono in tutte le direzioni – la feccia di Testudo gira sempre armata – e un proiettile graffia il mio prezioso giubbino di pelle d'importazione che ho rubato a un generale del primo distretto. Una raffica di mitragliatrice strappa il rivestimento della valigia, rivelando il metallo di cui è fatta. In tutto questo parapiglia, riesco a uscire dal Bounty's senza riportare danni permanenti utilizzando come via d'uscita una finestra già rotta da una rissa precedente.

Non sono più quello di una volta, cari i miei ascoltatori. Ai bei tempi avrei mandato al tappeto un bel po' di gentaglia, prima di filarmela. Mi sarei divertito alla grande. Ma quando la tua vita è rinchiusa in una dannata valigia, vi assicuro che la voglia di divertirsi scende ai minimi storici. Perciò eccomi ancora una volta a bordo della PodeRossa, pronto a raggiungere l'indirizzo scarabocchiato da King sul foglietto che mi è quasi costato la pelle. Ma questa parte della storia ve la racconterò un'altra volta. Per oggi vi saluto, mascalzoni e sicofanti di Testudo!

si chiudono le trasmissioni