Un cocktail rosso sangue

riassunto delle puntate precedenti

musica jazz in lontananza

Bentornati, mascalzoni e sicofanti! In barba a ogni previsione, il vostro Danny Catenaccio è di nuovo in sella alla sua PodeRossa, con tutte le ossa al loro posto e la pellaccia quasi intera, pronto a lanciare nell'etere una nuova trasmissione in diretta da Lakeview!

Ci siete mai stati? Accidenti, da queste parti sembra di essere tornati all'epoca pre-isolamento. Qui si trova davvero di tutto: beni d'importazione, musica straniera, auto di lusso, roba che nel resto di Testudo non circola da almeno un decennio. Lakeview è un vero paradiso, il luogo in cui chiunque vorrebbe passare il resto della sua vita. Chiunque abbia le tasche abbastanza gonfie da permetterselo, a dire il vero, perché ogni cosa viene venduta a peso d'oro. Questo distretto è così esclusivo che non c'è bisogno né della legge, né dei poliziotti. Tutte le attività commerciali sono in mano a gangster e farabutti, gente che sa come farsi giustizia da sola. E così, per uno dei tanti paradossi di Testudo, Lakeview è il quartiere più corrotto e più sicuro della città.

Questa sera, quando ho parcheggiato la mia PodeRossa nel piazzale del Ranucci Jazz Club, per la prima volta non ho provato la minima ansia da separazione. Sapevo che la mia bellezza non correva alcun rischio. Ma non ho comunque lasciato le chiavi al parcheggiatore in divisa rosso e oro, che me le chiedeva con insistenza. Chi si credeva di essere, per salire sulla mia moto?

Ma torniamo a noi. Scommetto che state morendo dalla voglia di sapere come è finita la sporca storia della valigetta rubata. Beh, poco fa ci sono stati degli sviluppi che definire poco piacevoli sarebbe fargli un complimento.

Come stavo dicendo, parcheggio la mia PodeRossa, prendo quella dannata valigetta e vado dritto verso l'ingresso del Ranucci. Ma una mano di dimensioni colossali mi si appoggia sul petto con la forza di una badilata.

“E tu dove pensi di andare?” Mi chiede il buttafuori, un tizio pompato a steroidi con la faccia di un bufalo e all'incirca la stessa stazza, storcendo il naso alla vista del mio giubbino di pelle pieno di borchie.

“La vedi questa tromba?” Gli dico, alzando la valigetta e facendola oscillare davanti ai suoi occhi. “Devo sostituire un musicista per il concerto di stasera.”

“Il concerto di Madama 'Roo?” Domanda lui, soffiando tra i denti.

Solo in quel momento penso di controllare le locandine incollate sulla facciata liberty del club.

SOLO PER STASERA la straordinaria MADAMA 'ROO si esibirà per voi in un emozionante concerto per voce sola.

Impreco tra i denti. Un errore da principiante, ma non è certo il momento di buttarmi giù di morale. Bisogna cambiare strategia.

“Senti, amico,” gli dico, appoggiandogli una mano sulla spalla e sibilando le parole direttamente nel suo orecchio. “Il signor Ranucci mi sta aspettando. Ho qualcosa che gli appartiene.” Faccio scattare le chiusure della valigetta e la apro quel tanto che basta per fargli capire che è piena zeppa di soldi. Gli occhi del bufalo aumentano di due taglie e per un momento mi sembra di vedere un bagliore di vita al loro interno, ma poi tornano ad essere due capocchie di spillo nere e vuote. Con un cenno della testa verso il portone, mi ordina di entrare.

“Aspetta qui,” dice lui, indicandomi l'unico sgabello libero all'interno del locale, di fronte a uno dei tanti banconi dove baristi in smoking servono intrugli esotici di cui ignoro il nome e la composizione. L'aria è densa di energia, un'energia che vibra sulle note di una strana musica. È come se ogni componente della piccola band che si sta esibendo sul palco suonasse un concerto per conto suo, ma il risultato è in qualche modo un tutt'uno, armonico e stravolgente, una musica che trasmette un senso di libertà, un desiderio ribellione. Dunque è questo che chiamano jazz? Adesso capisco perché il sindaco Carter lo ha messo fuori legge.

Ma la cosa più straordinaria è che qui nessuno gli presta attenzione. I ricconi che frequentano il locale sono presi in altre faccende: discutono tra loro, leggono contratti, si vantano davanti a donne bellissime e bevono quegli stupidi cocktail. Così capisco anche perché il jazz non sia fuorilegge qui a Lakeside: queste persone sono così soddisfatte delle loro inutili vite che non hanno niente contro cui ribellarsi.

Mentre sono preso in questi pensieri, il barista mi infila sotto al naso un bicchiere alto e stretto, con dentro un liquido color rosso sangue. “Offre la casa,” mi dice, mettendo giù la cornetta di un telefono attraverso la quale, evidentemente, ha ricevuto degli ordini ben precisi da un suo superiore. Che gli abbiano detto di avvelenarmi?

“No, grazie,” ribatto. “Non bevo mai quando la mia vita è in pericolo. E capita più spesso di quanto si possa immaginare.”

Allontano il bicchiere e mi godo la musica, ma il buttafuori non tarda a fare la sua ricomparsa. “Da questa parte,” mi dice, facendo sporgere la testa da una porticina dorata alle spalle del bancone.

Il mio cuore comincia a battere all'impazzata. Infilo una mano in tasca e stringo l'impugnatura della pistola per tranquillizzarmi, poi mi alzo dallo sgabello, giro intorno al bancone, saluto il barista con un rapido cenno e apro la porta. Succeda quel che deve succedere, mi dico. Basta che succeda in fretta. Non sopporto tutta questa tensione.