Il Futuro è una Trappola

Così dicevano i Ministri nell'omonima canzone.

E' un concetto che ha spinto molte riflessioni in me: il futuro è a tutti gli effetti inesistente. Semplicemente non c'è: può essere qualsiasi cosa, ma non è finché non diventa passato. Il passato al contrario sembra una linea di storie certe, composte da persone che hanno compiuto azioni, individuali o collettive, nel presente. Nel futuro possiamo promettere qualsiasi cosa e smentirla, nel passato si registrano scelte e conseguenze, nel presente le compiamo. Così spesso si concettualizza la nostra vita, ed è nella mia che si è materializzata questa teoria.

Sono natə e cresciutə con un'educazione non ancorata ad un genere ma corrispondente al mio corpo (maschile). In tenera età ho sviluppato una serie di caratteristiche e aspettative “femminili”. Guardavo, oltre ai Pokemon, Mew Mew, Winx e Mermaid Melody, Rossana e Piccoli Problemi di Cuore, sognavo di avere i capelli lunghi e colorati, i vestiti e le gonne. Tali caratteristiche, in seguito ad uno schiaffo di realtà nelle prime interazioni con i pari e le istituzioni, sono state chiuse al mio interno e represse se non per qualche leggero fischio di fondo. Alle scuole medie ascoltavo Avril Lavigne, Keisha e gli Aerosmith delle ballad (oltre al punk), cercavo gli AMV delle ship di Yugioh, Sonic e Naruto; onestamente, non leggevo i fumetti di menarsi per il menarsi. Ovviamente a 12 anni, in una scuola del centro con bambinɜ di un anno più grandi, nessuna di queste cose poteva andare bene: ricordo bene due compagne che in coppia mi chiamavano con nomi femminili e giocavano a chiedermi cose da femmine, senza curarsi delle mie proteste o risposte. Questa esperienza di bullismo ha evidenziato ed esposto una ferita che già si era verificata, implicitamente: una diversa percezione esterna della mia persona ha delegittimato la mia, che è stata chiusa in favore di una struttura in apparenza inequivocabilmente maschile. Una struttura estetica e comportamentale interiore, un sistema di autoregolazione di un trauma identitario nell'età della seconda socializzazione. Ciò che ero stata non era più, ero nato Marco quel Capodanno '98. Al liceo vestivo camicie colorate e fantasie con blazer e cappotti, tifavo per l'Impero di Star Wars e scrivevo di politica con linguaggio polemico, ho creduto anch'io nel M5S della prima ora. Amo la Storia in ogni sua forma e declinazione e generalmente ascolto le cose solo quando hanno circa 3-5 anni di stagionatura. Pensavo spesso all'Impero Romano, infatti ero cresciuto Marco Antonio. Ho scritto molte poesie in uno stile che mirava a rappresentare le interferenze dei segnali audio o video, un rumore di fondo indecifrabile. Quello che si percepiva per bene era una rabbia maturata per tutto lo sviluppo: all'inizio esplodeva quando le angherie raggiungevano il culmine, piano piano è diventata sempre più una delle caratteristiche fondamentali e costanti della mia persona.

Il mio passato, infanzia “ambigua” nel genere, giovinezza repressa dall'esterno tramite bullismo, adolescenza e prima maturità, poggia su come ho agito e su cosa ho ricevuto dall'esterno. Eventi successi, pensieri effettuati, azioni e reazioni disegnano la mia storia. Poi ho iniziato la terapia, prima riguardando Doctor Who, poi affiancandomi una psicoterapeuta.

Ho scoperto che la parte repressa non era mai stata tale: per tutto questo tempo ha lavorato incessantemente per trovare un sistema che comprendesse entrambe. La rabbia non sarebbe mai rimasta così a galla, immagino. L'immagine di me che avevo ha ricercato costantemente una raffinatezza ambigua che riuscisse a spiegare ciò che avevo dimenticato per la mia stessa sicurezza, come protezione da quel mondo esterno che aveva detto “ciao essere umano di sesso e quindi genere maschile”. Da adolescente cercavo i cappotti stretti in vita e sui fianchi. Ora, a 26 anni, mi è venuto in mente di metterci io la cintura. Sono nata in un corpo maschile, mi sono socializzata come femmina, a scuola il mio documento aveva la M, mi piacciono i rally e la Formula 1, il mondo esterno mi ha vista come maschio e così mi sono riadattata, costruendo una struttura maschile. Egli, perché sopravvivessimo, ha sovrastato quella bambina che è diventata un elemento sempre più rimpicciolito, ma sempre presente nella mia vita. Poi lei si è stancata, ha iniziato a sfondare i muri (grazie Vi) di questa struttura che non riusciva a rispondere più da sola alle sfide e ai disagi di un ventenne terrorizzato dagli scarafaggi, e lei è tornata pilota della mia vita. Così dopo un anno, a quota 25, mi sono trovata a fare coming-out e scoprire un intero nuovo mondo che sta dando tutti i colori necessari a Benedetta per recuperare lo sviluppo “perduto” e crescere affianco a Marco, che ha sempre tenuto alta la guardia.

Essenzialmente, la psicoterapia prende la linea temporale e la richiude, svelando una natura originale del tempo: “A big ball of wibbly-wobbly, timey-wimey...thing.” Il tempo racchiude tutti i fenomeni fisici che modificano la materia. Tali fenomeni necessitano di un nome unico e di un senso, per non impazzire nell'infinità. E' anche un fluido che chiudiamo nelle forme che vogliamo e contiene ciò che esiste: presente e passato. Sul futuro non si può parlare, perché non esiste, è più difficile da concettualizzare di ciò che sembra, non ha agganci fisici. Ci sono tanti futuri per ogni momento della vita in cui pensiamo a cosa fare. La materialità del passato non ne garantisce la staticità, anzi, ci dà la sicurezza di poterlo maneggiare e usare per il presente, dà senso al nostro presente. A sua volta, il presente si scopre una ricerca di senso del passato, una vita per un passato migliore. Persino sintatticamente è quantomeno brutto usare il futuro indicativo nelle subordinate finali, al massimo la si rende implicita con il modo infinito: viviamo non affinché sorrideremo, ma per poter guardare verso quel passato e sorridere. Cerchiamo una chiusura pacifica con unə vecchiə compagnə di vita per poter guardare alla vita passata insieme ed esserne soddisfattɜ. Con il futuro invece si può temporeggiare e fare promesse da smentire, si può posticipare la fine della lotta, prendere tempo e neutralizzare le minacce. Gli uomini smetteranno di molestare, ma intanto oggi l'hanno scampata: questo è ciò che conta in fondo.

Ecco qui una piccola nota metodologica sulle riflessioni che farò da questo momento in poi, finché non ne cambierò la teoria di fondo. E una giustificazione della mia presenza, I guess?

“I tuoi weekend mi distruggono, voglio un passato migliore”.

Bibliografia, sitografia e discografia conscia:

-Ministri: Il Futuro è una trappola; I Tuoi Weekend mi Distruggono. -Doctor Who S03E10: “Don't Blink”