Un Passato Migliore

Dissipare il fumo del futuro, sciogliere la glacialità del passato, riprendersi il presente.

CW: violenza di genere, sesso

Una “ragazza” è felice, ha trovato un Lidl non lontano da casa, davanti alla fermata del bus. Ha trovato anche il tofu a metà prezzo rispetto agli altri super e le lasagne vegane. E' la gioia della giornata, in un periodo tra lo stallo e la depressione, in cui Under My Skin, i Mapuche e il lavoro la trattengono dal dare ascolto ai frequenti sbadigli. Nei momenti liberi guida per gioco, felice di doversi concentrare su una cosa sola, automatica ma non scontata: tenere una macchina in traiettoria, senza ascoltare i pensieri. Oggi riesce persino a ricacciare le lacrime che sente mentre guarda il reparto carne per prendere il pollo alla sua compagna. Almeno il karma è quasi bilanciato. Si compra una birretta per festeggiare.

Esce soddisfatta dal super e attende il bus in ritardo di 10 minuti; non ci pensa, ne approfitta per catturare qualche Pokèmon e pensa a quando mostrerà alla sua compagna che non vuole forzarla a seguire la sua dieta, al contrario. Riesce a farsi spazio nella folla e sedersi in coda alla vettura, scambia uno sguardo con un'altra ragazza dall'eyeliner serpentino e il piercing sul ponte del naso; le piace pensare di essere numerosɜ e prima o poi coscientemente unitɜ, quantomeno non sole. Decide di scendere una fermata prima per fare meno strada, si avvicina alle porte dietro, il bus si ferma. Apre le porte davanti, per far salire le persone. Apre le porte centrali, per far scendere le persone. Le porte dietro rimangono chiuse. A volte capita, non si vede bene dalle telecamere: la “ragazza” si sporge, bussa sulla porta, chiede di aprire le porte dietro, chiede per favore, non riceve risposta, le altre porte si chiudono, il bus riparte.

Lei sa cos'è successo, non è la prima volta, ha già scoperto il mese scorso cosa c'è dall'altra parte del ponte, intorno alla fermata dopo il lavoro: niente, se non una giustificazione. Dalle porte davanti e dietro si sale, da quella in mezzo si scende, così dicono alcuni; nei mezzi non ci sono indicazioni visibili di tutto ciò. Quella volta lo sentì dal conducente, prima di scendere dalle porte davanti. Oggi è un vecchio seduto che dice, senza rivolgersi a lei, che “si scende dal mezzo”. Le piacerebbe dire di non aver sentito nulla, di non aver pensato di ringhiargli addosso, di tirare fuori la risposta che altre avrebbero avuto. Almeno il dito medio cerca di alzarsi. Scende alla fermata successiva e si incammina verso casa. “Ma so chi siete voi” pensa, “che vi nascondete dietro le regole che nemmeno i loro creatori conoscono, zelanti ad applicarle quando non ci sono necessità impellenti, quando non ci sono rischi di sicurezza, ingorghi o problemi di affollamento, quando non guardate chi vi sta davanti, quando non è un vostro simile a subirle. Quando è più facile impedire gratuitamente a qualcunə di continuare la giornata senza intoppi aggiuntivi che premere un pulsante e farla uscire, soddisfare una regola che non esiste realmente, se non nella vostra perversione. Vi siete eccitati? Avete sentito il sangue scorrervi fra le gambe nei pantaloni, vi ha guarito il pene in disuso, questo potere? Vi siete illusi di non aver più bisogno delle pillole per stare con una che non vi vuole da più di 2000 anni, ma illusa che non ci sia alternativa?” La strada è vuota. “Però siamo noi che, non ancora assuefatte, non possiamo rispondere, non possiamo insultarvi, non possiamo alzarvi le mani. Non è la violenza a risolvere le cose, giusto? E' così che dite quando vostra moglie, vostra figlia, la vostra fidanzata, anche vostra madre, volendo, si risvegliano dall'assuefazione o commettono l'errore di credere alla loro parola? E' questo che pensate quando ricordate loro “le regole” e gliele scrivete sulla pelle? Sono io, invece, che devo sputare queste parole in una stanza pagata 40€ -se sono fortunata- a seduta, fumare per metabolizzare quello che non posso sfogare perché ho la malsana idea di voler lasciare a miə figliə un passato migliore di quello che ho studiato io. Perché non ho il coraggio di rompervele in faccia le regole.” Guarda in alto il pezzo di cielo lasciato libero dai palazzi, le nuvole si stanno diradando. “Com'era nel '43, nella vostra vita precedente, quando facevate soltanto il vostro lavoro, piccoli burocrati senza occhi, ma dalle mani svelte? Sarebbe un torto agli scarafaggi insultarvi così, loro ripuliscono la vostra merda e riemergono dalle fogne per ricordarvi quello che avete fatto. Li sentite, mentre zampettiamo? Stiamo risalendo, e sarà il vostro turno. No, non tu precisamente, in Italia non si butta via niente, siamo primi in Europa per riciclo.”

Entra in casa, si guarda allo specchio e sorride. Apre la bocca per dire: “Certo che ne hai di fantasia cara, paragonare un conducente ai burocrati nazisti. Esagerata, come sempre!”

The Tale Beneath

CW: lutti, 25 dicembre, questioni familiari.

Colonna Sonora : Undertale – Toby Fox

La verità è che per me Halloween non è ancora finito.

Essenzialmente i lutti e i morti non vivono soltanto un giorno, e sicuramente non basta uno spazio di 24 ore per ricordarli e metabolizzarli. E perché è il primo 25 dicembre lontano dalla famiglia di sangue, annunciato da una fine legata indissolubilmente a questo giorno. Questo 6 dicembre -il compleanno di madre peraltro- è morta mia zia, sorella di mio padre, Cristina. Tanto per cominciare, è il terzo lutto che subisce padre, e in tutto questo fa ridere quanto la reazione che ricevo maggiormente rimanga l'impazienza di madre che padre si apra un po' di più. So much for the safe space.

La parte paterna della famiglia è di quel carattere cattolico pre-religioso, la gioia di ascoltare e condividere una storia come base sociale e comunitaria, la genuina credenza nei valori della comunità e l'apertura, che cozzano irrimediabilmente con l'istituzione che se ne fa portatrice e i suoi dogmi culturali. Per quanto mi riguarda, semplicemente hanno un forte senso di comunità e un'energia positiva verso ɜ consanguineɜ. Questo carattere si concretizzava nelle due festività fondamentali del Natale e della Pasqua. Cristina rappresentava materialmente e “spiritualmente” queste feste: all'ora di pranzo ci si riuniva con tutta la famiglia a Milano e anche con chi riusciva ad arrivare dal Veneto -dove risiedono ¾ dei miei parenti- ognunɜ con del cibo, dei regali e se stessɜ... C'erano anche vino e “quello che uccide il caffè”, citando mio nonno paterno, Antonio, che è morto due giorni prima del suo compleanno. Lui lamentava sempre, quando lo aiutavamo, di non avere 90 anni, al punto di aver voluto terminare la sua vita prima di compierli. Il suo funerale è stato indetto per il giorno del compleanno di mia sorella, per mantenere quel giusto di pressione suɜ consanguineɜ.

Non si pregava a pranzo, non si parlava di Chiesa, non c'erano canti e simili questioni. Si parlava di noi, si discuteva in maniera straordinariamente pacata (la sottigliezza e l'implicito sono armi in voga tra noi). C'erano i regali e si giocava a ping-pong sul tavolo sparecchiato, si ammirava Colin Firth in Orgoglio e Pregiudizio, che era chiaramente l'idolo di Cristina, come darle torto! La Pasqua aveva un simile carattere: la mattina chi della famiglia voleva andava alla Messa (nessunə del mio nucleo familiare), il resto era pura convivialità, non credo di aver mai sentito nominare Gesù una singola volta, lo dico perché è ciò che mi ha sempre stupita. Se si fosse rimasti al valore sociale della religione, quello che sottolineava Machiavelli, senza fondarci un'istituzione dura e universalizzatrice probabilmente si sarebbero evitate molte cose, ma non è questo il punto.

Il punto è che questo Natale non va così e io sono rimasta ad Halloween, perché gli spettri sono ancora qui attorno a me, ad alimentare in qualche modo la mia tendenza depressiva e auto-colpevolizzante, la parte di Omori in bianco e nero. C'è un motivo se non ho mai aperto quel gioco, probabilmente ne potrei scrivere uno simile. Guardare in faccia i propri orrori primordiali va fatto quando è tempo, e il mio carattere ha già caricato molti muri interiori a testa bassa quest'anno. Sono rimasta ad Halloween infatti -l'anniversario mio e di Sara, la mia compagna-, quando ho ripreso e terminato Undertale, che ha innescato tanti processi che gli dedicherò una pagina a parte.

Quante sovrapposizioni di eventi!

Post scriptum: non doveva essere questa la prima pagina, avevo pronta una sorta di presentazione/nota metodologica invece di un'entrata in medias res, ma a volte va così. Quantomeno, sarebbe la prima volta che pubblico qualcosa nel giorno in cui dovrebbe essere pubblicata. E il 21 dicembre, la notte più lunga (e compleanno di nonna Irene), è un po' in tema con Halloween. Post Post scriptum: ovviamente non è successo nemmeno questo ma ehi, anche nonna ha voluto aspettare un giorno per festeggiare con i parenti.

Così dicevano i Ministri nell'omonima canzone.

E' un concetto che ha spinto molte riflessioni in me: il futuro è a tutti gli effetti inesistente. Semplicemente non c'è: può essere qualsiasi cosa, ma non è finché non diventa passato. Il passato al contrario sembra una linea di storie certe, composte da persone che hanno compiuto azioni, individuali o collettive, nel presente. Nel futuro possiamo promettere qualsiasi cosa e smentirla, nel passato si registrano scelte e conseguenze, nel presente le compiamo. Così spesso si concettualizza la nostra vita, ed è nella mia che si è materializzata questa teoria.

Sono natə e cresciutə con un'educazione non ancorata ad un genere ma corrispondente al mio corpo (maschile). In tenera età ho sviluppato una serie di caratteristiche e aspettative “femminili”. Guardavo, oltre ai Pokemon, Mew Mew, Winx e Mermaid Melody, Rossana e Piccoli Problemi di Cuore, sognavo di avere i capelli lunghi e colorati, i vestiti e le gonne. Tali caratteristiche, in seguito ad uno schiaffo di realtà nelle prime interazioni con i pari e le istituzioni, sono state chiuse al mio interno e represse se non per qualche leggero fischio di fondo. Alle scuole medie ascoltavo Avril Lavigne, Keisha e gli Aerosmith delle ballad (oltre al punk), cercavo gli AMV delle ship di Yugioh, Sonic e Naruto; onestamente, non leggevo i fumetti di menarsi per il menarsi. Ovviamente a 12 anni, in una scuola del centro con bambinɜ di un anno più grandi, nessuna di queste cose poteva andare bene: ricordo bene due compagne che in coppia mi chiamavano con nomi femminili e giocavano a chiedermi cose da femmine, senza curarsi delle mie proteste o risposte. Questa esperienza di bullismo ha evidenziato ed esposto una ferita che già si era verificata, implicitamente: una diversa percezione esterna della mia persona ha delegittimato la mia, che è stata chiusa in favore di una struttura in apparenza inequivocabilmente maschile. Una struttura estetica e comportamentale interiore, un sistema di autoregolazione di un trauma identitario nell'età della seconda socializzazione. Ciò che ero stata non era più, ero nato Marco quel Capodanno '98. Al liceo vestivo camicie colorate e fantasie con blazer e cappotti, tifavo per l'Impero di Star Wars e scrivevo di politica con linguaggio polemico, ho creduto anch'io nel M5S della prima ora. Amo la Storia in ogni sua forma e declinazione e generalmente ascolto le cose solo quando hanno circa 3-5 anni di stagionatura. Pensavo spesso all'Impero Romano, infatti ero cresciuto Marco Antonio. Ho scritto molte poesie in uno stile che mirava a rappresentare le interferenze dei segnali audio o video, un rumore di fondo indecifrabile. Quello che si percepiva per bene era una rabbia maturata per tutto lo sviluppo: all'inizio esplodeva quando le angherie raggiungevano il culmine, piano piano è diventata sempre più una delle caratteristiche fondamentali e costanti della mia persona.

Il mio passato, infanzia “ambigua” nel genere, giovinezza repressa dall'esterno tramite bullismo, adolescenza e prima maturità, poggia su come ho agito e su cosa ho ricevuto dall'esterno. Eventi successi, pensieri effettuati, azioni e reazioni disegnano la mia storia. Poi ho iniziato la terapia, prima riguardando Doctor Who, poi affiancandomi una psicoterapeuta.

Ho scoperto che la parte repressa non era mai stata tale: per tutto questo tempo ha lavorato incessantemente per trovare un sistema che comprendesse entrambe. La rabbia non sarebbe mai rimasta così a galla, immagino. L'immagine di me che avevo ha ricercato costantemente una raffinatezza ambigua che riuscisse a spiegare ciò che avevo dimenticato per la mia stessa sicurezza, come protezione da quel mondo esterno che aveva detto “ciao essere umano di sesso e quindi genere maschile”. Da adolescente cercavo i cappotti stretti in vita e sui fianchi. Ora, a 26 anni, mi è venuto in mente di metterci io la cintura. Sono nata in un corpo maschile, mi sono socializzata come femmina, a scuola il mio documento aveva la M, mi piacciono i rally e la Formula 1, il mondo esterno mi ha vista come maschio e così mi sono riadattata, costruendo una struttura maschile. Egli, perché sopravvivessimo, ha sovrastato quella bambina che è diventata un elemento sempre più rimpicciolito, ma sempre presente nella mia vita. Poi lei si è stancata, ha iniziato a sfondare i muri (grazie Vi) di questa struttura che non riusciva a rispondere più da sola alle sfide e ai disagi di un ventenne terrorizzato dagli scarafaggi, e lei è tornata pilota della mia vita. Così dopo un anno, a quota 25, mi sono trovata a fare coming-out e scoprire un intero nuovo mondo che sta dando tutti i colori necessari a Benedetta per recuperare lo sviluppo “perduto” e crescere affianco a Marco, che ha sempre tenuto alta la guardia.

Essenzialmente, la psicoterapia prende la linea temporale e la richiude, svelando una natura originale del tempo: “A big ball of wibbly-wobbly, timey-wimey...thing.” Il tempo racchiude tutti i fenomeni fisici che modificano la materia. Tali fenomeni necessitano di un nome unico e di un senso, per non impazzire nell'infinità. E' anche un fluido che chiudiamo nelle forme che vogliamo e contiene ciò che esiste: presente e passato. Sul futuro non si può parlare, perché non esiste, è più difficile da concettualizzare di ciò che sembra, non ha agganci fisici. Ci sono tanti futuri per ogni momento della vita in cui pensiamo a cosa fare. La materialità del passato non ne garantisce la staticità, anzi, ci dà la sicurezza di poterlo maneggiare e usare per il presente, dà senso al nostro presente. A sua volta, il presente si scopre una ricerca di senso del passato, una vita per un passato migliore. Persino sintatticamente è quantomeno brutto usare il futuro indicativo nelle subordinate finali, al massimo la si rende implicita con il modo infinito: viviamo non affinché sorrideremo, ma per poter guardare verso quel passato e sorridere. Cerchiamo una chiusura pacifica con unə vecchiə compagnə di vita per poter guardare alla vita passata insieme ed esserne soddisfattɜ. Con il futuro invece si può temporeggiare e fare promesse da smentire, si può posticipare la fine della lotta, prendere tempo e neutralizzare le minacce. Gli uomini smetteranno di molestare, ma intanto oggi l'hanno scampata: questo è ciò che conta in fondo.

Ecco qui una piccola nota metodologica sulle riflessioni che farò da questo momento in poi, finché non ne cambierò la teoria di fondo. E una giustificazione della mia presenza, I guess?

“I tuoi weekend mi distruggono, voglio un passato migliore”.

Bibliografia, sitografia e discografia conscia:

-Ministri: Il Futuro è una trappola; I Tuoi Weekend mi Distruggono. -Doctor Who S03E10: “Don't Blink”