Il Taccuino

Ho accumulato i miei giorni come fossero documenti impilati. Mi fermo a rileggerli spesso: pieni di quisquilie, farneticazioni, cavilli. Su ogni foglio imprimo col timbro: “SPRECATO” Ne arrivano spesso di nuovi ma nel contenuto son sempre gli stessi. A cosa serve rileggerli ancora? Eppure avrei tanto voluto esser poeta, oppure un artista, col cuore tremante e ispirato. Tuttavia il cielo non volle. Pazienza. Starò qui a sbrogliare scartoffie con la sterile passione dell'impiegato.

Presenze

Presenze, foto digitale. Licensed under CC BY-NC-ND vedi su Pixelfed


Aspetterò un altro inverno per amarti quando meno ferma la mia mano scorrerà sulla parete e la memoria delle cose a me più care, già sbiadite, offuscherà ogni mio risveglio. Con gli occhi cercherò il tuo sguardo e il tuo respiro, come un fresco alito sul volto, il tuo nome chiamerò tra le consunte cose ma la mia voce, come di fantasma risuonerà dalla terra, un bisbiglio tra la polvere. Attenderò ogni giorno quell'inverno, dovessi pure consumare la mia vita e il tempo, quest'inganno, che ci separa.

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(A. Arrivabene, ecce-homo, olio su tavola. 41 x 37 cm, 2019)


Nella compassione ho intuito il seme dell'infelicità -

soffrire è volervi amare al di sopra delle mie possibilità.

Trinità di Andrej Rublev A. Rublev, Trinità


Per tutti i miei giorni ho vagato cercando il tuo amore. Ovunque ho guardato: sui fili d'erba e dietro le stelle, nel muto contegno dei sassi, e mai l'ho trovato. Solo starò sulla terra fino all'ultimo giorno, solo sarò trafitto dai raggi dell'ultimo bagliore del sole. Tante volte ho cercato il tuo amore. Forse è nella solitudine eterna di ogni uomo che muore.

Joan Semmel, Study for Night Light 1978, oil crayon on gray paper J. Semmel, Study for Night Light, 1978, pastello a olio su carta grigia.


Tu non sei una statua d'alabastro né di marmo levigato ma i minuscoli solchi dei tuoi anni porti come lastra d'acquaforte, essi sul tuo corpo disegnano ogni forma: ecco una driade, una ninfa, un'odalisca, la Maddalena ai piedi della croce.

Potessi baciare invece i tuoi, le caviglie, le ginocchia, sfiorare con le dita quasi fossero pennelli l'interno molle delle cosce, e discoprire il fiore che tante volte dischiudesti, l'acre odore che m'inebria, assaporare il tuo mistero, prosciugarti goccia a goccia.

Se ti confessassi ciò adesso fuggiresti, terrò dunque solo mio questo segreto. Animo mio inquieto, va da lei stanotte, non svegliarla, adagiati tra i seni, sia per lei questa passione che non si consuma. Per questa unica notte sola. L'unico amore possibile è quello che non esiste ancora.

Lago di pergusa


Non chiedete più della fanciulla che abitava queste terre forse altrove è andata a cercare i fiori d'asfodelo. Non interrogate i pini, il vento, non importunate la poiana.

La folaga ha lasciato queste rive, l'airone ha rivolto le sue ali al di là della città.

Perché cercate tra i vivi ciò che è morto? Mai nessuno vi risponderà.

Degas, photography nude study (E. Degas, Studio di nudo femminile, fotografia)


Sul marmo liscio quasi ghiaccio che si incrina i tuoi piedi scivolavano, ti libravi come una falena notturna e con gli occhi chiusi ti lasciavi trasportare. Le tue labbra rosse appena socchiuse lasciavano intravedere i denti bianchi e il volto era rapito dall'orgasmo musicale. Le gambe si rincorrevano tra sacadas, ganchos e paradas quasi giocavano a un gioco scandaloso nella luce soffusa della notte. Bianche, le tue cosce, si stringevano a quelle del tuo hombre mentre il bandoneon sospirava nel suo gergo sessuale.

Non ho mai osato incrociare i tuoi occhi e forse nessuno quella sera ha inteso il tuo mistero. Gli uomini che ti stringevano e sentivano la tua pelle che tremava calda quasi come un animale addormentato che sussulta, sapevano forse di tenere tra le braccia Ecate che quella sera ritornava tra i mortali? In cuor mio lo sentivo e quando di sfuggita mi guardasti capii che era vana ogni speranza che nei tuoi occhi scuri e fondi era scritta, incancellabile, ogni mia condanna.

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Dalla finestra aperta sei entrata stamattina piccola mosca, e mi ronzavi intorno. Ogni tanto ti sentivo sulle gambe o sulla testa camminare con le tue leggerissime zampette e quasi picchiettavi sui miei pensieri gravi. Oh, piccola mosca, perché hai deciso di farmi compagnia? Sarebbe stato meglio per te ronzare sui tetti e sui balconi, visitare i davanzali delle finestre che già odoravano di cibo buono. Eppure sei venuta da me e la mia malinconia non ti ha potuto perdonare. Con un vecchio giornale arrotolato ti ho colpito, ma non era abbastanza ferma la mia mano, ancora ti agitavi e sentivo disperato il tuo “bzzzz” mentre tentavi invano di volare. Come un lampo è sceso il secondo colpo, e non ti sei più mossa. Ho raccolto il tuo corpicino e con un peso sul cuore al di là del balcone l'ho gettato sulla strada. “Ho fatto ciò che andava fatto” Ma non mi davo pace.

Quando qualche ora più tardi ho visto un corpo senza vita che giaceva nella bara ho pensato a te, piccola mosca. “Come siamo simili io e te” avrei voluto dirti, e avrei voluto chiamarti sorella, assieme a tutte le creature che passano su questa terra. Eppure, forse, la tua fine fu più bella. Non verrai sigillata in una scatola per essere inghiottita dalla terra, ma ti ha accolto il giorno che risplende portata via dal vento, e senza nome, né fotografia sei adesso indistinguibile tra tutte le cose che sono e che saranno. Potessi raggiungerti così, piccola mosca, amica, sorella mia, potessi anche io smarrire il nome e le sembianze, quando sarà l'ora.

Tramonto sul mare (solitudine) Tramonto sul mare (solitudine), foto digitale. Licensed under CC BY-NC-ND vedi su Pixelfed


Se stasera fossi insieme a me, amore mio, mi sembrerebbe forse meno triste l'incedere scarlatto della sera d'estate. Ma non è solo per me che t'invoco, ignoto amore, né è gran cosa la mia malinconia, ma è per ogni pietra, per ogni ramo, che chiamo il tuo nome, e la dura terra, senza di te, non potrebbe germogliare.

Ché insieme potremmo risanare le piaghe degli alberi, tornare a far rinverdire i deserti, discoprire le ombre scure della notte, potremmo consolare i sogni inquieti degli uomini affannati, cogliere il manto grandioso delle stelle per portarlo in ogni casa, in ogni stanza afflitta dal dolore

Così sarebbe il nostro amore il riscatto di ogni tristezza, e tutto abbraccerebbe, si stenderebbe oltre i confini della terra per sanare ogni disperazione, ogni ingiustizia che si consuma sotto il sole.

Eppure non ci sei, e sembra frantumarsi il cielo adesso che sento incombere la notte, mentre in me riposano le solitudini di tutti gli uomini.

Veduta di Castrogiovanni


In questa mattina chiara che leggera risplende sui tetti di tegole ordinate spesso mi torni in mente montagna mia coi tuoi boschi verdi sui ripidi fianchi solo da un rigagnolo attraversati quasi fosse una lacrima a rigarti il viso antico che vide greci, arabi, normanni e saraceni, le variopinte facce delle genti, e i dolori e le speranze delle generazioni.

Rivedo il lago tra i canneti, fenicotteri e aironi volare, e più tristi uccelli neri a pelo d'acqua andare insieme a schiera una lenta sacra processione nella luce della sera azzurrorosa, crepuscolare. E sotto questi pini mi piaceva passeggiare, perdermi sul declivio dolce dove amavo riposarmi alla frondeggiante ombra dei rami verdi sempre come il mio cuore, quando alle spalle lasciavo le case di cemento, gli altezzosi muri e i loro spigoli sbrecciati.

Ti sentivo, montagna mia, e mi parlavi, inutilmente cercavi di placare il mio dolore che di notte strepitava, e nemmeno il bianco volo del barbagianni cacciatore mi poteva consolare. Così disperavo di ogni cosa, del pallore dei miei giorni, e di me stesso, che appartengo già alla morte, come tutti, in fin dei conti. Fossi terra almeno e mi rinvigorissi con la pioggia, potesse magari ritrovarsi il mio sempiterno stare quotidiano nella vita nuova dell'aspargo, del finocchio selvatico, del cardo, e potessi riposarmi dall'incessante andare delle orme delle scarpe dalla vuota bramosia che illude chi s'inganna di potere andar lontano.

Eppure oggi cammino su queste bianche e lisce pietre levigate, non più sulla mia cara terra, e sento la mia anima disfarsi ad ogni passo. In questa città che pur mi è tanto cara, mia Ragusa, città in discesa, sospesa sulla valle verdeggiante, tenuta ferma dai tuoi ponti, città appesa, non riesco ancora a consolarmi e piango la mia rocca alta antica e sacra, la volpe grigia che di notte si vede ancora per le strade, la campagna silenziosa e le sue stelle e il mio ricordo si disperde quasi a scomparire fino ad abitare la durezza della pietra, il rugoso tronco tortile dell'olivastro, il contegno malinconico del pino quando si staglia solitario sopra il campo, un soldato, una vedetta che scruta l'imbrunire.