Il Taccuino

È quest'inaspettato sole marzolino che rischiara i pennacchi dei cavalli, i tendoni della fiera, i visi dei bambini che guardano i palloni appesi al filo. Il leggero vento della domenica mattina sfiora le brunite facce dei paesani, nei vestiti buoni della festa, le gote rosse delle adolescenti che guardano i fantini sfilare per le strade. Assomigliano per fierezza ai paladini di Re Carlo, portano la maestà degli antichi cavalieri ma lo sguardo è quello di chi guarda la terra e la chiama terra: contadini, pescatori, carpentieri, eppure in quel momento sacro sembrano soldati delle schiere d'Alessandro, e le ragazze innamorate hanno in sé la grazia di Ginevra, la passione di Clorinda, il doloroso desiderio di Francesca, e cos'hanno di diverso dai versi del Poeta, quei sospiri d'amore che esalano dalle bocche rosse, fatte per giovani baci appassionati all'ombra dei vicoli alla sera? Conoscono forse solo la casa, il cucinino, le voci delle madri, e certo non meditano sul tempo in cui ci obliamo, su questa vorticosa vita che ci spegne, piano piano, non leggono gli aforismi dei francesi, la filosofia e i suoi garbugli, i versi ruffiani dei poeti. Eppur rispetto a me conoscono la vita, non il suo pallido riflesso, quest'inganno che evoco ogni giorno e che disprezzo. Invidio i sospiri, i loro amori adolescenti, che sempre mi furono negati per eccesso di poesia, forse, per difetto di salute, per via di un animo vecchio troppo presto, e che me ne faccio io delle vette del pensiero umano se è dagli uomini che mi sento più lontano? Guardo i giovani cavalieri e le dame e vorrei per una volta sola esser come loro, inconsapevole pedina della vita che non conosce il gioco.


cavalcataPhotocredit to R. Manfredi

Il rosso velluto della poltrona mi separava dal tuo respiro, e un'odorosa nube di capelli ricci. Il bulbo dell'occhio, torcendosi, ti cercava e carezzava il tuo profilo, appena acceso in una linea curva, sottile – il filo di Lachesi che si svolgeva per la mia e l'altrui vita - Come da un distante sogno, voci giungevano, di uomini, che non comprendo. Ma qualcun altro respirava per te e cercava la tua mano, nella tenerezza del tuo calore quasi animale chiudeva le illanguidite palpebre, rese gravi da quell'oscura tenerezza che mi respinge, che m'apparecchia nient'altro che un bianco talamo vuoto, con le lenzuola sfatte, compagno delle mie notti eterne e ineluttabili, i miei destini segreti d'insensata solitudine.


Sappho_Mengin C. Mengin – Sappho (1877)

Vorrei poterti amare del più giusto amore, del più smisurato amore e lasciare che mai siano sazi i miei occhi di guardarti. Questa mia disperata fuga dal minaccioso tempo che tiene traccia dei respiri, dello sbattere svogliato delle palpebre che ci marca a vista come un secondino - questo detestato tempo sarebbe forse meno doloroso da attraversare se non fossero vuote le mie mani. Da te, tuttavia, fuggirò. perché è più per paura che per amore che ti amo, e queste mie parole occultano il malcelato inganno di cui m'inganno io stesso: t'amo per potermi, ancora un poco, amare. Per questo m'inoltrerò nel gorgo: che una nuova ingiustizia non ferisca una volta ancora il mondo, né mai ti giunga l'eco di questa stonatura di questo scuro e grave risuonare di bordone. Sia per te solo l'armonia delle mille voci che si rincorrono in quest'assurdo contrappunto su un tema che non risolve.


munch_amantiE. Munch – Amanti (collezione privata)

È bastata un frase, una piccola quotidiana cattiveria di chi non so chi, per farmi vacillare ancora una volta, per chiedermi se davvero esiste la salvezza, se la nostra vita altro non è che un'assurda insensata esistenza, e noi soltanto siamo burattini nelle mani degli dei, e qualcosa sarebbe ancora essere legno almeno, piuttosto che vagare come ombre, come pulviscoli. A tutto ciò penso mentre ti guardo, e mi chiedo con che luce ti rimirano i miei occhi: è forse la pena che provo per me stesso che mi spinge a cercarti? M'appare appannata la sera che s'appresta, e mi perdo tra scale e vicoletti. E tu dove sei? Dove ti sospinge la corrente? Cosa ne è di te quando, di notte, ogni luce è spenta? Chissà com'è il tuo viso mentre dormi, e vorrei proprio saperlo come sei, quando non ti giunge il mio pensiero. Vai forse per le strade con il passo sicuro alla luce del sole? Oppure ogni passo è un grandioso sforzo, un tentativo d'illusione, l'autoconvinzione di esistere, nonostante tutto. Non trovo risposta a nessuna domanda. Solo, da questi vetri scuriti dalle impronte delle mani, rimiro un angolo retto formato dai tetti delle case che si stagliano contro il cielo, e le persiane mi ricordano le sbarre di una cella e mi avvoltolo sulla sedia, quasi come per difendermi da questa guerra disumana che è la vita.


maphorionA. Arrivabene, Studio per Maphorion I, Tempera su lino

Un tarlo lento lento picchietta sulla fronte rosicchia piano piano sopra l'occhio e rode proprio come roderebbe un tarlo che sa il fatto suo. Ogni morsetto di quel tarlo mi ricorda la pena che è la vita. S'allarga il buco ad ogni morso fino a mostrare il molle del cervello, questa cosa inutile, incapace persino di fermare anche solo un piccolo tarlo, una condanna, così minuscola, così atroce.


the_headache

(Venuta la superbia viene anche l'infamia / ma la saggezza è con gli umili)

Avrei tanto voluto guardare il mondo dalla vostra altezza, senza dover chinar lo sguardo, reclinare il collo, e accontentarmi dell'orizzonte che disegna i confini della terra, segna il limite delle colline verdi e quotidiane, il biancogrigio delle pietre e l'azzurro quasi timido del cielo. Meglio sarebbe stato strisciare sulle foglie e in mezzo ai sassi come i vermi, accontentarmi dell'odore del terriccio, del rinvigorente muschio, e non aspirare ad altro, se non all'eterno ritorno di tutto ciò che è eterno. Tuttavia non scorre brezza nel mio sangue, ma tempesta. Nessuna mia parola può giungere a voi che m'ascoltate, ché essa si leva in alto, superba sopra le montagne, custodi immoti del giorno e della notte, e rigonfia il cielo di nembi di burrasca, rovescia su di voi le ardenti piogge di quest'ira sconfinata che mi distrugge e mi consuma. Se vi guardo mi apparite come comiche formiche e solo basterebbe un passo per schiacciarvi, ridendo in cuore di questa tremenda mia albagìa che mi condanna a esser ripa, roccia, scogliera, tormentata dalle onde, ma sempre fiera con lo sguardo fisso a sfidare l'orizzonte. Eppure m'atterrisce la notte che m'aspetta, quest'oscurità che mi abbraccia come un manto, questo infinito, terribile silenzio. Nessuno potrà mai trovarsi insieme a me quando questa pur odiata terra sotto di me spalancherà le crepe delle rocce. Mi vedrete forse accasciarmi, come un elefante vinto dalle lance e cosa sarà di me se non la carcassa di un gigante, una maestosa solitudine senza vita?


agostinoarrivabene_hybris (A. Arrivabene, Hybris, 2021, olio su lino 150 x 120 cm)

Presenze

Presenze, foto digitale. Licensed under CC BY-NC-ND vedi su Pixelfed


Aspetterò un altro inverno per amarti quando meno ferma la mia mano scorrerà sulla parete e la memoria delle cose a me più care, già sbiadite, offuscherà ogni mio risveglio. Con gli occhi cercherò il tuo sguardo e il tuo respiro, come un fresco alito sul volto, il tuo nome chiamerò tra le consunte cose ma la mia voce, come di fantasma risuonerà dalla terra, un bisbiglio tra la polvere. Attenderò ogni giorno quell'inverno, dovessi pure consumare la mia vita e il tempo, quest'inganno, che ci separa.

arrivabene_heccehomo

(A. Arrivabene, ecce-homo, olio su tavola. 41 x 37 cm, 2019)


Nella compassione ho intuito il seme dell'infelicità -

soffrire è volervi amare al di sopra delle mie possibilità.

Trinità di Andrej Rublev A. Rublev, Trinità


Per tutti i miei giorni ho vagato cercando il tuo amore. Ovunque ho guardato: sui fili d'erba e dietro le stelle, nel muto contegno dei sassi, e mai l'ho trovato. Solo starò sulla terra fino all'ultimo giorno, solo sarò trafitto dai raggi dell'ultimo bagliore del sole. Tante volte ho cercato il tuo amore. Forse è nella solitudine eterna di ogni uomo che muore.

Joan Semmel, Study for Night Light 1978, oil crayon on gray paper J. Semmel, Study for Night Light, 1978, pastello a olio su carta grigia.


Tu non sei una statua d'alabastro né di marmo levigato ma i minuscoli solchi dei tuoi anni porti come lastra d'acquaforte, essi sul tuo corpo disegnano ogni forma: ecco una driade, una ninfa, un'odalisca, la Maddalena ai piedi della croce.

Potessi baciare invece i tuoi, le caviglie, le ginocchia, sfiorare con le dita quasi fossero pennelli l'interno molle delle cosce, e discoprire il fiore che tante volte dischiudesti, l'acre odore che m'inebria, assaporare il tuo mistero, prosciugarti goccia a goccia.

Se ti confessassi ciò adesso fuggiresti, terrò dunque solo mio questo segreto. Animo mio inquieto, va da lei stanotte, non svegliarla, adagiati tra i seni, sia per lei questa passione che non si consuma. Per questa unica notte sola. L'unico amore possibile è quello che non esiste ancora.