Kenobit

Pensieri sovversivi in bassa risoluzione

Ho scritto questi paragrafi qualche mese fa, prima di iniziare la zine sul Fediverso che spero di pubblicare presto. Avevo scartato queste parole, perché ho finito con l'affrontare gli stessi concetti in altri punti del testo, ma oggi colgo l'occasione per pubblicarle qui sul blog. In questi giorni, mentre osserviamo su Instagram una vera e propria censura sui post sulla Palestina, il discorso sulla complessità mi sembra più che mai attuale. Dobbiamo affrontarlo, altrimenti cadremo sempre tra le braccia del “male minore”.

A dirla tutta, il Fediverso non è per niente complicato. Avete mai usato l'email? Concepite il fatto che una mail con dominio “virgilio.it” possa comunicare agevolmente con una mail con dominio “hotmail.com”? Ecco, la mail è una realtà federata e viene usata senza problemi in tutto il mondo, più o meno dall'avvento di internet. Un dominio email è come un'istanza di Mastodon, a livello funzionale. Non a caso, i nickname di Mastodon sono nomeutente@nomeistanza!

Potremmo parlare di come una realtà invasiva come Google abbia reso l'email più simile a un servizio centralizzato, ma questo è un altro discorso. Il fatto è che il concetto di federazione non è astruso e fa già parte della nostra vita di tutti i giorni.

Ma torniamo alla complessità. Rivendichiamola! Perché sì, Mastodon è senza dubbio più “complicato” di Facebook, Twitter, Instagram, TikTok e affini, e c'è un motivo valido. I social commerciali vivono di pubblicità e dati personali, e sono progettati espressamente per attirare il maggior numero possibile di utenti. Dietro alla loro estrema semplicità si nasconde un sistema straordinariamente complicato, quello degli algoritmi che decidono quali contenuti ricevono più visibilità. Questa apparente intuitività è l'equivalente informatico di un pilota automatico: è innegabilmente comodo, ma usarlo è un atto di fede.

Il Fediverso funziona in modo trasparente e prevede che l'utenza faccia un piccolo sforzo per capirne i meccanismi. Se i social occupano una parte così centrale della nostra vita quotidiana, essere consapevoli di come si muovono i loro ingranaggi è più che mai importante, in primis per la nostra sicurezza. Tornando alla metafora automobilistica, sapere come funzionano il cambio e il volante ci permette di andare esattamente dove vogliamo, senza bisogno di un insondabile pilota automatico. Non serve essere meccanici per guidare una Panda, così come non serve essere hacker per godersi tutto ciò che il Fediverso ha da offrire.

Riprendere in mano il volante è cruciale anche per avere voce in capitolo sulla direzione in cui stiamo andando. Negli ultimi dieci anni avete notato un progressivo deterioramento della qualità delle nostre interazioni online? Ricordate con affetto la profondità dei blog e vedete nei balletti di TikTok il sintomo di un tragico impoverimento culturale? Quando si fanno questi discorsi, spesso si arriva alla conclusione che la gente sia stupida e che il peggioramento sia inevitabile. La trovo una spiegazione errata, pigra e financo presuntuosa.

Le piattaforme non sono neutrali e il modo in cui sono progettate determina i confini dell'uso che ne facciamo. La deriva sociale e culturale di cui sopra è il prodotto di un sistema che ci vuole consumatori, interessato solo ai nostri bulbi oculari e alla loro capacità di vedere prodotti invitanti da comprare. Non è un caso se l'evoluzione dei social commerciali punta sempre più su pillole di contenuti da 15 secondi, da consumare bulimicamente una dopo l'altra, passivamente, fino a che il confine tra content e pubblicità non si fa labile. Se lo scopo di un social è venderci vestiti e gadget, è ovvio che non sarà il luogo più adatto per la nostra crescita personale. Se lo spazio in cui ci incontriamo e ci confrontiamo è un chiassoso centro commerciale, è inevitabile che la sostanza ceda il passo all'apparenza.

Liquidare i problemi dei social dicendo che la gente è stupida è un puntare il dito verso il basso, ignorando la vera fonte del problema e facendola passare liscia a chi, trattandoci come prodotti, ha impoverito la discussione online, allontanandoci.

Rimuovendo la pubblicità dall'equazione, il Fediverso mette al centro la socialità, il confronto, le sfumature. Usarlo e diffonderlo è molto più potente che lamentarsi della povertà dell'ultimo trend dei reel di Instagram. Ci permette di remare in direzione opposta alla deriva culturale, rimettendo a fuoco le cose più importanti e coltivando uno spazio collettivo dove “la gente” possa arricchirsi, crescere e interagire in modi significativi. Seminiamo voglia di fare cose insieme!

Il prezzo da pagare è accettare un pizzico di complessità e vederla come un'occasione, invece che come un'ostacolo. Se vi sfugge qualche dettaglio del Fediverso, chiedete. Il bello di Mastodon, Pleroma e affini è che sono pieni di persone che sono già passate da quel momentaneo disorientamento e saranno felici di aiutarvi. Vedetela come la prima quest che vi viene assegnata nel Livello Segreto.

Ciao! Sono Kenobit. Suono il Game Boy, organizzo cose nell'underground e sono uno dei fondatori di Livello Segreto. Questo è il mio blog, dove raccoglierò pensieri e idee per immaginare il futuro.
I primi post riguarderanno una zine/rivistina che sto scrivendo con l'obiettivo di promuovere il Fediverso, rivolgendomi a chi ancora non ha messo a fuoco il problema delle piattaforme commerciali. Questa sarà l'introduzione. Fatemi sapere cosa ne pensate!

Abbiamo un problema.

I social network hanno assunto un'importanza cruciale nelle nostre vite, pervadendone quasi ogni aspetto. Li usiamo per comunicare, informarci, svagarci e spesso anche per lavorare o promuovere le nostre attività. Eppure, nonostante il ruolo centrale che rivestono, sono in mano a una manciata di aziende private che li utilizzano per aumentare i loro profitti.

In barba alla promessa della parola “social”, realtà come Instagram, TikTok, Facebook e Twitter non sono ottimizzate per farci socializzare. Gli algoritmi che determinano quali post appaiono con più frequenza nei nostri feed sono progettati ad arte per aumentare il tempo che dedichiamo alle piattaforme, e di conseguenza la quantità di pubblicità che possiamo assorbire con i nostri bulbi oculari. Non hanno come obiettivo il nostro arricchimento personale, né tantomeno la crescita di una rete di persone unite e solidali.

Gli stessi algoritmi imparano a conoscerci, accumulando immani quantità di dati sulle nostre vite personali, per proporci contenuti mirati e soprattutto per consentire agli inserzionisti di creare campagne pubblicitarie precise come laser, in grado di sfruttare le nostre debolezze per venderci prodotti, trend e idee.

Questi fenomeni hanno visto una vertiginosa accelerazione nel periodo pandemico, durante il quale il baricentro delle nostre vite si è ulteriormente spostato verso la dimensione online. Avete per caso avuto la sensazione che la gente si sia incattivita? Che le conversazioni costruttive abbiano lasciato spazio a inutili litigi? Che la società si sia polarizzata al punto da non riuscire più a confrontarsi, dando vita a un popolo diviso in fazioni che ricordano le tifoserie calcistiche?

C'è un motivo. L'algoritmo privilegia i contenuti divisivi, perché i battibecchi online aumentano a dismisura l'engagement e le interazioni con i post. I litigi portano commenti, insulti e condivisioni, fino a innescare un circolo vizioso per il quale trascorriamo sempre più tempo sulle app, dove siamo per giunta più vulnerabili ai loro meccanismi (studiati e affinati costantemente per sfruttare leve psicologiche e dinamiche in tutto e per tutto sovrapponibili a quelle delle tossicodipendenze).

Tutto questo non è complottismo. Lo sappiamo con certezza grazie ai “Facebook papers”, un leak comprensivo di decine di migliaia di documenti ad opera di Frances Haugen, ex product manager e data engineer per Facebook. I grandi nomi dei social media commerciali sanno perfettamente che stanno danneggiando la società, ma il loro business è la vendita di pubblicità, quindi fanno smaccatamente finta di niente e vanno avanti per la loro strada.

Non siamo diventatǝ più stupidǝ o più cattivǝ. Semplicemente, i nostri luoghi di incontro, un tempo pubblici e liberi, sono diventati privati. Se una volta ci trovavamo in piazza, ora ci riuniamo in un enorme centro commerciale, nel quale ironicamente siamo noi stessǝ ad allestire le vetrine con i nostri contenuti. Siamo una forza lavoro ignara e non pagata, costretta a mendicare umanità in un luogo progettato per estrarre valore dal nostro desiderio di socialità.

La collettività diventa così una galassia iperindividualizzata e competitiva, nella quale sempre più persone si sentono sole, insoddisfatte e inadeguate.

È una prospettiva demoralizzante, ma l'obiettivo di questa zine è guardare oltre, verso un futuro che ci appartiene. Ci riprenderemo internet, insieme, anche se al momento sembra impossibile. Abbiamo già gli strumenti per farlo, dobbiamo solo iniziare a usarli. Scopriamoli insieme e ribelliamoci al feudalesimo digitale.