STRATEGIE PER LA DIFESA DEL TEMPO DA INSTAGRAM

In un recente post ho parlato dei motivi per cui ho deciso di continuare a usare Instagram per comunicare i miei progetti. È una scelta sofferta, perché è un luogo che mi intristisce e mi fa sentire un prodotto, ma sono convinto che in questo momento sia quella giusta per i miei scopi.

Affinché lo sia realmente, però, è cruciale che ridefinisca il rapporto che ho con il social. Cosa gli do? Quanto e quando? E soprattutto, cosa ricevo in cambio?

Se ci poniamo queste domande e osserviamo freddamente le risposte, senza lasciarci intortare dalle bugie che le condiscono, emerge un chiaro rapporto di potere tra noi e la piattaforma. Quando diciamo che “Instagram ci serve per lavoro”, stiamo già usando la parola chiave giusta: LAVORO. Ed è proprio il concetto di lavoro che dobbiamo mettere a fuoco, per riprendere le redini di ciò che facciamo e non diventare vittime di uno sfacciato furto di tempo.

Questo post contiene le strategie di guerriglia social che ho elaborato in questo periodo. Posso ottenere ciò che voglio dalla piattaforma senza cadere nella sua trappola? Scopriamolo insieme.

Spesso si sente dire che Instagram (o qualsiasi altro social) ci “serve per lavoro”, ma è la prima affermazione che dobbiamo smontare e analizzare, per evadere dalla gabbia.

INSTAGRAM È LAVORO Che lo usiate per promuovere un progetto, per condividere le foto delle vacanze o anche solo per guardare reel di gattini e ricette vegane in coda alle poste, Instagram è lavoro. Lavoro non pagato, per essere precisi.

Il business di Meta è vendere spazi pubblicitari e dati personali. Guardando un contenuto, stiamo producendo valore per Meta, diventando un target vendibile ai suoi inserzionisti. Mettendo un like, stiamo creando dati che vanno a definire profili di gusto e consumo. E infine, creando contenuti, allestiamo la vetrina, garantendo la continuità di questa linea produttiva. Come si dice quando ci rechiamo in un luogo specifico a svolgere attività che creano ricchezza per un ente terzo?

A prescindere dal fatto che ci serva effettivamente “per lavoro”, Instagram è lavoro, in misura variabile, per tutte le persone che abitano la piattaforma. In quest'ottica, cito un passaggio da Cronofagia di Davide Mazzocco:

Lavoriamo per Mark Zuckerberg con la stessa passione che riserviamo ai nostri hobby, ma con una continuità assolutamente inedita nella storia dell’umanità. Alla mattina appena svegli, nel corso della giornata, nelle pause fra un lavoro e l’altro, sulla metropolitana e sul treno che ci riportano a casa, sul divano quando ci rilassiamo, in cucina mentre aspettiamo che l’acqua bolla, nel letto prima di spegnere la luce controlliamo se abbiamo ricevuto nuove notifiche, se qualcuno ha apprezzato un nostro status o se qualcuno ci ha contattati privatamente. Siamo i nodi di un reticolo di due miliardi e 270 milioni di persone, mittenti e destinatari di messaggi pubblici e privati che alimentano un gigantesco Leviatano che si nutre di dati.

Una volta riconosciuta questa dinamica, diventa evidente anche che Instagram, inteso proprio come app sui nostri smartphone, è un luogo di lavoro. E quando lo apriamo per guardare una notifica alle 23:30, è come se stessimo andando in ufficio, o rispondessimo a una mail inviata fuori orario da quel capo che non rispetta i confini delle nostre vite private.

Ci portiamo in tasca un luogo di lavoro che si insinua nei tempi morti delle nostre giornate. Se vogliamo ridefinire il nostro rapporto con Instagram, dobbiamo cominciare proprio dall'app.

INSTAGRAM SU DESKTOP Realizzata la portata della fregatura, la mia prima idea è stata quella di rimuovere l'app dallo smartphone e usare Instagram solo da computer. Facile, no? Purtroppo no.

L'esperienza desktop di Instagram non è completa. Permette di pubblicare post, ma non storie. Supporta i messaggi privati, ma per vedere quelli che contengono alcuni tipi di foto è necessario aprire l'app. Inoltre, semplicemente, funziona male. Le notifiche desktop perdono pezzi e leggere tutti i commenti è impossibile.

Vogliamo davvero credere che Meta, un'azienda con una capitalizzazione di mercato che ha recentemente superato il trilione di dollari, non abbia il budget per rifinire l'esperienza web del suo prodotto di punta? Manca la volontà, perché queste limitazioni sono funzionali al business. Instagram non sarebbe redditizio, senza il nostro lavoro a titolo gratuito.

Il luogo di lavoro è progettato per seguirci, per ottimizzare il nostro output produttivo. A Instagram non interessa se sei una scrittrice, uno streamer, una fumettista o un cuoco.

Ciò che fai è secondario.

Devi usare l'app.

Devi averla in tasca, per guardare un reel in coda alla cassa del supermercato, per controllare se ci sono nuovi commenti mentre aspetti il cappuccino al bar, per elemosinare una dose di dopamina quando la conversazione a tavola diventa noiosa. Questo è il business di Meta e questa è la natura del lavoro che svolgiamo per lui.

Quando l'ho realizzato, mi sono sentito vittima di un ricatto. Vuoi comunicare in maniera efficace i tuoi progetti, sfruttando le potenzialità promesse dalla piattaforma? Allora devi lasciare entrare il cavallo di Troia. L'app mobile è un luogo di lavoro travestito da parco giochi, una sanguisuga che ci ruba la nostra risorsa più preziosa, il tempo.

Riprenderci il nostro tempo, a prescindere dal potere liberatorio del farlo, è anche il modo più concreto per raggiungere i nostri obiettivi. Quanti dischi avrei scritto, nel tempo che ho investito scrollando il feed come uno zombie? Che idee mi sarebbero venute?

TATTICHE DI GUERRIGLIA Alla luce di tutte queste considerazioni, ecco le tattiche che ho ideato e messo in pratica, ispirandomi al concetto di guerriglia.

La disparità di potere tra noi e la piattaforma è immensa. Non possiamo competere con le sue risorse e siamo costrettǝ a combattere nel suo territorio, dove ha il pieno controllo delle regole di ingaggio. Non vinceremo mai una guerra di logoramento. Non c'è possibilità di riforma perché non è un dialogo alla pari.

L'unica possibilità è concentrare i nostri sforzi in azioni mirate, attacchi mordi e fuggi pianificati per ottenere un risultato, per poi sparire come ninja nel fumo.

Instagram è un luogo di lavoro, quindi trattiamolo come tale. E non so voi, ma io voglio lavorare il meno possibile e dedicare la mia vita alle cose che mi rendono felice. Cominciamo.

Ho disinstallato Instagram dal mio telefono e l'ho installato su un vecchio smartphone scassato che ho riesumato. Se da un lato è vero che l'app è fondamentale per curare a dovere la comunicazione, lo è anche che non siamo obbligati a portarcela sempre dietro. Ho un vecchio smartphone con lo schermo crepato, senza SIM, attaccato alla rete wifi di casa mia. Se uso Instagram, lo uso lì. Ha tutto quello che serve per farne un uso efficace in termini di comunicazione. Non solo mi tutela dai furti di tempo, ma mi permette di collocare il lavoro che svolgo entro un preciso confine spaziotemporale. Il lavoro che faccio su Instagram inizia e finisce, e lo ottimizzo per sbrigarmi il prima possibile. Prendere in mano quel vecchio cellulare è come indossare la giacca e andare in ufficio. Quando lo metto giù, sono libero. Non avere Instagram mentre sono in giro, nel mondo reale, è bellissimo.

Ho identificato le cose da fare per gestire in maniera efficiente il mio account, per poi quantificare le ore necessarie per farlo. Devo pubblicare un tot di storie, fare circa un post a settimana, rispondere ai commenti, commentare sotto i post di account affini al mio e rispondere ai messaggi privati. A tutto questo, chiaramente, si aggiunge il tempo necessario per creare i contenuti che pubblico, dall'ideazione alla realizzazione su Photoshop e affini. Nel mio caso, si parla di circa quattro ore a settimana.

Concentro le ore di lavoro in momenti dedicati e circoscritti. Prendo il vecchio cellulare, “vado in ufficio”, mi concentro e lavoro per un'ora, solitamente prima di pranzo. Posto, commento, interagisco. Terminata l'ora, la mia giornata lavorativa su Instagram si è conclusa. Non esiste messaggio o commento così urgente da non poter attendere dodici ore. Rimetto lo smartphone nel cassetto e ne riparliamo domani. Quando “esco dall'ufficio”, posso effettivamente dedicarmi alle cose che voglio fare. Quattro sessioni infrasettimanali da un'ora l'una sono sufficienti.

A Instagram non regalo niente. Il content, per definizione, è effimero. La pubblicità e il mercato dell'attenzione esigono sempre carne fresca, da scagliare verso l'obsolescenza algoritmica nell'arco di 48 ore. Ha senso lavorare tanto a un post, sapendo che tra un mese sarà storia antica, invisibile ai più? E soprattutto, la voracità della piattaforma non finisce per plasmare ciò che facciamo, limitandone la portata? Pianificare e concentrare i miei sforzi mi obbliga a ragionare in maniera lucida su questo tema. Le mie storie contengono pensieri fatti altrove e i miei post sono concepiti per essere utilizzati anche in altri contesti (il Fediverso, le zine, i post di questo blog, etc.). Non faccio “content”, faccio cose che trovo significative a prescindere, per poi prestarle alla piattaforma. Instagram è uno sprecone. Io invece tengo alle cose che faccio e non le affido in toto a chi le butterà nell'umido.

RISULTATI La promessa di questo anno di assalto alle piattaforme è documentare i risultati, oltre alle pratiche. Quindi, alla fine di questo primo mese, possiamo tirare le prime somme.

Partiamo da un risultato che non si misura con i numeri: la felicità. Non avere Instagram perennemente in tasca mi ha fatto stare istantaneamente meglio. Finché non te ne liberi, non capisci realmente quanto potere avesse sulla tua vita, specie facendo il “content creator”. Giuro, funziona.

A livello numerico, il mio account ha guadagnato più di 500 follower (numero irrilevante per un grande account, ma significativo per uno posizionato come il mio) e ha visto un incremento del 34% degli account che hanno interagito. Molte di queste interazioni si sono rivelate significative e hanno portato pubblico ed energie verso i progetti che voglio promuovere. Incredibile: lavorando di meno, ma in modo più mirato, ho ottenuto di più.

A livello creativo, non c'è paragone. Dall'inizio dell'anno, ho pubblicato quattro lunghi post di analisi su questo blog, un disco, 4 video sulla mia Videoteca (che saranno 6 ora della fine del mese), ho curato altrettante trasmissioni dal vivo, ho prodotto asset grafici per l'identità delle piattaforme di Tele Kenobit (Owncast, Peertube, Castopod), ho contribuito al lancio di Stereo (dove ho caricato in prima persona 24 album e 3 podcast), ho portato avanti con Nick il progetto dello Scanlendario e delle sue stampe, ho ristampato le vecchie maglie Kenobit e ho stampato quelle nuove, con la grafica di Ratematica. Nel mentre, ho portato avanti “Il manuale delle giovani marmottǝ”, la zine che racconta tutto il progetto, che dovrei pubblicare a metà febbraio. Ah, ho anche lavorato con il collettivo Warpo per le date di Zona Warpa 2024 (sarà bellissimo!), portato avanti un progetto con i Cybercirujas in Argentina e organizzato un concerto.

Odio la parola produttivo, quindi non la userò. È stato un mese fertile, nel quale ho fatto tante cose di cui vado fiero. A parità di sforzi, ho raggiunto più persone e mi sono divertito di più.

La guerriglia social funziona. Se anche Instagram è un terreno con il quale dobbiamo misurarci per raggiungere i nostri obiettivi, nulla ci obbliga a sottometterci alle sue dinamiche predatorie. La libertà è una scelta vincente.