Il coniglio fantasioso: Come e perchè la cultura pop fa parte della narrazione complottista (Storia vera)
ATTENZIONE, PER FAVORE: Le parole che state per leggere sono riprese in parte dalla mia tesi di laurea e in parte sono create ex novo per permettere una lettura più facile della stessa. L’idea di questa condivisione nasce da una necessità personale. Non sono stata consigliata da nessuno (anzi, c’è chi mi ha consigliato di tenermi le cose per me) e la mia tesi, consegnata mesi fa, non può essere consultata, ma mi appartiene comunque e posso curarla e condividerla come preferisco. I motivi della non condivisione nell’archivio delle tesi della mia università nasce da una necessità di “protezione”, non solo personale ma anche di terze parti (persone e organizzazioni) che qui saranno prontamente rimosse. Nella condivisione cercherò di essere più neutrale possibile e se verranno condivisi aneddoti o idee personali, il lettore verrà prontamente avvisato.
Se non hai letto l’introduzione, eccola qui: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/il-coniglio-pauroso-introduzione-storia-vera
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Esiste un meccanismo in narrativa, che permette a ogni lettore/spettatore di godere al meglio del mondo che si trova ad esplorare quando inizia un racconto di fantasia: si chiama “sospensione dell’incredulità”. E’ un patto che si instaura tra il fruitore di una storia e l’autore della stessa: il mondo proposto potrà essere il più assurdo, il più incredibile, il più illogico… ma se avrà una sua coerenza interna, il fruitore ci crederà e lo accetterà, per godersi al meglio la storia (Un articolo sull’argomento: https://www.illibraio.it/news/storie/sospensione-di-incredulita-1425969/ ) Non è solo con gli autori di fantasia che si può instaurare un patto del genere. Tale silenzioso accordo è parte integrante dell’universo delle teorie del complotto, che usano la cultura popolare come uno strumento sia per spiegare le proprie teorie, sia per dimostrarne la verità. L’uso dei testi narrativi come spiegazione di “verità assolute” è radicato nella storia umana (pensate solo alla mitologia che cercava di spiegare in modo razionale fenomeni naturali quando la scienza ancora non esisteva, o alle favole e fiabe che servivano a spiegare ai bambini come rapportarsi con i pericoli e le paure dei tempi), e il complottismo non è stato da meno. Ad esempio il libro denominato “I protocolli dei Savi di Sion”, il testo di maggior rilievo per tutte le teorie del complotto moderne, in alcuni casi riprende parola per parola due romanzi di fantasia; per la precisione: quello a tema satirico di Maurice Joly “Dialoghi all’inferno tra Macchiavelli e Montesquieu” (volto a criticare Napoleone III) e il romanzo “Biarritz” dello scrittore tedesco Hermann Goedsche. Entrambi i lavori sono usciti tra il 1864 e il 1868, ben prima che “I protocolli dei Savi di Sion” vedessero la luce. Questo libro, che non ha neanche un autore ufficiale (cosa che ne garantisce così una diffusione capillare vista la mancanza di diritti d’autore) ha ispirato tutte le principali teorie del complotto del novecento e del nuovo millennio, ispirando poi atti particolarmente efferati (come la “soluzione finale” di Adolf Hitler o come l’attentato di Andres Breivik (ispirato dalla teoria del complotto dell’Euroarabia) del 22 luglio del 2011 in Norvegia dove si contarono 77 vittime. Ma perché le teorie del complotto si affidano ad opere di fantasia? I motivi sono molteplici e no, non dipende solo dal fatto che le teorie stesse sono “fantasiose”. Quello semmai è l’ultimo gradino. Il primo gradino è il più importante: la fruibilità. Le opere di fantasia, salvo rarissime eccezzioni, sono altamente fruibili. Ovviamente, la fruibilità dell’opera cambia in base al tempo storico, al luogo, alla cultura e al target di riferimento dell’autore. Ad oggi, probabilmente, “After” è comunque più fruibile dei “Fratelli Karamazov”. Tuttavia, la scrittura non è il solo medium di diffusione per un’opera di fantasia. Ci sono anche fumetti, videogiochi, film…. Questi ultimi in particolare sono il mezzo più fruibile, grazie al perfetto incrocio di elementi visivi e uditivi/testuale per la composizione delle storie. Nella mitologia complottista, per sfuggire alla censura dilagante dei “poteri forti”, la narrativa è il mezzo migliore per “aprire gli occhi”, una metafora della realtà resa appositamente più fruibile ai lettori e difficile da individuare per i censori. Qualsiasi storia può diventare fonte di ispirazione per spiegare in modo semplice una teoria del complotto e comprovarne la sua esistenza. Vi nomino tre opere fittizie che sono molto riutilizzate nel contesto delle teorie del complotto:
- 1984, romanzo di George Orwell
- Matrix, film del 1999 girato dalle sorelle Larry e Lilly Wachowski (allora Andy e Larry Wachowski)
- Essi vivono (They Live), film del 1988 di John Carpenter
“1984” è considerato il capostipite della letteratura distopica (In verità sono stati diversi i romanzi pubblicati prima di “1984” che avevano come base narrativa una società distopica, a partire da “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift pubblicato nel 1726, “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley pubblicato nel 1932 e “La fattoria degli animali” dello stesso Orwell ma pubblicato nel 1945. Tuttavia, “1984” è riuscito a guadagnarsi il titolo di “archetipo narrativo” del genere e tutte le opere successive allo stesso ne riprendono, tematiche, risvolti, stilistica e molto altro). Pubblicato nel 1949, racconta di un mondo diviso in blocchi di nazioni tra loro in guerra e di un popolo schiacciato da un’inquietante e invisibile figura chiamata “Grande fratello”. La tecnologia non è al servizio del popolo, ma è strumento di controllo e coercizione, grazie a messaggi propagandistici con cui gli abitanti del paese sono costantemente bombardati. Inoltre, lo stato di guerra perpetuo garantisce al potere la possibilità di agire indisturbato con la scusa di volere il bene della popolazione. Il controllo è così totale che anche la storia viene riscritta, tanto che il protagonista Wiston Smith si vede costretto a tenere nascosta una foto della vecchia Londra, pre-Grande Fratello, poiché solo l’esistenza della stessa mette a rischio la sua vita. Il controllo è ferreo e si estende fino alle vite personali degli individui, tanto che dichiararsi amore diventa l’atto di ribellione più importante. Molto di quello che racconta questo romanzo lo possiamo ritrovare nella nostra società, i cui contorni possono sovrapporsi alla tremenda politica distopica del Grande Fratello. In particolare, il rapporto di dipendenza con la tecnologia ancora oggi in mano a pochi soggetti e finalizzata alla raccolta dei dati personali degli utenti. Queste somiglianze forniscono ai complottisti un grande terreno per poter paragonare qualunque decisione (e il lockdown pandemico è stato solo una delle tante) a una forma di controllo o schiavitù da parte dei governi. Il romanzo viene anche utilizzato come spauracchio rappresentante un governo mondiale di stampo socialista, contrastando così qualsiasi dibattito proposto dall’ala sinistra o anche solo più liberale della politica: la richiesta di pronomi diversi o dell’inserimento degli insulti di stampo omofobo come reato? Ecco la neolingua di “1984”. Il tracciamento dei pagamenti con utilizzo del contante per contrastare l’evasione dalle tasse? Proprio come in “1984”, una forma di controllo. Un modo per togliere i soldi ai cittadini quando meno se lo aspettano. Poi ci sono i social, probabilmente il metodo di controllo più vicino a quello che è l’universo di 1984; tuttavia, per la diffusione delle teorie e della consapevolezza gli stessi sono utilissimi, quindi guai a toccarli, soprattutto se tenuti da “geni” quali Elon Musk, mentre magari “l’ebreo” Mark Zuckerberg va evitato. Curiosamente le tecniche di proselitismo del complottismo riprendono molto le tattiche propagandistiche del Grande Fratello: ripetizione continua e costante degli stessi concetti che da anni fanno parte della narrativa. Se “1984” parte dal lato razionale e politico, “Matrix” è invece l’opera che meglio accompagna le narrazioni conspiritualiste (di cui vi racconterò nel prossimo capitolo dedicato al rapporto con la psiche). “Matrix” racconta di un uomo, Thomas Anderson, nome in codice da hacker Neo, che si scopre come il prescelto per portare l’umanità fuori dalla “Matrice”, una realtà fittizia creata dalle macchine che, dopo un periodo di schiavitù sotto gli umani, si sono ribellate e hanno trasformato gli stessi in fonte di nutrimento. Il “risveglio” di Neo avviene attraverso l’ingestione di una pillola rossa che lo porta nella realtà, a combattere a fianco di Morpheus e la sua squadra per la liberazione del genere umano. Il film è stato girato da Andy e Larry Wachowsky, due donne transgender che tuttavia non avevano avviato il processo di transizione (lo avrebbero fatto proprio un anno dopo l’uscita del film), e vedeva come attore protagonista un giovanissimo Keanu Reeves. La trama del film sembrava riprendere concetti della filosofia solipsista come dello gnosticismo (vi parlerò di queste correnti in modo approfondito nel capitolo psiche) e perfino del buddismo: l’essere umano visto come contenitore fisico di uno spirito alla ricerca della libertà, ma trattenuto all’interno del pianeta terra da elementi esterni malefici. In questa visione, che molte correnti conspiritualiste riprendono, la terra e l’ambiente vengono viste come negative (quindi perché rispettarle? Perché avere paura del cambiamento climatico?) e il corpo come un mezzo di schiavitù che attraverso forze esterne (come i vaccini o i cibi industriali) è sottoposto a forme di tortura e coercizione. La speranza è nella coscienza, nello spirito e nella sua liberazione. Anche attraverso la morte fisica, propria e dell’altro. Un’altra teoria, portata avanti da una nicchia di spettatori e avvalorata dal percorso di transizione avviato dalle due sorelle, riteneva che il film fosse una metafora della presa di coscienza di una persona transgender della sua reale identità. Ciò era avvalorato dal colore delle pillole proposte da Morpheus (gli ormoni per la transizione sono spesso pillole rosse) e dall’uso delle parole dell’agente Smith durante gli incontri con Neo (il quale insisteva a chiamarlo “signor Anderson”, nome che il protagonista aveva ormai abbandonato). Gli indizi sulla fondatezza di questa teoria erano molti, ma questo non ha impedito all’estrema destra di fare proprio il film tanto da coniare il termine “Redpilled” (in italiano tradotto “Redpillato”) per descrivere chi decide di credere nelle teorie complottiste come persona finalmente risvegliata. Nel 2020 Lily Wachowsky dichiarò che la lettura del percorso di transizione era quella giusta. Tutte gli elementi attribuiti allo gnosticismo, al solipsismo e al resto erano presenti proprio per mascherare al meglio questa lettura ed evitare la censura da parte di Hollywood (Un articolo dedicato alla dichiarazione: https://www.bbc.com/news/newsbeat-53692435 ) La dichiarazione non ha minimamente scosso il mondo delle teorie del complotto, che, pur avendo al suo interno molte frange apertamente ostili alla comunità LGBT+ e/o a quella non-binary o trans nello specifico, continua a usare il termine “Red Pill” per indicare la presa di coscienza degli inganni della società da parte dei poteri forti, incluso ovviamente il sostegno alle minoranze di genere. “Essi Vivono” è un film girato nel 1988 da John Carpenter, regista di film di genere fantascientifico e body horror (come “La Cosa”, girato nel 1982). La storia è liberamente ispirata dal racconto del 1963 “Alle otto del mattino” (“Eight O'Clock in the Morning”) di Ray Nelson e racconta della presa di coscienza da parte di un uomo comune, John Nada (interpretato da Roddy Piper), dell’esistenza di un governo ombra di alieni che tengono l’umanità segretamente sottomessa in una società iniqua e ingiusta. Il titolo indica che “essi” (gli alieni) vivono tra noi, mimetizzati, in segreto. Ovviamente, con questo film vengono veicolate a piene mani tutte le teorie del complotto relative allo spazio, il cui autore maggiore (David Ike) ha costruito una vera e propria fortuna economica. Le tre storie citate non sono le sole: Guerre Stellari, XFiles, alcuni libri di Stephen King… volendo in qualsiasi prodotto di intrattenimento si può trovare un collegamento con le teorie del complotto. È qui che entra in scena il secondo gradino: la già citata “sospensione dell’incredulità”. Nel passato le autorità hanno nascosto tanto alla popolazione, perché non dovrebbero farlo ancora? QAnon fa parte dei servizi segreti? E perché no? Per quale motivo un agente segreto, magari stanco delle scorrettezze di cui era venuto a conoscenza, non può andare su un sito internet pieno di razzisti e pedofili e pubblicare qualche indizio su indagini interne? Anche Snowden ha fatto così, anche Assange, perché l’utente Q di 4chan dovrebbe essere diverso? Nel passato si facevano sacrifici umani insieme a rituali legati alla sfera sessuale, perché oggi non dovrebbe succedere con Satana? Migliaia di persone muoiono ogni giorno anche per meno, perché le èlite con le possibilità che hanno non dovrebbero attuare quei sacrifici? Magari in una pizzeria di Washington dove si è nascosti in bella vista? Viviamo in una società poco umana? Beh, ovvio, perché chi la governa non è umano! Non c’è prova della non esistenza degli alieni, fuori come dentro la terra; quindi perché non potrebbe essere così? La censura esiste ed è sempre esistita, quindi perché certi messaggi non dovrebbero passare attraverso i programmi di intrattenimento? Sia messaggi volti al risveglio, sia volti a tenere le coscienze addormentate. Se ci sono così tanti personaggi omosessuali lo si deve probabilmente alla “lobby gay” e non a un cambio dei costumi e a una maggiore apertura della società verso forme diverse di amore. Queste che avete letto sono le opposizioni più forti e ricorrenti nell’ambiente complottista, che fanno tutte affidamento al meccanismo di sospensione della realtà. I complottisti accuseranno sempre le narrazioni immaginarie che trattano temi a loro sgraditi di avere “un’agenda” nascosta (Ad esempio Durante il governo nazista, l’idea che una propaganda contraria al governo fosse inserita anche in romanzi e prodotti di intrattenimento non approvati dal ministero della propaganda, ha portato al rogo e in molti casi anche alla perdita di molti libri di narrativa come il romanzo “Bambi, vita di un capriolo”, dello scrittore austriaco Felix Salten, pubblicato nel 1923 e interpretato come una forma di propaganda antinazista: https://www.hollywoodreporter.it/film/film-stranieri/la-vera-storia-di-bambi-cacciato-e-bruciato-in-piazza-dai-nazisti/1938/ )… mentre a loro volta porteranno avanti la loro stessa agenda usando le storie immaginarie come strategia. In una società dove l’intrattenimento è diventato parte integrante della vita degli individui, oltre che ingranaggio economico consistente, chi vuole diffondere la sua visione del mondo non si farà scrupolo a pescare al suo interno alla ricerca di nuovi simboli da utilizzare. Anche nelle storie più lontane e improbabili. E badate bene: ho usato il termine “simboli” non a caso. Riprendendo il termine dall’enciclopedia Treccani (https://www.treccani.it/enciclopedia/simbolo/ ):
“Qualsiasi cosa (segno, gesto, oggetto, animale, persona), la cui percezione susciti un’idea diversa dal suo immediato aspetto sensibile. L’originaria funzione pratica, prevalente ma non esclusiva, è sostituita dalla funzione rappresentativa e s. si identifica con segno.”
Quando si parla di simboli dunque, si crea un coinvolgimento collettivo, un collante importante, che fa sentire il fruitore parte della comunità e al tempo stesso protagonista diretto. Una persona normale, quando parla di un’opera immaginaria, fa sempre riferimento a se stessa, anche quando sente di aver letto l’intenzione dell’autore, in realtà proietta parti di sé nell’esposizione. Un complottista parlerà delle opere sempre in termini onnicomprensivi e propagandistici. Non sarà più “questo per me significa”, ma “questo significa”. E ogni opera sarà perfettamente adattabile alla teoria del complotto di riferimento, e alla dottrina che la stessa porta avanti. E se non si adatta, allora vuol dire che fa parte della parte “opposta”, quella dei “poteri forti”, quella che vuole tenere basse le coscienze e nascondere la verità. Nell’oscurità della tana dove i conigli a volte si incastrano, storie e fantasie, così familiari e semplici da capire, sono un collante e uno strumento importante per consolidare i membri e trattenerli giù; diventano la prova che “fuori qualcuno sa, ma non può dire”; e se anche poi la teoria dovesse saltare o fallire, si può sempre tornare sui propri passi e cambiare storia di riferimento. Noi esseri umani abbiamo bisogno di fantasie e narrazioni, a livello personale e collettivo, come valvola di sfogo, come promemoria, come riferimento dei valori collettivi (o del loro superamento). Io stessa ho iniziato questa serie di capitoli raccontando, nell’introduzione una storiella inventata. Bisogna quindi aspettarsi che chi ha degli interessi di dominio faccia delle storie un suo strumento. Sia egli un esponente politico in un palazzo del potere, un padrone di un’industria esperto della tecnica di marketing nota come “storytelling”, o un semplice influencer della sfera complottista. C’è poi un gradino ulteriore che non ho ancora toccato: quello del legame tra inconscio (collettivo e personale) con le figure e le strutture narrative più comuni. Questo passo però avverrà nel prossimo capitolo, quando scenderemo nei meandri della psiche.
Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)
Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo
Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta
Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti
Autopromozione = Blogpost dedicato all'autopromozione di qualcosa di mio